ex utente da milano
L’art 17 del decr. leg.vo 626/94, al comma 5, esplicita che i rapporti di lavoro del m.c. possano essere di 3 tipi: dipendente del datore di lavoro, libero professionista, dipendente di struttura pubblica o privata convenzionata con l’imprenditore.
Il Ministero del Welfare, rispondendo ad un interpello della Ascom di Forlì con la nota del 22 dicembre 2005 – prot. 3148 sottolinea come la lettura del comma 5 non possa dare adito ad altre interpretazioni se non quelle letteralmente esplicitate: “non è prevista in alcun modo la possibilità di instaurare rapporti di lavoro di natura autonoma tra il medico competente e la struttura incaricata e la norma prevede esplicitamente che il medico debba essere dipendente della struttura esterna………”. La nota chiosa dicendo “la norma, come tutte le norme in materia di sicurezza, va interpretata attenendosi al principio di tassatività”.
La norma, dico io senza ipocrisia, è, allo stato attuale completamente violata.
E’ dal 1997 che sostengo e difendo questo principio e posso pur capire di essere stato trattato con sufficienza se non con derisione ogni volta che evidenziavo questa norma ai proponenti di collaborazioni di centri di servizi. Anche nelle discussioni fra colleghi ero tacciato di radicalismo improduttivo ma, dopo l’emanazione della nota, mi consolo sul fatto che la mia visione è condivisa (per lo meno siamo in due!)
Potrebbe sembrare cosa di poco conto, una sottigliezza normativa se non fosse la causa principale dei nostri mali.
Facevo queste riflessioni che mi piacerebbe condividere con voi.
I problemi di dignità e decoro, anche se io preferirei usare un termine più estensivo di “ruolo del medico competente” , sottolineati anche in questo forum, si possono riassumere , a seconda dei casi, in
• sottoretribuzione,
• carenza di ruolo,
• ruolo orientato principalmente all’esecuzione di visite mediche,
• esecuzione di visite preventive a nome di altri medici competenti senza neanche conoscere la realtà lavorativa e a volte anche la mansione (i cosiddetti esami-obiettivisti),
• esecuzione di visite periodiche su incarico di altro medico competente,
• sottoscrizione di protocolli sanitari ridondanti,
• consulenti del lavoro o commercialisti che si improvvisano gestori di medicina del lavoro
• compensi “alla cubana”: scarso potere contrattuale del medico competente nel discutere i propri compensi (siamo gli unici professionisti a cui vengono elencate una serie di compensi fissi senza possibilità di concordare anche in base alla propria esperienza e curriculum)
• il tremendo gap tra un minuzioso e dettagliato elenco di malattie professionali e gli esegui
numeri di denunce di m.p. che giungono ai Servizi ed all’Inail (anche qui c’è qualche cosa che non va: in un senso o nell’altro).
Dove si realizzano per la maggior parte queste incongruenze? Dove il m.c. non ha un rapporto diretto, ma lavora per conto di altri, dove in sostanza non è professionalmente libero ma deve rispondere, in prima persona, ad altri e non a sé stesso. Già normalmente dobbiamo rispondere al datore di lavoro ed ai lavoratori, se poi dobbiamo rispondere ad un intermediario le cui finalità non sempre sono condivisibili capite anche voi che il sistema si sbilancia.
La mia difesa del comma 5 non vuole essere un atto di pedanteria interpretativa ma è
semplicemente un atto di pragmatismo.
Ci indigniamo quando troviamo una violazione del comma 7 dell’art. 17 che prevede che il collega della vigilanza non possa svolgere consulenza e, con indifferenza, tralasciamo un aspetto della nostra professione che si è incistato in profondità.
Quale è la ragione? Interesse anche dei medici competenti a questa interpretazione ? incancrenimento del sistema? Poteri forti ? O forse semplicemente una nostra sindrome da affaticamento cronico, una sorta di inerzia di noi medici competenti ?
Io non so “cui prodest” questo sistema né mi piace la dietrologia. La mia non è una difesa moralistica ed ho sempre diffidato dai moralizzatori dei sistemi. E’ invece una visione utilitaristica dove il fine, l’oggetto da salvaguardare però è la medicina del lavoro.
Né d’altra parte vedo la causa delle nostre delusioni solo nell’ampliamento determinato dal 402/2001. Personalmente non ho trovato una partecipazione così elevata degli igienisti al mondo della medicina del lavoro. Ho più il sentore ma forse mi sbaglio, che tutte quelle incongruenza sopra segnalate siano “catene” o debolezze anche del medico del lavoro.
