Cara collega ,
già alcuni anni fa posi un quesito simile al tuo . Approfitto quindi dell'occasione per ribadire la mia convinzione ,avvalorata dalla quasi decennale esperienza maturata nel settore bancario e della pubblica amministrazione. Come tutti sappiamo l'idoneità può essere incondizionata oppure condizionata dall'applicazione di precise "prescrizioni" .
Tale condizionamento può essere legato alla presenza di fattori intrenseci del soggetto e quindi portare alla prescrizione di fare uso ,durante il lavoro, di adeguati dispositivi di correzione ,in questo caso, per la vista o alla presenza di fattori estrinseci legati alla presenza di rischi legati all'ambiente di lavoro( rumore- polvere etc). Ma non mi riferisco a dispositivi speciali, ma a dispositivi comunemente usati anche nella vita extra-lavorativa ( in pratica i comuni occhiali da vista).Ma che devono essere "adeguati" cioè tenuti sempre sotto controllo e periodicamente revisionati per le eventuali variazioni del visus o per eventuali aggravamenti della patologia . Nella mia esperienza i videotermonalisti che fanno uso di occhiali,soprattutto se giovani, non li controllano nè li adeguano anche per alcuni anni. E spesso trovo questi soggetti più o meno peggiorati rispetto al precedente controllo ( quinquennale!!)
Anche in questo caso,a ragione direi, l'idoneità resta condizionata all'osservanza di una precisa "prescrizione". Se d'altra parte consultate le Linee Guida del Coordinamento delle Regioni e delle Province autonome in collaborazione con l'ISPESL el'ISS nel parafrafo 5.3.2 vengono riportati i criteri per la formulazione dei giudizi di idonità con prescrizione per i videoterminalisti. Termino riportando la possibilità ,che tali linee guida prevedono , di non considerare vincolanti le prescrizioni per l'effettuazione dei controlli sanitari
con periodicità biennale. Ne deriva che ,secondo me, l'uso dei comuni occhiali da vista , da origine ad una idoneità con prescrizione , ma con una periodicità non obbligatoriamente biennale ma connaturata all'ambiente di lavoro, e ,più in generale, alla valutazione della postazione lavorativa. Grazie per l'attenzione e la resistenza !
Dissento da quanto espresso dal collega nell'ultimo intervento. L'uso degli occhiali da vista non può essere considerato una "prescrizione". Se consideriamo che negli ambienti lavorativi con uso di VDT, dove è elevata la scolarizzazione e conseguentemente è assai diffuso l'uso degli occhiali da vista (frequentemente in percentuale superiore al 50%), ci troveremmo di fronte a una popolazione lavorativa con percentuali bulgare di "prescrizione".
Le prescrizioni, come ribadito da altri colleghi precedentemente, devono essere riservate a patologie significative e/o a sintomatologia ricorrente di astenopia. Concordo con quanto dice maxmd circa le indicazioni patologiche per decidere circa una riduzione del tempo di esposizione.
Nel caso esposto dalla collega Giambi non vedo necessità di tale riduzione perchè un monocolo con visus ottimale naturale o ben corretto dell'occhio vedente può benissimo svolgere appieno le sue mansioni lavorative al VDT.
Dissento anche col collega che trova superata la prescrizione della riduzione complessiva del tempo di esposizione a VDT: si limita a prescrivere pause più frequenti in casi di maculopatie serie, di neuropatie ottiche o di retinite pigmentosa in stadio iniziale?
Infine mi sia permessa una coda velenosa: vedo molto spesso utilizzata la prescrizione dell'uso degli occhiali da vista come escamotage per ridurre il tempo tra una visita periodica e l'altra. Che la quinquennalità sia un'assurdità non ci sono dubbi, ma che si ricorra alla prescrizione per "motivi commerciali" è un'indubbia verità.
