ex utente da milano
DIREZIONE CENTRALE PRESTAZIONI
SOVRINTENDENZA MEDICA GENERALE
AVVOCATURA GENERALE
Prot.n.7876/bis
Roma, 16 febbraio 2006
A TUTTE LE UNITA’ CENTRALI E TERRITORIALI
Oggetto: Criteri da seguire per l'accertamento della origine professionale delle malattie
denunciate
Premessa
Le patologie denunciate all’Istituto come malattie professionali dotate di una patognomonicità che
consenta una attribuzione di eziologia professionale con criteri di assoluta certezza scientifica
costituiscono ormai una limitata casistica.
Attualmente prevalgono, infatti, malattie croniche degenerative e malattie neoplastiche e, più in
generale, a genesi multifattoriale, riconducibili a fattori di nocività ubiquitari, ai quali si può essere esposti
anche al di fuori degli ambienti di lavoro, oppure a fattori genetici.
Il lungo periodo di latenza di alcune di queste malattie, inoltre, rende difficoltosa, quando non
impossibile, la puntuale ricostruzione delle condizioni esistenti nell'ambiente di lavoro, nel momento in cui
si sarebbe verificata l’esposizione a rischio. Il rapido mutamento delle tecnologie produttive, infatti, ha
indotto le imprese ad adeguare i macchinari, le attrezzature, i cicli produttivi e l’organizzazione aziendale,
con la conseguenza che la situazione oggettivamente riscontrabile al momento della denuncia della
malattia professionale è radicalmente diversa da quella esistente all’epoca rispetto alla quale va valutata
l’eziologia della malattia stessa.
La stessa problematica, sia pure per motivi diversi, si presenta anche per patologie che non sono
caratterizzate da lunghi periodi di latenza.
Come è noto, infatti, per effetto delle pronunce della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, la
prescrizione del diritto a conseguire le prestazioni non decorre fino al momento in cui l’inabilità causata
dall’evento lesivo non abbia raggiunto il grado minimo indennizzabile e, inoltre, la possibile origine
professionale della patologia e la sua incidenza inabilitante non siano conoscibili per l’assicurato.
In conseguenza di ciò e del lento decorso delle patologie, sono numerosi i casi in cui la malattia viene
denunciata comunque all’Istituto molto tempo dopo che il soggetto è stato esposto a rischio e la patologia
stessa ha iniziato il suo decorso.
Il radicale mutamento dei caratteri delle malattie professionali ha, quindi, indotto la giurisprudenza a
indicare principi interpretativi e applicativi delle norme del T.U. regolanti la materia, sia in tema di
esposizione a rischio che di nesso di causalità, che ne hanno adeguato il significato alla nuova realtà che
esse devono disciplinare e al dettato costituzionale.
Nel confermare le istruzioni di cui alle precedenti circolari, quanto al flusso procedurale della trattazione
delle domande di riconoscimento di malattie professionali, è necessario richiamare alcuni fondamentali
principi di natura sostanziale, al fine di garantire una uniforme applicazione degli stessi ed una omogenea
trattazione della materia.
Esposizione a rischio.
La presenza nell’ambiente lavorativo di fattori di nocività, quando non sia possibile riscontrare con
certezza le condizioni di lavoro esistenti all’epoca della dedotta esposizione a rischio, può essere desunta,
con un elevato grado di probabilità, dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari
presenti nell'ambiente di lavoro e dalla durata della prestazione lavorativa.
A tale scopo ci si dovrà avvalere dei dati delle indagini mirate di igiene industriale, di quelli della
letteratura scientifica, delle informazioni tecniche, ricavabili da situazioni di lavoro con caratteristiche
analoghe, nonché di ogni altra documentazione e conoscenza utile a formulare un giudizio fondato su
criteri di ragionevole verosimiglianza.
La valutazione dell’efficienza causale degli agenti patogeni va effettuata non in astratto ma in concreto,
cioè con riferimento alle condizioni fisiche del singolo lavoratore.