Lungi dal voler fare guerre contro le strutture di medicina del lavoro credo che una corretta applicazione, perché di applicare e non di interpretare si deve discutere, sia una giusta tutela del ruolo del medico competente.
Non credete che se vigesse l’obbligo di rapporto subordinato per società terze scomparirebbero in primis tutte quelle microstrutture di gestioni artigianali, per usare un eufemismo, da parte di vari consulenti e che il m.c. che decida di passare ad un rapporto di lavoro subordinato sia più tutelato sia contrattualmente che remunerativamente che per gli obblighi formativi, di aggiornamento, ecc. ?
Concordo pienamente con lo spirito della nota del ministero: il centro del sistema deve essere il medico competente. Le società di servizi hanno esigenze di tipo commerciale ed è veramente difficile conciliare queste esigenze con interessi più ampi se manca. Il rischio è che il sistema si trasformi in commercio puro dove il m.c. è lo strumento. Per questo la centralità deve essere del m.c. e non di settori amministrativi/commerciali.
E’ possibile ipotizzare altre forme di collaborazione tra i m.c. e le società di servizi ?
Ad esempio che sia il m.c. ad appoggiarsi, con formule che possano essere approfondite, a strutture sanitarie e non viceversa ? E’ possibile studiare forme cooperative di m.c. sulla falsariga di quello che accade per la medicina generale ? Sono solo idee, forse poco o per niente realizzabili.
Quello di cui sono certo è che l’indifferenza nei confronti del comma 5 e della nota ministeriale è il sintomo di un torpore forse doloso o forse colposo però attenzione ……il sonno della ragione genera mostri!
billi
E' purtroppo una norma non sanzionata e disattenderla porta solo vantaggi. Mentre disattendere altre norme espone a rischi non osservare questa norma comporta .... benefici economici.
E' vero non è sanzionata ,ma non si potrebbe disporre di farla attuare ??
Scusate gli errori :
In pratica si obbligherebbe a scegliere tra un rapporto di lavoro o di dipendenza con la struttura o con il datore di lavoro o l'attività libero professionale don il datore di lavoro e questo mi sembra un po complicato se non impossibile .
Concordo pienamente con le considerazioni di Ravalli e auspico che la ricerca ferma e ostinata della qualità da parte di tutte le figure professionali coinvolte in questo settore sia il naturale antidoto ai visitifici e agli esamifici. Personalmente il mio studio collabora da anni con i medici competenti garantendo qualità nell'esercizio delle nostre specifiche competenze professionali: l'audiometrista esegue le audiometrie, l'ortottista gli screening visivi, il tecnico competente in acustica ambientale le valutazioni del rumore e così via. Una società di servizi così intesa rispetta la centralità del medico e al massimo, come è già successo, favorisce l'incontro tra medici e aziende senza mai esigere nulla in cambio che la continuità del rapporto e il reciproco rispetto professionale.
Ma, e questo Ravalli me lo deve concedere e lo deve sapere, eliminare i visitifici e gli esamifici non esaurirebbe il problema della moralizzazione di questo settore. E qui mi piacerebbe lasciare spazio a Nofer che ci ha dilettato in passato con un realismo che trova eco in ogni angolo della nostra Italia e che potrei io stesso condire, seppure nella mia breve esperienza, con esempi che farebbero tremare il più illuso e ostinato garantista.
Forza dunque MC, RSPP, RLS, USL, date ed esigete qualità e rispetto delle specifiche competenze che pian piano circoleranno meno mostri.
Cristian Botti
Evocata, batto un colpo…
Naturalmente, posso parlare solo per me e per la mia esperienza, peraltro ultradecennale, nel campo.
Nel corso del 2002, ad esempio, la mia società ha speso in emolumenti per MC (3) 18.000 euro circa, per ORL oltre 4000, per l’inf. prof. addetto ai prelievi oltre 3000, per consulenze cardiologiche circa 2000. Il che fa in tutto, sino a prova contraria, 27.000 euro. Numero di aziende in contratto, 39 –mia struttura compresa; numero di lavoratori sorvegliati, poco meno di 900, per circa 1200 visite/anno. Nel 2003, anche in conseguenza dello sciagurato 25/02, le visite sono scese a meno di 800 (anche in virtù del comportamento di qualcuno dei MC, che ha lasciato periodicità solo alle visite stroncando anche i monitoraggi biologici che gestivo in prima persona con il mio lab specializzato), nel 2004 due clienti significativi mi hanno abbandonato per lidi più economici, e in compenso i MC hanno richiesto aumento della retribuzione. Risultato, nel 2005 ho dismesso –come sapete- la gestione della MDL.