Devo precisare al collega Ortualco che non sono io a considerare 'superate' le riduzioni dei tempi di esposizione a VDT (solo dieci anni io stesso scrivevo spesso: idoneo con esposizione non superiore a VDT oltre 4 ore/die), ma é la letteratura scientifica corrente e le Linee Guida già citate. Peraltro io sono il primo a portare altre critiche alle stesse L.G. ma sul piano scientifico mi sembrano nello specifico difficilmente contestabili. Perciò la mia risposta alla domanda del collega é si: una certa riduzione della esposizione al VDT si ottiene con l'aumento delle pause (per esempio 10 min/ora), che costituiscono forse il miglior 'antidoto' contro l'affaticamento visivo. Non mi risultano dimostrati, ma attendo volentieri eventuali citazioni contrastanti, peggioramenti del quadro clinico nelle patologie croniche citate dal collega, a causa di una attività al videoterminale diluita sull'intera giornata di lavoro.
Naturalmente queste restano considerazioni a carattere generale e ritengo fondamentale per tutti noi trattare i casi singolarmente; e aggiungo con una particolare attenzione alla situazione ambientale (ergonomica ed illuminotecnica), a mio avviso troppo spesso trascurata per le sue significative ripercussioni sulla funzione oculo-visiva.
Visto che avete affrontato con dovizia la problematica delle "pause" e delle "prescrizioni" ma non ho trovato riscontro al mio HELP!!! su "dispositivi speciali di correzione", ripeto integralemnte la questione sperando di essre più fortunato.
Qualcuno ha affrontato seriamente l’applicazione concreta dei dispositivi speciali?
Abbiamo avuto un circolare del Ministero del 1998 e poi una legge dopo la condanna della Corte Europea ma dal punto di vista pratico non ho trovato, girando anche in rete, o sentendo colleghi indicazioni precise su come dare vera attuazione a tale norma perché di fatto NON c’è concretezza su che cosa siano tali dispositivi speciali al di fuori di fumose e generiche definizioni.
C’è qualche MC o oculista che può rispondere in maniera concreta ed esaustiva senza rimettersi pedissequamente alla norma che…ahimè non è di ausilio alcuno.
C’è qualcuno che l’ha prescritti e quindi che sa con esattezza a che cosa ci si riferisce e mi porta delucidazioni?
Grazie
Indipendente
Mi inserisco non per dare risposte, ma per porre un ulteriore quesito: come valutate la "progressiva" variazione (riduzione) dell'acuità visiva nei soggetti scolarizzati e operanti al VDT che riscontro molto frequentemente (direi che è la regola) almeno fino ad una certa età e/o anzianità lavorativa? Mi spiego meglio: tale riduzione è da considerarsi fisiologica, e quindi tale da non comportare prescrizioni o interventi di alcun genere, oppure è da ricollegare alla specifica attività lavorativa svolta, con tutto quello che ne consegue in termini di prescrizione ed eventuale rimborso delle spese per le lenti correttive? Mi sia consentita un'ultima osservazione: quasi tutti i lavoratori al VDT che fanno uso di lenti correttive hanno già un loro oculista di fiducia, e ad esso ricorrono spontaneamente e spesso anche con periodicità ravvicinata, molto più che non i cinque anni di legge! Come valutate tale fatto?
