Gentili medici,
come preannunciato in qualche discussione fa, sono una studentessa in psologia presso l' unversità di PD alle prese con una ricerca sulla quale si baserà la mia tesi di laurea.
Qui di seguito riporto la mia intervista sperando che possa in qualche modo incuriosirvi e interessarvi...
Questa intervista è stata pensata come punto di avvio allo studio e all’ osservazione delle varie modalità con cui i Professionisti in Medicina amministrano la propria sfera emozionale nelle varie fasi di approccio al paziente e più specificatamente in quella particolare fase rappresentata dalla comunicazione della diagnosi infausta.
1)In generale, la relazione medico/paziente potrebbe mobilitare vissuti emotivi estremamente positivi ( euforia, ecc) o negativi,(sentimenti di aggressività, colpa, impulsi sessuali, ecc.)
Potrebbe esporci una sua esperienza e evidenziarne i sentimenti che ha provato? E come ha affrontato la situazione?
2) Negli anni ’70 e ’80 il tema della comunicazione della diagnosi ai pazienti affetti da malattie gravi o inguaribili come il cancro fu oggetto di crescente interesse e dibattito: da un lato si stava indebolendo il modello paternalistico del medico, visto come unico depositario della verità e titolare del diritto di dispensarla o meno, dall’ altro lato si formulava la coscienza dei diritti del paziente e dell’ utilità per lui di avere un ruolo attivo nella gestione della malattia.
Oggi è documentato che il paziente deve essere informato sulla diagnosi di malattia per vari motivi tra cui legali, etici, scientifici ( articoli 31 e 34 del Codice Deontologico).
Nonostante questo però, alcuni continuano a percepire l’ informazione della diagnosi infausta come una sorta di violenza nei confronti del malato.
Secondo il parere di alcuni medici, un formale consenso che preveda una completa ed esaustiva comunicazione al paziente di tutti gli aspetti del suo stato di malattia e delle sue reali prospettive terapeutiche, rappresenta ancora più un obiettivo che una realtà consolidata.
Quale è la sua opinione a riguardo?
3)Generalmente il compito di comunicare la diagnosi è affidato al responsabile del programma multidisciplinare,colui che fornisce il pacchetto decisionale diagnostico terapeutico completo
(il programma operativo e la generica prospettiva temporale). Ma sono molto frequenti casi in cui tale compito è stato delegato ad altre figure professionali dell’ equipe sanitaria a causa del forte disagio e dell’ importante investimento emozionale che questa situazione prevede.
Le è mai capitato di vivere un esperienza di questo tipo o di assistervi?
Potrebbe esporci i suoi vissuti emersi in tale situazione?
4)Dinnanzi alla particolare situazione della comunicazione della diagnosi infausta numerosi medici per sfuggire al proprio disagio e all’ incontro con l’ angoscia del paziente ricorrono a meccanismi di difesa quali: accanimento informativo, utilizzo di un linguaggio criptico e l’ esposizione di una diagnosi evacuativa.
Le è mai capitato di vivere un esperienza di questo tipo?E se sì, potrebbe descriverla?
Ringrazio tutti anticipatamente per la partecipazione...
Mi farebbe enormemente piacere se riportaste i vostri vissuti, le vostre o altrui esperienze a riguardo.
UN cordiale saluto
Mi piacerebbe rispondere ai tuoi quesiti, manda un indirizzo email o fax
ti rispondo manda tua mail
Dott.Andrea Capri
Specialista in Medicina del Lavoro
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