Ora, la mia società applica il contratto studi professionali, e un MdL sarebbe stato inquadrato con il primo livello (dirigenziale) attesa l’autonomia decisionale che compete professionalmente e legalmente ad uno specialista. Un MdL dipendente a 20 ore settimanali (più che sufficienti per il numero di assistiti) mi sarebbe costato al massimo 20.000 euro/anno, quindi avrei risparmiato ampiamente, mi sarebbe bastato chiedere al medico di eseguire anche prelievi, audiometrie e ECG eventuali, spostare le scadenze secondo le mie comodità (es., 100 visite medie al mese) e –nella veste di Datore di Lavoro – potevo anche pretendere che non si togliesse nemmeno un’analisi delle urine dal protocollo. Cosa che non ho fatto, perché è il medico che si assume le sue responsabilità, e per correttezza professionale io non posso e non devo sindacare. Tanto premesso, se non l’ho fatto è stato perché trovo immorale corrispondere ad un professionista poco meno di 800 euro al mese, sia pure per sole 20 ore settimanali. Tralasciando che la noferfiglia medico in clinica univ percepisce 933 euro lordi al mese per non meno di 40 ore/sett, turni notturni, prefestivi e festivi compresi, cosa che giudico decisamente immonda, io dico che un professionista ha diritto a giusta retribuzione: se vale per me, vale per tutti. E tenete presente che c’era un amministrativo dedicato solo ed esclusivamente al settore sanitario, che gestiva scadenze, periodicità, contatti ed accordi con le aziende, archiviazione cartelle, fotocopie di tutto etc. etc. quindi il MC faceva visite e sopralluoghi, e quando erano pronti esami integrativi tornava in sede a fare i giudizi, trovando già tutto sistemato nelle cartelle sanitarie, e non si doveva preoccupare di altro se non di firmare i giudizi, stilati in diretta con segretaria a fianco, e i riepiloghi. In più, spese per autista di unità mobile (patente C) a 25 ore sett., più il costo di gestione dellUnità Mobile stessa (circa 2000 euro solo di assicurazione, più la manutenzione di tutte le attrezzature installate). Se avessi anche chiesto la patente C per il medico, ero a posto, visto che solo di autista spendevo circa 10.000 euro anno e di amministrativo circa altri 18.000.
Questo, senza dire che la valutazione dei rischi aziendali era –di norma- più che esaustiva, e che spesso è toccato a me dare suggerimenti per gli eventuali MB.
So di altra società di “servizi” che gestisce circa 8000 visite/anno, con 1 (e dico proprio 1) MdL a 30 ore settimanali, con l’unico ausilio di 1 tecnico laureato per conduzione unità mobile (piccina), esecuzione prelievi e audiometrie, gestione periodicità e predisposizione cartelle etc. .Costo complessivo, meno di 30.000 euro anno (medico dipendente in contratto di formazione + tecnico laureato co.co pro., a “quando finisce, finisce: fatti suoi”)
Vogliamo aggiungere qualche altra cosa, o basta così?
Se mi dovesse prendere l’uzzolo di ricominciare, ogni 2 anni fresco specialista in contratto di formazione, con patente C, full time a 1.500 euro/mese netti in busta, costo annuo meno di 32.000 euro, e se la piange lui a telefonare, organizzare, confrontarsi con OO.VV, scrivere a PC, visitare, prelevare, repertare, dattiloscrivere analisi, scriversi relazioni e quant’altro di cui agli art. 16 e 17 del D.Lgs. 626/94, e scaduto contratto di formazione via uno e dentro il prossimo: alla faccia della continuità diagnostica.
Ovviamente, non ci penso nemmeno.
Buon fine settimana a tutti…
Nofer
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Ognuno di noi, da solo, non vale nulla.
Sebbene ormai moltissimo sia stato detto su questo forum (e anche in altri, precedenti e paralleli ), mi permetto di intervenire sull’argomento perché fortemente sollecitato, sia sul piano ideale che su quello, molto più pratico, dell’attività professionale quotidiana mia (e di tutti noi MeLC). Premetto che si tratta di parole in libertà e di opinioni del tutto personali, che esprimo liberamente su un forum pubblico e aperto alla lettura e al contributo di tutti coloro che vogliono intervenire, medici competenti, tecnici, specializzanti … o semplici curiosi. Si tratta – ripeto – solo di opinioni strettamente personali.
