Sto seguendo da qualche giorno questo thread, e intervengo oggi per esprimere a Maria Enrica Raeli l'entusiasmo che ha suscitato in me il suo intervento.
Ho trovato la volontà e la forza di volontà che di rado vedo, l'ostinazione tipica di quelli che -pochi- amano profondamente il proprio lavoro, l'analisi lucida di realtà che pure sono invisibili (sorvolate?) sotto gli occhi di tutti, l'onestà morale di cui vorrei fossero infarcite tutte le professioni, tutti i mestieri e persino tutte le arti.
Sono inoltre particolarmente contenta che il tutto avvenga in una ASL (Viterbo) dove anche i miei colleghi Igienisti Industriali, che conosco e stimo tantissimo, fanno lavori egregi e di alto profilo pratico: è evidente che lì c'è un buon "Capo", ringraziatelo di esistere anche da parte mia!
Nofer
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Ognuno di noi, da solo, non vale nulla.
Visto l'elevato interesse per l'argomento abbiamo chiesto ed ottenuto un parere dal Prof. Abbritti e dal Prof. Apostoli, coordinatori rispettivamente del programma di formazione continua e d'eccellenza e delle Linee Guida della SIMLII.
Il recente intervento di Lastrucci fornisce una occasione propizia per contribuire al dibattito in corso su situazione e prospettive della nostra Disciplina, anche se ci rendiamo conto che non è facile approfondire, in occasioni e sedi come questa, i numerosi problemi sollevati dai colleghi intervenuti nel dibattito e soprattutto individuarne le soluzioni. Si tratta di problemi molto complessi che coinvolgono sia i medici del lavoro che svolgono attività libero professionale, che quelli che lavorano nei servizi di prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro, sia gli ospedalieri che gli universitari che hanno un ruolo di rilievo nella formazione degli specialisti.
Vogliamo anzitutto esprimere il nostro dissenso sulle conclusioni alle quali, partendo da considerazioni iniziali in parte condivisibili, giunge il collega Lastrucci.
Estendere, infatti, la possibilità di svolgere le funzioni di medico competente ad altri specialisti, quali gli igienisti e i medici legali, i cui curricula formativi sono completamente diversi da quelli dei medici del lavoro e non prevedono né una formazione clinica specifica né lo studio dell’ambiente di lavoro, dei fattori di rischio professionali e degli strumenti più idonei per prevenirne gli effetti, porterà, inevitabilmente, ad un ulteriore scadimento della qualità delle attività di prevenzione e, quindi, ad un risultato opposto a quello desiderato.
Le difficoltà che incontrano le attività di prevenzione in generale, e quelle nei luoghi di lavoro in particolare, vengono da lontano; noi ci limitiamo ad alcune osservazioni, in ordine sparso e senza alcuna pretesa di completezza.
- Nel nostro Paese la prevenzione non è ancora un valore condiviso dalla collettività e manca una diffusa cultura della prevenzione; ne consegue da un lato che quasi mai vengono assegnate risorse sufficienti (personale, fondi, apparecchiature, ecc.) ai servizi territoriali di prevenzione, con ricadute sulle loro attività sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo; dall’altro la prevenzione nei luoghi di lavoro viene vista dalla maggior parte dei datori di lavoro come un adempimento burocratico, poco utile, non produttivo, costoso e sganciato, anche nelle aziende migliori, dal sistema di qualità aziendale.
- Il D.L.vo 626/94 ha determinato una richiesta molto elevata di medici del lavoro; alcuni di essi, di vecchia e nuova formazione, e alcune società di servizi hanno trovato facile e conveniente affrontare i problemi della prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro senza tener conto della complessità dei compiti e della elevata competenza professionale necessaria (favoriti probabilmente dalla difficoltà di controllo da parte di alcuni organi di vigilanza e dall’atteggiamento dei datori di lavoro già menzionato). Tali aspetti hanno pesato sicuramente sul giudizio non sempre positivo che diversi soggetti (datori di lavoro, forze sindacali, organi di controllo, ecc.) esprimono sull’operato di alcuni medici del lavoro. Giudizi non positivi che vengono poi amplificati da chi ha l’interesse specifico di denigrare l’attività svolta dai medici del lavoro.
