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FIBROMIALGIA

Questo argomento ha avuto 2 risposte ed è stato letto 3823 volte.

dr.alesiani

dr.alesiani
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  • FIBROMIALGIA
  • (26/11/2014 09:44)

Fibromialgia - Fatica cronica – Encefalomielite mialgica
( ICD 10 G93.3)

Tecnico di laboratorio chimico in industria farmaceutica, femmina, 50 anni, rischio chimico (più basso che medio.)

Patologia indagata e confermata in istituto universitario.
a- mutazione in omozigosi MTHFR C667T (trombofilia)
b- doppio genotipo GSMT1 e GSTT1 ( deficit glutatione transferasi)
c- mutazione in omozigosi SOD2 (deficit metabolizzazione enzimatica)
d- mutazione in omozigosi CYP2C19 (accelerazione metabolizzazione enzimatica)
e- deficit trasformazione ADP verso ATP
f- aumento DNA libero plasmatico (incremento degradazione-fatica cronica)
g- deficit vit.B3
h- deficit attività SOD extracellulare cromosoma 4
i- deficit Zn associato DNA
j- deficit metallotionine (Al,St,Hg)
Questi tests genetici accertano iper-reattività verso :tensioattivi, eteri,esteri, idrocarburi , etc..quindi facenti parte di alcune specifiche categorie e connesse con alterazioni enzimatiche coinvolte nei meccanismi scatenanti la sintomatologia patologica.

Giudizio idoneità:
Idoneità permanente con limitazione : non adibire a lavorazioni con utilizzo di…….

Qualcuno sa darmi un “conforto” ?
Grazie
Mario

Mario

dr.alesiani

dr.alesiani
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Roma
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497
  • Re: FIBROMIALGIA
  • (01/12/2014 10:09)

..Ebbene ?????

Mario

milvio.piras

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Cagliari
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Medico del Lavoro Competente
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601
  • Re: FIBROMIALGIA
  • (01/12/2014 14:34)

Sorbole!
Probabilmente più di uno di noi si aspettava il “solito” intervento di nofertiri9 a squarciare il buio in cui ci troviamo. Invece ti devi accontentare, al momento, del conforto di una modestissima opinione personale, giusto per non sentirti troppo solo.
Probabilmente la soluzione per cui propendi è quella su cui mi orienterei anche io : Idoneità permanente con limitazione : non adibire a lavorazioni con utilizzo di……. tutti quegli agenti chimici incriminati (che forse però equivale ad una non idoneità). Contestualmente si dovrebbe intervenire nell’ambiente e nell’organizzazione del lavoro per ridurre al minimo possibile, se non azzerare, l’esposizione (cappe aspiranti localizzate, idonei DPI e loro utilizzo scrupoloso, e via dicendo ove il caso …). E fino a qui ci arriviamo tutti.
Anche se poi, in realtà, si possono fare anche altre considerazioni, come ad esempio: nella vita privata con quante di queste sostanze la lavoratrice, come chiunque altro, del resto, viene a contatto, e con che frequenza ed entità, e in questo ambito ha mai avuto problemi?
Se, insomma, l’ambiente di lavoro risultasse addirittura più salubre di casa sua, il problema dovrebbe essere di molto ridimensionato o assumerebbe tutt’altro aspetto.
In ogni caso, pur non aspettandomi indicazioni particolarmente esaustive, io chiederei anche il parere di uno o più specialisti (quantomeno per non essere accusato di non averlo fatto), specificando il problema e indicando quale risposta mi aspetto, e, soprattutto in caso di risposta vaga e conseguente verdetto non gradito, anche a causa dell’impossibilità di garantire condizioni di esposizione compatibili con le necessità straordinarie dell’interessata, inviterei la lavoratrice, se non d’accordo, a presentare al più presto ricorso alla ASL competente, che si esprimerà in merito (è meglio la patata pelata che quella bollente, doppi sensi a parte).

Già che siamo in argomento, ho per le mani un lavoratore con lo stesso problema, anche se non esposto a rischio chimico, ma solo, eventualmente, a movimentazione manuale di carichi (dico eventualmente perché fa l’autista e gli toccano le operazioni di carico e scarico di un furgone, seppure con di pesi inferiori a 15 kg e frequenze molto basse: indice di rischio inferiore a 1).
In casi simili, il compito del medico competente dovrebbe essere quello di trovare la giusta misura per l’attività comportante l’impegno fisico, che non necessariamente deve essere assolutamente e totalmente evitato, ma, piuttosto, calibrato sulle esigenze personali del singolo lavoratore, coinvolgendo in questo anche gli specialisti che lo seguono, nonché il datore di lavoro, che deve riorganizzare allo scopo l’attività lavorativa. Altrettanto dicasi per altre situazioni di interesse ortopedico, neurologico e via dicendo.
Purtroppo, stretti tra Organo di Vigilanza, che giustamente pretende, e le resistenze del datore di lavoro, che spesso non ha intenzione di farsi carico di ulteriori problemi, soprattutto perché spesso mal consigliato dai quasi onnipresenti (si fa per dire) “consulenti”, abbiamo sempre il nostro bel daffare non tanto per trovare la soluzione ottimale del problema, quanto per cercare soluzioni di ripiego e pararci le terga in caso di contestazione di condotta imprudente.

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