Ho sempre ritenuto che la formulazione del comma 5 dell’articolo 17 sia molto chiara ed esplicita e che in esso siano state ben individuate le possibilità di rapporto di un MC con il datore di lavoro che lo nomina per la sua azienda, Ente, società. A questo proposito, per la verità, mi è sempre apparso strano il richiamo di un MC “dipendente” di Ente o struttura convenzionata con il DL. Probabilmente nell’intento del legislatore, prevedendo questa eventualità, si ravvisava la condizione dell’Ente pubblico sanitario (ASL ? Az. Ospedaliera ? Università ?) che, in questo modo, poteva mettere a disposizione del territorio i suoi servizi anche in materia di sorveglianza sanitaria in azienda, meno probabilmente la previsione della successiva costituzione di quei “centri servizi” che – esclusivamente o assieme ad altri servizi per le aziende – sono in grado di assicurare anche il soddisfacimento di quanto richiesto dalla normativa in materia di tutela della salute presso l’ambiente di lavoro (nomina del MC e quant’altro di conseguenza). Infatti, mi sembra difficile poter coniugare la dipendenza gerarchica – tipica del lavoro dipendente classico - con l’autonomia professionale e le responsabilità legali che la normativa pone in capo al MC “nominato”. Dico questo anche per esperienza personale, avendo collaborato – in passato - con strutture simili ed essendomi trovato in condizioni, diciamo così, imbarazzanti.
In realtà, a mio parere, in un certo senso il MC dovrebbe essere imprenditore di se stesso; essere incaricato direttamente dal DL, decidere se accettare o meno la nomina (sì, anche se può sembrare strano si può anche rifiutare) e stabilire come e quando intervenire, nell’ambito dei limiti di quanto richiesto dalla legge e dalla sua professionalità. Di questo, come sappiamo, risponderà direttamente nei confronti del DL, dei lavoratori e delle OO.SS., degli organi di vigilanza.
L’idea di società di servizi che vanno alla caccia di imprese per presentare la propria offerta in materia di sorveglianza sanitaria (oltre che di altro, eventualmente) per il conseguimento del profitto (cosa, di per sé, affatto disdicevole) cozza, secondo me, con l’idea della professione medica e con l’etica della nostra disciplina. Altro discorso è, ovviamente, la costituzione di centri di servizi che raggruppano più MC utilizzando le stesse strutture, che so, gli stessi uffici, gli ambulatori, il fax …. ma questa distinzione è già stata fatta altre volte e non ci ritorno, in ogni caso il titolare diretto del rapporto con i vari DL rimane sempre il MC associato ed è sempre lui a stabilire quanto ne consegue (tra l’altro, anche le tariffe, ma questo è un altro discorso e non lo affronterò in questa sede).
Ma, a questo punto - qualcuno potrà obiettare – perché i medici si sottopongono a questi rapporti “capestro” ? Perché accettano di essere maltrattati, sottopagati, sfruttati e via discorrendo ? Qui entriamo in un ambito ben più vasto di discussione, che riguarda da un lato la scarsa propensione al rischio del professionista medico (alzi la mano chi, in Italia, svolge in maniera esclusiva la libera professione; in genere alla base si ha sempre un rapporto di lavoro dipendente, o di convenzione, o coordinato e continuativo con l’Ente pubblico, l’ASL , l’az. Ospedaliera o altri Enti di varia natura, INPS, INAIL etc.) e, dall’altro, la pletora medica che riguarda le attività dei giovani medici (sic ! vabbè che l’aspettativa della vita media si è allungata, ma ormai si è giovani fino a 50 anni !!) e che riguarda non solo i famigerati centri servizi, ma anche le case di cura private, gli studi professionali, financo le scuole di specializzazione e alcune attività convenzionate presso alcuni Enti pubblici.
Rimango convinto della necessità di una grande opera di moralizzazione, ma – come sempre – cerchiamo di stare con i piedi per terra e di procedere per gradi. Sensibilizzare i colleghi, soprattutto i più giovani, è probabilmente la prima cosa da fare, forse la più importante e quella che può dare i migliori risultati a medio e lungo termine. Cercare un appoggio legislativo, addirittura sanzioni, invocare prese di posizione etc.…… beh, qui si va su altri campi e su questo la riflessione andrà condotta in altre sedi.