Non bisogna infine dimenticare che i medici competenti hanno spesso un limitato potere contrattuale nei confronti dei datori di lavoro; potere contrattuale che potrebbe essere forse maggiore se le attività di vigilanza potessero essere svolte dai servizi pubblici in modo più omogeneo su tutto il territorio nazionale.
- Anche le Università hanno i loro problemi, largamente noti, per acquisire finanziamenti, personale docente e non docente, apparecchiature e così via.
Alla sempre più grave carenza di fondi e di personale si associa una richiesta didattica sempre maggiore poiché la nostra disciplina viene oggi insegnata anche in numerose Scuole di specializzazione e lauree brevi. Il rilevante carico didattico limita le possibilità di sviluppare altre attività parimenti importanti. Ma simili difficoltà interessano tutte le Scuole di specializzazione; pertanto il problema della scarsa formazione dei medici del lavoro rilevato da Lastrucci non troverebbe automatica e convincente soluzione nell’estendere agli specialisti in igiene e in medicina legale la possibilità di svolgere, oltretutto senza alcuna formazione specifica, le funzioni di medico competente.
- Per quel che riguarda le nostre scuole di specializzazione, possono anche non fornire una formazione omogenea a livello nazionale e avere qualche carenza formativa per i problemi sopra citati. Ciononostante non si può disconoscere l’impegno profuso da molte Scuole nella formazione specialistica e post-specialistica; a tal riguardo, è possibile consultare il sito https://www.SIMLII.net dove sono elencati i convegni e i seminari organizzati nel 2005 da diverse Scuole, per l’aggiornamento sia degli specializzandi che degli specialisti.
Accanto a ciò che possono e devono fare le Università nella formazione del medico e nella formazione dello specializzato in medicina del lavoro , va però ricordato anche ciò che possono e devono fare le Società Scientifiche. Vorremmo pertanto soffermarci su alcune delle attività svolte dalla SIMLII, negli ultimi anni, per promuovere la crescita professionale dei medici del lavoro. Tali attività sono riportate in dettaglio negli “articoli del mese” di Febbraio e Marzo del sito https://www.medicocompetente.it.
La SIMLII si è posta il problema della qualità nell’attività professionale dei medici del lavoro sin dal 2000 (atti dei Congressi Nazionali 2000-2004 ), anticipando di molto il dibattito odierno,.
Nell’articolo del mese di Febbraio si afferma che “le motivazioni che hanno spinto il Direttivo della SIMLII a promuovere il suo programma per la formazione continua e l’accreditamento si possono così riassumere:
1) l’attività del medico del lavoro è caratterizzata da una grande complessità che richiede l’acquisizione di competenze sempre nuove, a causa del continuo mutamento degli ambienti di lavoro, delle tecnologie, degli strumenti e dei materiali usati, dell’organizzazione del lavoro e, di conseguenza, dei rischi e delle patologie causate e/o aggravate dall’attività lavorativa….
E’ quindi indispensabile acquisire una metodologia rigorosa nello studio sia dell’attività lavorativa che dei rischi e delle patologie che possono derivarne.
2) Il medico del lavoro, pertanto, anche dopo il conseguimento della specializzazione, dovrà continuare ad aggiornare le proprie conoscenze in molteplici ambiti, da quelli tossicologici ed epidemiologici, ... così come è necessario coltivare la competenza in ambito clinico, ... per esprimere un giudizio di idoneità ponderato... e per acquisire credibilità nei confronti dei lavoratori e dei datori di lavoro.
