Buongiorno, pongo il seguente quesito. Nel caso un lavoratore che svolge compiti di concetto/d'ufficio venga trasferito di sede a poco meno di 50 km dall'abitazione, in modo da trovarsi ogni giorno sulle spalle 100 km d'auto, senza scelta per altro mezzo di trasporto, e un ora e mezza in media di viaggio per traffico intenso (da una situazione precedente dove si trovava a 15 km e mezzo'ora di strada), dopo quattro anni di questa vita è stremato (sia sul piano fisico che psicologico) anche a causa di una marginalizzazione dalla vita aziendale ha diritto attraverso il medico competente di richiedere all'azienda di essere riportato nella sede di provenienza anche modificando mansione e conservando inquadramento? Il giudizio del medico competente non sarebbe quindi legato all'attività lavorativa che la persona sarebbe perfettamente in grado di svolgere ma all'itinere al quale l'azienda obbliga il dipendente, insieme ad altri atti velati e difficili da provare ma in concreto vessatori, con chiara intenzione di ottenere le dimissioni del soggetto in questione o il suo deperimento. Grazie.
Il rapporto di lavoro non è gestito dal Medico Competente ma da norme contrattuali, leggi dello Stato, regolamenti, contrattazione, relazioni personali, ecc. Il Medico Competente effettua sorveglianza sanitaria nei casi previsti dalla normativa (per gli impiegati VDT) e partecipa alla valutazione dei rischi. Nel suo caso credo che dovrebbe individuare altri strumenti per risolvere le sue problematiche assolutamente comprensibili ma non delegabili al Medico Competente.
A me è capitato di aver "suggerito" l'avvicinamento di lavoratori e lavoratrici, con patologie ben più evidenti e limitanti, alla sede di lavoro più vicina al loro domicilio, ove possibile. Il suggerimento è stato deliberatamente (e, direi, arrogantemente) ignorato dal datore di lavoro.
Mi è capitato di parlare del fatto con un collega dell'OdV che, pur non potendo entrare per ora nel merito, ha detto che avrebbe "aspettato al varco" il datore di lavoro nel caso da tale sua decisione dovesse derivare un danno per la salute dei lavoratori e lavoratrici.
Anche su questo forum si è parlato dell'argomento, sostenendo che il medico competente in generale non può entrare nel merito delle decisioni del datore di lavoro riguardo alla sede di assegnazione dei propri dipendenti. Eventualmente, questi devono cercarsi una nuova casa nei pressi della sede di lavoro. In alcuni casi, tuttavia, i ccnl prevedono situazioni particolari (patologiche) per cui ai lavoratori interessati vengono riconosciute delle agevolazioni come l'avvicinamento alla sede più vicina alla propria abitazione.
milvio.piras il 23/01/2020 05:45 ha scritto:
A me è capitato di aver "suggerito" l'avvicinamento di lavoratori e lavoratrici, con patologie ben più evidenti e limitanti, alla sede di lavoro più vicina al loro domicilio, ove possibile. Il suggerimento è stato deliberatamente (e, direi, arrogantemente) ignorato dal datore di lavoro.
Mi è capitato di parlare del fatto con un collega dell'OdV che, pur non potendo entrare per ora nel merito, ha detto che avrebbe "aspettato al varco" il datore di lavoro nel caso da tale sua decisione dovesse derivare un danno per la salute dei lavoratori e lavoratrici.
Anche su questo forum si è parlato dell'argomento, sostenendo che il medico competente in generale non può entrare nel merito delle decisioni del datore di lavoro riguardo alla sede di assegnazione dei propri dipendenti. Eventualmente, questi devono cercarsi una nuova casa nei pressi della sede di lavoro. In alcuni casi, tuttavia, i ccnl prevedono situazioni particolari (patologiche) per cui ai lavoratori interessati vengono riconosciute delle agevolazioni come l'avvicinamento alla sede più vicina alla propria abitazione.
Il DDL ritengo debba essere libero di poter gestire il proprio personale non superando i limiti che la legge gli garantisce. Già le norme sono un bel po' pesanti per gli imprenditori, se poi ci si mettono anche balzelli aggiuntivi di qualche libero pensatore siamo, alla frutta.
Come giustamente già accennato, il MC può dire la sua solo nei rischi previsti dalla normativa (rischi normati) ... ed anche gli organi di vigilanza dovrebbero fare la stessa cosa. Quel "aspettare al varco il datore di lavoro" mi sa tanto di braccio armato a favore del lavoratore, che non è detto abbia le carte in regola per ottenere certe cose (che comunque non afferiscono al coso 81). Mi fa rabbrividire solo al pensiero!
Il tragitto casa-lavoro non è tra i rischi normati !!
A pensar male si fa peccato ma ci s'azzecca!
La mobilità obbligatoria è stata introdotta da diversi anni nella PA con soglia a 50km. Non mi pare che ci siano stati suicidi di massa. Semmai da quanto leggo il problema è la "marginalizzazione", concetto che mi ricorda (magari sbagliando) il "mobbing". In sintesi non vedo come il Medico Competente possa intervenire sul percorso casa-lavoro (cosa già detta da altri colleghi). Se vi siano altre ragioni di "doglianza" suggerisco valutazione presso Centro di Medicina del Lavoro (ospedaliero o universitario) della propria regione arruolando "robusto" avvocato per far valere presso il il Datore di Lavoro le eventuali proprie ragioni.
come già scritto, non ritengo che il MC nell'ambito della sorveglianza sanitaria possa interferire sulle scelte del DL nell'assegnazione della sede del lavoratore.
Il MC può tener però presente questo dato nell'ambito della collaborazione con il Dl nella valutazione dei rischi, nel caso specifico riguardante lo stress correlato al lavoro.
Ci manca solo che il MC venga tirato per la giacchetta anche per questo... non rientra nel 81, non ampliamo lo spettro a dismisura. Che l'ASL si esprima così è inquietante su come la pensi e come consideri il rapporto DL-lavoratore...
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