Un cordiale saluto a tutti
leggendo questo dibattito,ho fatto alcune considerazioni. Concordo in particolare con l'attenta analisi di Ravalli, e con la lettura non pedante del comma 5 (se vuole siamo in tre) ed anch'io ritengo deleteri i visitifici gestiti da pseudo “studi ambientali” di commercialisti e consulenti del lavoro o strutture simili ( per i poliambulatori pongo qualche riserva) che si improvvisano organizzatori di medicina del lavoro. Sono nati e si sono sviluppati con il controllo cartaceo e burocratico sviluppatasi dagli anni 80 sui rifiuti, ambiente e scarichi con obblighi di dichiarazioni cervellotiche (avete mai visto il sito CERVED? ) le Aziende dopo il famigerato referendum che ha sottratto al controllo pubblico ( allora USL) la problematica ambientale hanno operato in una situazione di semianarchia dove i controllori era la regione e le camere di commercio (quest'ultime che ci'azzeccano? Direbbe un neoministro)
cosa si può fare per riequilibrare la situazione ?
La mia idea è che si può fare qualcosa partendo dal tariffario ordinistico : mi spiego se leggete il TMN delle prestazioni medico-chirurgiche troverete il tariffario degli igienisti con tutte le attività previste sia di campionamento che di analisi che di valutazione ambientale. Ora poiché il TMN è legge dello stato (dpr) esso definisce che quelle attività sono mediche, il commercialista, consulente, ragioniere ecc che le effettuasse potrebbe essere accusato di abuso di professione medica: piuttosto che un ragioniere che mi valuta l'ambiente non sarà meglio un igienista ma poi perche non noi stessi ? ( ad esempio al punto III rumorosità = le fonometrie chi le fa?) e forse anche dagli ingegneri! E infatti come la mettiamo con gli ingegneri? Questi potrebbero fare analisi ambientali ( per la loro laurea) ma la valutazione sulla salute umana spetterebbe poi solo al MC.dunque il MC dovrebbe concretamente operare a tutto campo nella fabbrica comprese le emissioni e gli scarichi ( d'altra parte non è forse un rischio per il lavoratore respirarsi la salubre aria nei 100 metri da un fabbrica inquinante ?) ed essere eventualmente il coordinatore ( infatti all'università non ci hanno insegnato a lavorare con altri professionisti ma a chiuderci nel nostro splendido isolamento) di un piccolo gruppo che di occupa della salute e dell'ambiente di fabbrica
ma ancora l'attacco “agli abusivi” deve passare - credo – attraverso l'ordine dei medici che può fornire il supporto logistico minimo ( elenchi medici competenti ) dandone comunicazioni alle camere di commercio e tutelando le tariffe minime , ma anche favorire l'aggregazione di medici competenti e la lotta agli abusi ( anche di colleghi oculisti ed otorino che non sono abilitati a visite sistematiche ma solo, in seconda battuta, a quelle consulenze che gli saranno esplicitamente richieste dal MC e che giocoforza non possono essere tutti i dipendenti. La parola chiave non è però la tutela (difesa) ma la competenza ( attacco) e qualità delle prestazioni
le aziende di servizi trovano invece spazio non essendoci noi allargati nell' ambiente e perchè è preferibile cercare qualche società che ti dà lavoro che farsi un nome una reputazione e una clientela in modo chiaro ed onesto e dignitoso.
Ho scritto queste note in fretta ma mi riservo un articolo più strutturato cordialità a tutti
L’art 17 del D.Lgs. 626/94, al comma 5, esplicita che i rapporti di lavoro del m.c. possano essere di 3 tipi: dipendente del datore di lavoro, libero professionista, dipendente di struttura pubblica o privata convenzionata con l’imprenditore…
Ho letto con attenzione le posizioni dei colleghi e vorrei portare un mio personale contributo alla discussione.
A mio giudizio il legislatore ha inteso non solo, cosiccome sottolineava il collega ramistella, consentire l’effettuazione delle attività di sorveglianza alle strutture pubbliche competenti per territorio (e qundi, come giustamento detto, alle ASL e alle Università), ma anche ad eventuali strutture private che avessero i requisiti per svolgere tale attività (e cioè un medico specialista in MEDICINA DEL LAVORO -nel ‘94 il decreto Tomassini non era ancora in essere- tra i loro dipendenti).