"La cosa più incomprensibile dell'universo è il fatto che l'universo sia comprensibile" A. Einstein
Cari colleghi, a mio avviso intanto bisogna distinguere, anche se la 626 ha una definizione precisa sui lavoratori al VDT, coloro che effettivamente sono più esposti a VDT sono per mia esperienza i data entry, sistemisti e disegnatori, gli impiegati commerciali e/o amministrativi ecc... hanno la possibilità di "distrarsi" durante il lavoro o perchè rispondono al telefono o "rispondono" al collega quindi distolgono lo sguardo dallo schermo numerose volte e a mio avviso la necessità di ridurre i tempi di esposizione al VDT non sono necessari. Per quanto mi riguarda fino ad ora non ho avuto la necessità di considerare i normali dispositivi di correzione ottica come DPI, credo si possa e debba fare se prendiamo in esame il deficit del visus intermedio, anche se la maggioranza di noi valuta il visus da lontano e vicino. Credo sia comunque molto difficile stabilire, nella stessa azienda, chi abbia bisogno di "occhiali" DPI e chi no considerando il calo fisiologico del visus, ed altre varianti. Non credo ci possa essere un comportamento univoco da parte nostra ognuno agisce secondo la legge e la propria esperienza, ognuno aggiungendo un pensiero o un'esperienza che possa essere d'aiuto per gli altri, saremo sempre soli di fronte al Sig. Giudice di turno.
Il collega Mimmo scrive “Per quanto mi riguarda fino ad ora non ho avuto la necessità di considerare i normali dispositivi di correzione ottica come DPI, credo si possa e debba fare se prendiamo in esame il deficit del visus intermedio, anche se la maggioranza di noi valuta il visus da lontano e vicino. Credo sia comunque molto difficile stabilire, nella stessa azienda, chi abbia bisogno di "occhiali" DPI…”
Vedo che si continua a perpetuare la non corretta lettura della norma
Il DPI ed i dispostivi speciali di correzione sono due cose completamente diverse e proprio per questo che la CE ci ha condannato.
I “normali” occhiali da vista non possono mai essere considerati DPI.
Mi permetto di riportare un passo della sentenza “ La Commissione replica che la Repubblica italiana fa manifestamente confusione tra i "dispositivi speciali di correzione", previsti dalla direttiva 90/270 per le attività lavorative svolte su attrezzature munite di videoterminali, ed i "dispositivi di protezione individuale", che sono previsti e disciplinati dalla direttiva del Consiglio 30 novembre 1989, 89/656/CEE, relativa alle prescrizioni minime in materia di sicurezza e salute per l'uso da parte dei lavoratori di attrezzature di protezione individuale durante il lavoro (terza direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391) e successivamente cui l'art. 55 del decreto legislativo n. 626/94 deve essere interpretato in correlazione con gli artt. 41 e segg. dello stesso decreto, è sufficiente constatare che i "dispositivi speciali di correzione", previsti all'art. 9, n. 3, della direttiva 90/270, riguardano la correzione di danni già esistenti, mentre i "dispositivi di protezione individuale", contemplati da tali articoli, sono diretti a prevenire tali danni.
Mi domando quindi come gli “occhiali” normalmente utilizzati possono essere considerati DPI.
Attendo, come sempre, delucidazione da chi ha esperienza nel campo specifico – dire che la norma è chiara francamente mi sembra una grande forzatura - sul problema “dispositivi speciali correzione”
Indipendente
indipendente il 16/01/2007 01:44 ha scritto:
Il collega Mimmo scrive “Per quanto mi riguarda fino ad ora non ho avuto la necessità di considerare i normali dispositivi di correzione ottica come DPI, credo si possa e debba fare se prendiamo in esame il deficit del visus intermedio, anche se la maggioranza di noi valuta il visus da lontano e vicino. Credo sia comunque molto difficile stabilire, nella stessa azienda, chi abbia bisogno di "occhiali" DPI…”
Vedo che si continua a perpetuare la non corretta lettura della norma
Il DPI ed i dispostivi speciali di correzione sono due cose completamente diverse e proprio per questo che la CE ci ha condannato.
I “normali” occhiali da vista non possono mai essere considerati DPI.
