ex utente da milano
Ho letto le interessanti considerazioni del Dott. Carnevali sulla tutela Inail in caso di mobbing. Mi sono soffermato sul concetto che il Dott. Carnevali esprime e sintetizza nella frase " Qualora le azioni mobbizzanti non siano riconducibili ad un fattore di rischio oggettivo, quale l'organizzazione del lavoro globalmente intesa, né siano connotate da specifica origine/finalità lavorativa ma legate unicamente all'interagire di persone sul luogo di lavoro, quindi condizioni comuni agli ambienti di vita, diventa difficile anzi improprio ipotizzare l'operatività della tutela assicurativa per l'assenza del carattere professionale del rischio considerato". Non si può che condividere da un punto di vista logico: se la causa del disagio psicologico accertato é dovuta ad atteggiamenti ad esempio persecutori é più logico una richiesta di risarcimento diretto a chi ha suppostamente causato il danno piuttosto che una richiesta di indennizzo Inail. Posta la validità logica dell'analisi del Dott. Carnevali mi chiedo, come medico competente che poi deve applicare le norme, se le considerazioni medico legali dell'Inail non siano in contrasto con la tabella del decreto 27/4/04 in cui le "disfunzioni dell'organizzazione del lavoro" sono attribuite anche a fenomeni di "interazione tra le persone". Se un datore di lavoro o, attenzione, un superiore, un capo reparto attribuisce compiti dequalificanti o nega accesso a notizie, esercita azioni di controllo, ecc. magari finalizzate alle spontanee dimissioni, esse sono da considerare come atteggiamenti conflittuali "interpersonali" o un "rischio di sistema". Mi rendo conto che, come dice il Dott. Carnevali, il confine é difficile da individuare e che le interazioni tra il "rischio sistema" ed il "rischio interpersonale" sono a volte molto strette. E' veramente difficile risalire al o ai fattori di rischio lavorativi anche da parte del m.c. che conosce bene l'azienda ed anche i rapporti interpersonali tra i dipendenti. Difficile inoltre é il ruolo del m.c. in questo ambito: quale atteggiamento deve esso attuare in caso di accertata patologia psichica o psicosomatica riferita dal lavoratore a fattori di rischio lavorativi. Certo verrà inviato presso una struttura adeguata al fine di comprovare la patologia ed escludere concause individuali come ad esempio disturbi della personalità, del vissuto, ecc. Poi però bisogna districarsi nell'oggettivare le cause o concause "lavorative" riferite dal lavoratore. Il m.c. potrà avere la sensazione, potrà avere notizie ma come può esso trasformare queste informazioni in dati oggettivi? Deve comunque e in ogni caso inoltrare la denuncia di m.p. limitandosi a descrivere i fattori di rischio "riferiti dal lavoratore" o ha a disposizione qualche strumento di valutazione oggettiva? Mi scuso con il Dott. Carnevale, se mai legge l'intervento, per la mia poca dimestichezza medico-legale!
Il Dr Carnevali ha inviato le seguente risposta al commento di Cristiano Ravalli sull'articolo del mese di agosto http://www.medicocompetente.it/mese/show.php?id=65:
"Rispondo volentieri alle interessanti osservazioni del Dr. Ravalli, che stimolano anche una analisi più approndita sulla metodologia operativa del medico competente così come potrebbe, a mio parere, essere utilizzata ai fini pratici.
Laddove mi riferisco a situazioni legate unicamente all'interagire di persone sul luogo di lavoro, considerandole quindi condizioni comuni agli ambienti di vita e non riconoscendo a queste fattispecie la dignità della tutela assicurativa obbligatoria, intendo parlare proprio di "fatti interpersonali" sic et simpliciter, per i quali non sussistono origini nè finalità lavorative: ad esempio, l'interagire in modo lesivo di prestatori di opera per motivi meramente soggettivi quali gelosie, rivalità politiche e/o familiari...non costituiscono certo un fondamento di attenzione per il rischio-sistema trattandosi unicamente di atteggiamenti conflittuali interpersonali.
Diverso è il caso descritto dal Dr. Ravalli, per cui un Dirigente e/o un Superiore e/o un Caporeparto che inferisce in modo sistematico e preordinato nella attività lavorativa del dipendente esercitando una azione sfavorevole e correlata al lavoro - attribuzione di compiti dequalificantie/o esuberanti nella loro intensità, azioni a carattere emarginativo...- può essere interpretabile al limite degli atteggiamenti interpersonali: questa fattispecie, a mio avviso, non lascia margini di incertezza valutativa poichè rientra a piene mani nell'ambito del cosidetto mobbing strategico - quindi volontà persecutoria e finalità dolosa - e in ogni caso, anche senza il dolo, sarebbe ascrivibile alla classica incongruenza organizzativa, perciò ampiamente ammissibile alla tutela INAIL.
Resta da definire quei casi border-line per i quali effettivamente non risulta netto il discrimine tra atteggiamenti conflittuali interpersonali e disfunzioni organizzative: qui il discorso si fa più ampio ed arrticolato, occorrerebbe leggere una mia relazione, abbastanza ampia e anche noiosa in questa sede, in cui si tratta sul "mobbing e i danni" - comunque, se interessa, potrò renderla disponibile.
Tornando al concreto, come medico competente agirei così:
anche nei casi strettamente interpersonali, venendo a conoscenza nell'ambito della sorveglianza sanitaria di accertati incipienti disturbi psico-fisici , dovrei relazionare il datore di lavoro sulla presunta origine vessatoria della lesività in oggetto, affinchè il DL, che ai sensi dell'art. 2087 del cc è il responsabile della integrità psicofisica e della dignità morale del prestatore d'opera, possa intervenire attivamente attraverso una più adeguata organizzazione lavorativa a difesa della parte più debole - fatto questo che, se inevaso, porrebbe il DL nella spiacevole condizione di imputabilità-.
Ancora più stringente risulta l'obbligo della contestuale segnalazione al DL e della denuncia all'INAIL laddove si appalesa in modo convincente una responsabilità organizzativa, dolosa e/o colposa, nella determinazione della patologia documentata, per cui si può parlare in modo esplicito di rapporto causale e/o concausale dotato di efficiena adeguata.
Conclusivamente, ritengo difficile tipizzare e categorizzare le molteplici sfumature che inevitabilmente vanno a confondersi nei vari quadri sindromici che caratterizzano la multifattorialità di tali forme morbose, comunque ne potremo parlare più diffusamente e meglio in altra sede".
Dr. Carlo Carnevali
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