Dico ciò in base ad alcune considerazioni.
La possibilità di una struttura pubblica di effettuare la sorveglianza sanitaria era peraltro già prevista dalla legge 833/78 (Artt. 2, 14, 28) e la stessa legge prevedeva in diversi articoli la possibilità di stipulare convenzioni con strutture private.
Nel redigere la 626 il legislatore immagino abbia tenuto conto della possibilità di “privatizzare” la sorveglianza sanitaria, togliendo quindi a monte possibili dicotomie pubblico-privato. Anzi, riconoscendo alle ASL il peculiare e delicato compito della vigilanza (ovviamente impossibile da affidare a strutture private), ha anche voluto a mio giudizio fornire una chiave di lettura della legge.
Bisogna adesso pensare, piuttosto, alla qualità del servizio offerto. Io non credo che un medico del lavoro che sia dipendente (e cioè assunto con regolare contratto dirigenziale) di una struttura privata debba per forza effettuare una sorveglianza sanitaria di basso profilo e di qualità scadente.
Io personalmente ho sempre osteggiato le società di servizi “bieche”, quelle, per intenderci, gestite dal commercialista o dal consulente del lavoro, dove il medico competente serve solo per mettere la firma…ma, proprio per lo stesso motivo, mi sono sempre tenuto alla larga da quei liberi professionisti da 20000 firme l’anno o da quei medici di base “autorizzati all’esercizio della medicina del lavoro” (…è una dicitura che ho visto su un timbro sotto un’idoneità, tra l’altro piuttosto pasticciata, non me la sono inventata…)…in questo caso, il fatto che siano dipendenti o meno non mi pare che giovi alla qualità del servizio…
…e così pure non giova alla qualità del servizio quella pletora di specializzandi o di aspiranti tali che girano l’Italia per visitare nelle aziende del Professore, gratis perlopiù, come se la Medicina del Lavoro fosse riducibile ad una spirometria o ad un ECG…
L’obiettivo a cui bisogna tendere, indiscutibilmente, è la qualità delle prestazioni offerte e l’integrazione con i servizi di vigilanza del territorio. Solo in questo modo la medicina del lavoro può pretendere di avere anche agli occhi dei non addetti ai lavori quella “dignità” propria delle discipline mediche che molti oggi contestano e che mai, invece, si sognerebbero di contestare ad altre specialità.
E tutte le problematiche che il collega Ravalli individua (sottoretribuzione, carenza di ruolo, ruolo orientato principalmente all’esecuzione di visite mediche, esecuzione di visite preventive a nome di altri medici competenti senza neanche conoscere la realtà lavorativa e a volte anche la mansione, esecuzione di visite periodiche su incarico di altro medico competente, sottoscrizione di protocolli sanitari ridondanti, consulenti del lavoro o commercialisti che si improvvisano gestori di medicina del lavoro compensi “alla cubana”: scarso potere contrattuale del medico competente nel discutere i propri compensi,il tremendo gap tra un minuzioso e dettagliato elenco di malattie professionali e gli esegui numeri di denunce di m.p. che giungono ai Servizi ed all’Inail) e sulle quali concordo appieno sono da un lato frutto e dall’altro causa della scarsa considerazione di cui la nostra disciplina gode.
Come già avevo avuto modo di osservare la distinzione non dev’essere fatta tra medici del lavoro e igienisti o tra liberi professionisti e dipendenti, ma tra medici competenti bravi e meno bravi, coscienziosi o delinquenti, con una connotazione puramente meritocratica che sappia premiare i migliori. E qui mi richiamo ai colleghi della vigilanza, che immagino oberati di lavoro visto le carenze ormai croniche di personale, ma che con la loro preziosa attività possono smascherare quelle situazioni assurde che però ormai non mi stupisco più di vedere.
…e a tale proposito non sarebbe male leggere un loro intervento…
Cordialità.
Mi verrebbe allora da aggiungere che il comma 7 (art.17) prevede "7. Il dipendente di una struttura pubblica non può svolgere l'attività di medico competente ai sensi del comma 5, lettera a), qualora esplichi attività di vigilanza". Ebbene molti esercitano nel comune vicino che fa capo ad altra ASL. Secondo voi qui il Legislatore "cosa intendeva"?? (ironico)
"L’oro non è tutto. Ci sono anche i diamanti". (Paperon De’ Paperoni)
...mi pare che guariniello abbia fatto capire a qualcuno cosa il legislatore intendesse... (sarcastico)
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