Mi permetto di riportare un passo della sentenza “ La Commissione replica che la Repubblica italiana fa manifestamente confusione tra i "dispositivi speciali di correzione", previsti dalla direttiva 90/270 per le attività lavorative svolte su attrezzature munite di videoterminali, ed i "dispositivi di protezione individuale", che sono previsti e disciplinati dalla direttiva del Consiglio 30 novembre 1989, 89/656/CEE, relativa alle prescrizioni minime in materia di sicurezza e salute per l'uso da parte dei lavoratori di attrezzature di protezione individuale durante il lavoro (terza direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391) e successivamente cui l'art. 55 del decreto legislativo n. 626/94 deve essere interpretato in correlazione con gli artt. 41 e segg. dello stesso decreto, è sufficiente constatare che i "dispositivi speciali di correzione", previsti all'art. 9, n. 3, della direttiva 90/270, riguardano la correzione di danni già esistenti, mentre i "dispositivi di protezione individuale", contemplati da tali articoli, sono diretti a prevenire tali danni.
Mi domando quindi come gli “occhiali” normalmente utilizzati possono essere considerati DPI.
Attendo, come sempre, delucidazione da chi ha esperienza nel campo specifico – dire che la norma è chiara francamente mi sembra una grande forzatura - sul problema “dispositivi speciali correzione”
indipendente il 16/01/2007 01:44 ha scritto:
Il collega Mimmo scrive “Per quanto mi riguarda fino ad ora non ho avuto la necessità di considerare i normali dispositivi di correzione ottica come DPI, credo si possa e debba fare se prendiamo in esame il deficit del visus intermedio, anche se la maggioranza di noi valuta il visus da lontano e vicino. Credo sia comunque molto difficile stabilire, nella stessa azienda, chi abbia bisogno di "occhiali" DPI…”
Vedo che si continua a perpetuare la non corretta lettura della norma
Il DPI ed i dispostivi speciali di correzione sono due cose completamente diverse e proprio per questo che la CE ci ha condannato.
I “normali” occhiali da vista non possono mai essere considerati DPI.
Mi permetto di riportare un passo della sentenza “ La Commissione replica che la Repubblica italiana fa manifestamente confusione tra i "dispositivi speciali di correzione", previsti dalla direttiva 90/270 per le attività lavorative svolte su attrezzature munite di videoterminali, ed i "dispositivi di protezione individuale", che sono previsti e disciplinati dalla direttiva del Consiglio 30 novembre 1989, 89/656/CEE, relativa alle prescrizioni minime in materia di sicurezza e salute per l'uso da parte dei lavoratori di attrezzature di protezione individuale durante il lavoro (terza direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391) e successivamente cui l'art. 55 del decreto legislativo n. 626/94 deve essere interpretato in correlazione con gli artt. 41 e segg. dello stesso decreto, è sufficiente constatare che i "dispositivi speciali di correzione", previsti all'art. 9, n. 3, della direttiva 90/270, riguardano la correzione di danni già esistenti, mentre i "dispositivi di protezione individuale", contemplati da tali articoli, sono diretti a prevenire tali danni.
Mi domando quindi come gli “occhiali” normalmente utilizzati possono essere considerati DPI.
Attendo, come sempre, delucidazione da chi ha esperienza nel campo specifico – dire che la norma è chiara francamente mi sembra una grande forzatura - sul problema “dispositivi speciali correzione”
Brevemente:
I comuni occhiali da vista sono ,comunque , dei dispositivi di
correzione di una patologia del lavoratore .
Non dispositivi di protezione !! dai rischi lavorativi.
In tutti questi casi ( miopia,astigmatismo etc) l'idoneità è condizionata dall'uso di questi dispositivi e questi dispositivi di correzione devono essere adeguati all'evolvere della patologia stessa . Altrimenti insorgerebbero fenomeni astenopici o veri e propri aggravamenti, attribuibili all'uso del VDT. Quindi,come sappiamo, un'idoneità condizionata è sempre un'idonità con prescrizioni! Ci sarà pure una differenza fra chi ha un deficit visivo e chi ha occhi perfetti!
MedicoCompetente.it - Copyright 2001-2024 Tutti i diritti riservati - Partita IVA IT01138680507
Privacy | Contatti