3) Lo specialista in medicina del lavoro dovrà sempre meno configurarsi come il professionista chiamato ad eseguire soltanto la sorveglianza sanitaria, ma come la figura tecnica di riferimento nella valutazione e gestione dei rischi, nella informazione e formazione, nell’emergenza e primo soccorso, nella promozione della salute nei luoghi di lavoro…
La nostra Società ha anche avviato, nel Gennaio 2003, un programma triennale di formazione e di accreditamento, che si svolge al momento in 9 sedi distribuite in tutta Italia. A tale programma, riservato agli specialisti in medicina del lavoro o autorizzati ai sensi del D.L.vo 277/91, partecipano ad oggi oltre 500 medici del lavoro, che finora hanno valutato positivamente gli eventi formativi organizzati nelle diverse sedi.
La SIMLII ha contemporaneamente promosso la stesura di linee guida su temi di primaria importanza (vedi il sito https://www.medicocompetente.it, articolo del mese di Marzo). Dal 2003 sono state pubblicate dodici linee guida. Altre tre sono in stampa ed otto sono in elaborazione. Si sta così delineando un robusto corpo di pubblicazioni utili alla formazione ed all’aggiornamento del Medico del Lavoro-Medico Competente.
La decisione di produrre proprie linee guida, presa ben prima della approvazione del famigerato articolo 1bis, è nata dal convincimento, già espresso, che la professione del Medico del Lavoro ha specificità, complessità, rapidità di evoluzione tali da consigliare, alla Società Scientifica che maggiormente li rappresenta, di predisporre strumenti idonei allo sviluppo delle loro attività. Impegnarsi nella produzione di linee guida è diventato così, nei fatti, una scelta strategica di difesa e promozione del nostro ruolo e della nostra identità.
Da quanto sopra esposto risulta chiaro che la SIMLII, fra tante altre cose, ritiene indispensabile che:
-il medico del lavoro operi seguendo criteri di qualità ed etica professionale;
-conosca in modo approfondito l’ambiente di lavoro e tutti i fattori di rischio presenti;
-partecipi alla valutazione dei rischi sin dall’inizio, anche quando il processo di valutazione si concluda con la esclusione della necessità della sorveglianza sanitaria;
-il protocollo sanitario sia basato sui rischi che emergono dalla suddetta valutazione;
-l’informazione e formazione siano considerate attività importantissime nel processo preventivo, che devono riguardare, fra gli altri, anche i datori di lavoro.
Il raggiungimento di questi obiettivi, come più volte sottolineato, non è facilitato dall’estensione ad altri specialisti, privi della formazione necessaria, della possibilità di svolgere le funzioni di medici competenti.
Il documento della SIMLII “Definizione di medico competente nel T.U.” (pubblicato nel sito https://www.SIMLII.net) illustra in dettaglio le argomentazioni a sostegno di questa posizione. Per gli stessi motivi la SIMLII è contraria ad istituire un unico Albo di “medici competenti”, in cui possano essere iscritti sia gli specialisti in medicina del lavoro che quelli in igiene e in medicina legale.
In conclusione, siamo consapevoli che il processo avviato dalla SIMLII, sicuramente migliorabile con il contributo di tutti i medici del lavoro (libero-professionisti, dei Servizi, universitari, ospedalieri, degli Enti, etc.), sia iscritti (attualmente circa 1900) che non iscritti alla Società, non risolve tutti i problemi della Medicina del lavoro, ma può rappresentare un buon punto di partenza. Per procedere oltre è indispensabile prendere piena coscienza dei problemi della disciplina e, tutti insieme, realizzare le iniziative più adeguate per raggiungere la più elevata qualità professionale.
Un cordiale saluto a tutti.
Giuseppe Abbritti
Coordinatore del Programma di formazione
continua e accreditamento d’eccellenza SIMLI
Pietro Apostoli
Coordinatore delle Linee Guida SIMLII
La redazione di MedicoCompetente.it
Aggiungiamo un'altra risposta (proveniente come molte altre sopra riportate da uno scambio di e-mail fra colleghi), come le altre piena di calore e di passione per la disciplina.
