La responsabilità dell’azienda in caso di licenziamento per inidoneità fisica poi risultata insussistente non può ritenersi attenuata per effetto dell’erroneo accertamento sanitario eseguito da un istituto pubblico. L’impresa è tenuta al risarcimento per non avere adeguatamente valutato il giudizio tecnico. È quanto stabilito da una recente sentenza della Cassazione (Cass. 17 febbraio 2004, n. 3114). Il caso in esame è quello di un’impiegata che nell’89 ha riportato lesioni in un incidente stradale al di fuori dell’attività lavorativa. Dopo il suo rientro in servizio, l’azienda l’ha fatta sottoporre ad accertamento d’idoneità fisica da parte del servizio medico delle Ferrovie dello Stato, avvalendosi della facoltà prevista dall’articolo 5 della legge n. 300 del ’70, secondo cui il datore può far controllare la capacità lavorativa di un suo dipendente da parte di enti pubblici e istituti specializzati di diritto pubblico. Poiché l’indagine si è conclusa con giudizio d’inidoneità, la lavoratrice è stata licenziata, nel luglio ’90, con motivazione riferita all’esito dell’accertamento svolto dalle Ferrovie dello Stato.
La lavoratrice ha impugnato il licenziamento davanti al pretore di Roma, che, con sentenza del dicembre ’93, ha rigettato la domanda, basandosi sul giudizio espresso dal servizio medico delle Fs. In grado d’appello, il tribunale della capitale ha nominato un consulente tecnico, conferendogli l’incarico d’accertare se l’inidoneità fosse o no temporanea. La relazione del consulente è stata ritenuta inadeguata dal tribunale stesso, che ha nominato un secondo perito. Questo nuovo accertamento si è concluso con un giudizio di temporaneità dell’inidoneità fisica. Conseguentemente, il tribunale, con sentenza del febbraio 2001, ha annullato il licenziamento, ha ordinato la reintegrazione nel posto di lavoro e ha condannato la società al risarcimento del danno in misura pari alla retribuzione relativa al periodo dal licenziamento alla reintegrazione. L’azienda ha proposto ricorso per cassazione, censurando la sentenza del tribunale per difetto di motivazione nella valutazione degli accertamenti peritali e, in via subordinata, per avere determinato in misura eccessiva l’importo del risarcimento.
Secondo l’azienda, il tribunale avrebbe dovuto considerare che essa si era basata sul giudizio del servizio medico delle Ferrovie dello Stato e, pertanto, non doveva rispondere dell’errore da questo commesso; pertanto, il risarcimento avrebbe dovuto essere determinato nella misura minima, di cinque mensilità, prevista dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, in quanto ha ritenuto che il tribunale avesse correttamente assolto all’obbligo della motivazione, basandosi sull’esito della seconda consulenza. Per quanto attiene alla misura del risarcimento, la Corte ha rilevato che la società datrice di lavoro non poteva dirsi esente da responsabilità, ovvero non poteva invocare una responsabilità attenuata, in quanto non aveva fornito la dimostrazione, ex articolo 1218 del codice civile, che l’inadempimento fosse dovuto a impossibilità della prestazione a essa non imputabile. Sotto quest’ultimo profilo, ha osservato la Corte, va precisato che la società si era servita del servizio sanitario delle Ferrovie dello Stato e quindi rispondeva del giudizio da esso espresso, per avere omesso di valutare adeguatamente la risposta ottenuta, potendo eventualmente ricorrere a ulteriori accertamenti sanitari.
A prima vista pazzesco
Mi pare che la società, se avesse effettuato- in proprio- accertamenti sanitari, avrebbe violato l 'art. 5 dello statuto dei lavoratori.
Sarebbe peraltro utile sapere se la lavoratrice era sottoposta a sorveglianza sanitaria e quale era stato il giudizio formulato dla MC, e se fosse stato presentato ricorso al giudizio all ' organo di vigilanza.
Mi pare, in ogni caso, stupefacente che il SS delle FS non sia stato chiamato a rispondere di quello che la cassazioen ha ritenuto un errore tecnico nell 'accertamento dell 'idoneità.
Mi associo senz 'altro a quanto già detto dal collega che è intervenuto precedentemente. Questo, purtroppo, succede sempre più spesso negli ultimi anni, mi chiedo come si possa giungere a conclusioni (addirittura sentenze !) che contrastano con ogni senso comune e con la concreta realtà quotidiana professionale che tutti noi viviamo giorno per giorno. Mi sembra una situazione "kafkiana", come si può chiedere una azienda di non fidarsi di un giudizio espresso da un Ente pubblico (o di diritto pubblico, come appunto l 'ispettorato sanitario delle FFSS) ? A questo punto può valere anche il caso opposto, cioè non accettare un giudizio di idoneità espresso dall 'Ente pubblico, magari anche in contrasto con quanto già espresso dal medico competente. E come decidere a che punto fermarsi ? cioè, in altri termini, quante consulenze mediche si devono fare eseguire per giungere a un giudizio "definitivo" ?? Tre, quattro .... concludere solo quando si raggiunge la maggioranza ?
Mi risulta che a un lavoratore, in quanto tale, non possa essere tolta l 'idoneità generica. D 'altra parte, le ditte devono assumere invalidi civili, anche con invalidità importante.Può essere dichiarato non idoneo per una determinata mansione, o idoneo con prescizioni. Comunque non può essere licenziato, ma avviato ad altra mansione compatibile. Sono fatti, questi, che finiscono, tra lo sdegno generale, sui giornali. Non credo che il caso in oggetto, riguardasse un tetraplegico, per cui ritengo che abbia sbagliato il medico a non considerare altre mansioni idonee anche per gli invalidi. A maggior ragione, poi, se l 'inabilità non era permanente.
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