Ciao. Mi stanno arrivando sempre più richieste da parte dei lavoratori di compilazione del primo certificato medico di infortunio sulla base di un test sierologico positivo (IgG) con successivo tampone negativo. Io non sono assolutamente d'accordo. Cosa ne pensate? Le FAQ sul sito INAIL dicono "Potrà confortare la diagnosi il risultato del test sierologico, qualora disponibile". Secondo me l'INAIL li ricuserà tutti, quindi perché devo solo perdere del tempo a compilare il certificato (peraltro gratuito visto che INAIL già da alcuni anni non li rimborsa più)?
Tralascio commenti e considerazioni sugli aspetti economici delle prestazioni rese all' INAIL. Credo anche che abbia scarsa rilevanza la previsione di respingimento o meno della richiesta di riconoscimento di infortunio.
Deve essere invece considerato che la trasmissione di malattie infettive è pacificamente considerata infortunio. Laddove per un lavoratore tutelato dall' INAIL, sia provata l'esposizione ad una situazione di rischio professionale e ne sia conseguita una infezione plausibilmente correlabile con il rischio stesso, non vedo alternative alla redazione del primo certificato. Evidentemente non tutte le infezioni saranno legate all'attività lavorativa, come non tutte le distorsioni alla caviglie lo sono. Compito dell' INAIL è accertare se la probabilità di origine professionale dell'infezione è sufficientemente alta da giustificare la tutela assicurativa. Non mi pare sostenibile l'argomentazione di non certificare quel che si dovrebbe poichè probabilmente l' INAIL non riconoscerà l'origine professionale
Ti ringrazio per la risposta. Il dubbio rimanente è legato alla validità del test sierologico come strumento per la diagnosi. Io credo che a monte ci venga richiesto di fare un minimo di filtro onde evitare di subissare l'INAIL con denunce di infortunio improprie che innescano surplus di lavoro e perdite di tempo per tutti (noi, INAIL, aziende). Mi viene in mente per analogia il caso dei Medici del Patronato che segnalano sospette malattie professionali totalmente campate per aria.
Credo che il cuore del problema sia l'accertamento del danno: la semplice presenza di anticorpi non costituisce, a mio avviso, dimostrazione di danno. Evidentemente la persistenza di difficoltà respiratorie si. In fase acuta credo che per attribuire i sintomi al coronavirus sia indispensabile un tampone positivo. Solo definito questo punto ha senso occuparsi di verificare la presenza di un rischio.Si potrebbe credo discutere per ore sul perchè contrarre l'influenza non sia considerato un rischio professionale e contrarre una infezione da coronavirus si. Se le Autorità hanno chiuso i luoghi di lavoro per bloccare i contagi e poi, al momento della riapertura, hanno imposto l'applicazione di specifiche misure preventive credo che si possa pragmaticamente ammettere che esiste un rischio occupazionale. Se questo rischio non è adeguatamente controllato è ragionevole redigere un primo certificato. Mutatis mutandis è come per la lombalgia. Sull'evitare pretstuose rivendicazioni concordo pienamente. Ricordo però che il giudizio sul riconoscimento assicurativo dell'evento è compito istituzionale dell' INAIL e che il MC non dovrebbe sostituirsi applicando propri criteri soggettivi, possibili fonte di ingiustizia
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