Caro Lamberto, sei temerario. ma l'argomento è stimolante e poi ammiro la tua voglia di non accettare supinamente l'attuale situazione "degradata" anche a costo di urtare qualche suscettibilità.
Ciò che dici è vero la qualità della medicina del lavoro sul campo è bassa e sembra prevalere nettamente una pratica diciamo commerciale/burocratica piuttosto che la reale espressione di una professionalità specifica. Credo tu abbia pensato che è meglio un laureato frescop in medicina dello sport che magari va in fabbrica davvero e si fa 2 domande che il barone o lo "specialista monopolista" che appalta e lucra sul titolo. Accetto la provocazione ma non mi sembra di dover arrivare fino a queste conseguenze estreme. Hai ragione è necessario uno scatto culturale ma aprire a specializzazioni non attinenti non credo ci aiuterebbe a farlo, anzi.
Credo che ci siano diversi determinanti in questa situazione. In primis condivido ciò che da tempo dice Anna maria Loi. La privatizzazione bruta della tutela della salute dei lavoratori fa si che la garanzia di qualità sia demandata esclusivamente al codice etico del singolo professionista che per altro spesso per far valere la propria professionalità deve mettere a rischio concreto il proprio posto di lavoro.
E' come se chiedessimo ogni giorno di fare l'eroe ai nostri colleghi. Io credo che a chi pensa le regole competa l'onere di creare condizioni in cui sia almeno garantita la serenità di chi vuole lavorare bene. Tutti sappiamo che un medioco del lavoro coscienzioso può evidenziare problemi e creare necessità all'interno dell'azienda, che diventano in ultima analisi costi, evitabili se il medico non è coscienzioso. E allora ha ragione
AnnaMaria si fa prima a cambiare medico.Questo vuol dire, a mio avviso, che dobbiamo inventarci un sistema per riconoscere e tutelare la funzione di pubblica utilità che questa figura esercita, liberandola, nella giusta misura, dalla dinamica meramente mercantile. Mi dicono che gli esempi ci sono in altri paesi. Io non lo so ma mi viene in mente che se il contratto stipulato avesse un riconoscimento pubblico (che ne so, depositandolo presso di noi o richiedendo motivazione per la rescissione, ecc) si potrebbe anche pensare ad un massimale analogamente ai medici di medicina generale ed ad una tariffazione minima che garantisca dalla svendita delle prestazioni. In un sistema più governato mi sembrerebbe più facile far crescere la qualità anche ripensando in un ottica più moderna la formazione. I medici che frequentano le scuole di specializzazione avrebbero secondo me giovamento a fare periodi di tirocinio pratico nei servizi, ma i medici dei servizi necessitano di un maggior rapporto con l'università e di una università maggiromente in grado di offrire un aggiornamento di qualità. Quanto è aggiornato alla realtà attuale dei luoghi di lavoro il bagaglio di tossicologia di ognuno di noi? Quanto sappiamo di genetica e di suscettibilità individuale ai tossici? Quanto sappiamo di neuroendocrinologia , stress e alterazioni conseguenti dagli effetti sulla vita riproduttiva alle alterazioni del sonno e così via.
Mi fermo. Quello che mi premeva dire è che mi pare ci si sia troppo identificati con la funzione di ente di controllo dimenticando i compiti di istituto affidatici dalla 833. In primis l'individuazione dei rischi. Il fatto è che se non facciamo identificazione dei rischi non saremo alla lunga nemmeno in grado di verificare se quella che fa il DDL è corretta. e nel processo di identificazione dei rischi la "cultura" del medico, insieme a
quella delle altre professionalità, è indispensabile.
Ti abbraccio
Dusca Bartoli
La redazione di MedicoCompetente.it
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