Non può, pertanto, escludersi l’efficienza causale, nel caso concreto, di fattori di rischio in quanto inferiori
alle soglie previste dalla normativa prevenzionale, che sono misurate in relazione a un astratto lavoratore
medio, dovendo essere valutata, piuttosto, la variabilità della risposta individuale alle sollecitazioni
dell’agente patogeno.
Ne consegue che la valutazione finale dell’esposizione a rischio è rimessa alla funzione medico-legale,
poiché richiede un giudizio di sintesi che tenga conto non soltanto dell’entità dei fattori di nocività
presenti nell’ambiente di lavoro ma anche della variabilità della sensibilità dello specifico soggetto che agli
stessi è stato esposto.
In caso di malattia tabellata, una volta che sia accertata l’adibizione non saltuaria od occasionale alla
lavorazione specificamente indicata in tabella, l’esposizione a rischio deve intendersi sussistente, salvo
che non sia provato, da parte dell’INAIL, che la lavorazione stessa non abbia, in concreto, idoneità lesiva
sufficiente a causare la patologia.
Nesso di causalità
Una volta accertata, nei termini sopraindicati, la nocività dei fattori di rischio lavorativi, si potrà passare
alla valutazione del nesso di causalità tra detti fattori di rischio e la patologia denunciata come malattia
professionale.
L’ impossibilità di raggiungere una assoluta certezza scientifica in ordine alla sussistenza del suddetto
nesso causale non costituisce, peraltro, motivo sufficiente per escludere il riconoscimento della eziologia
professionale.
A questo fine, infatti, la giurisprudenza consolidata e concorde della Corte di Cassazione ritiene sufficiente
la ragionevole certezza della genesi professionale della malattia.
Tale ragionevole certezza, che non può certamente consistere in semplici presunzioni desunte da ipotesi
tecniche teoricamente possibili, deve ritenersi sussistente in presenza di un elevato grado di probabilità
dell’etiopatogenesi professionale, desumibile anche da dati epidemiologici e dalla letteratura scientifica.
L’accertamento della sussistenza del nesso eziologico, sia pure in termini di probabilità qualificata, tra il
rischio lavorativo e la patologia diagnosticata deve indurre a riconoscere la natura professionale della
stessa anche quando abbiano concorso a causarla fattori di rischio extralavorativi.
Nel caso di concorrenza di fattori professionali con fattori extraprofessionali trovano, infatti, applicazione i
principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p., che, in quanto principi generali dell’ordinamento giuridico, sono
applicabili anche alla materia dell’ assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
In particolare, in forza del principio di equivalenza, causa di un evento è ogni antecedente che abbia
contribuito alla produzione dell’evento stesso, anche se di minore spessore quantitativo o qualitativo
rispetto agli altri, salvo che sia dimostrato l’intervento di un fattore causale da solo sufficiente a
determinarlo.
Ne consegue che, una volta che sia accertata l’esistenza di una concausa lavorativa nell’eziologia di una
malattia, l’indennizzabilità della stessa non potrà essere negata sulla base di una valutazione di
prevalenza qualitativa o quantitativa delle concause extralavorative nel determinismo della patologia.
Sul piano operativo, da quanto sopra consegue che:
1. nel caso in cui risulti accertato che gli agenti patogeni lavorativi siano dotati di idonea efficacia causale
rispetto alla malattia diagnosticata, quest’ultima dovrà essere considerata di origine professionale, pur se
sia accertata la concorrenza di agenti patogeni extralavorativi (compresi quelli genetici) dotati anch’ essi
di idonea efficacia causale, senza che sia rilevante la maggiore o minore incidenza nel raffronto tra le
concause lavorative ed extralavorative;
2. se gli agenti patogeni lavorativi, non dotati di autonoma efficacia causale sufficiente a causare la
malattia, concorrono con fattori extralavorativi, anch’ essi da soli non dotati di efficacia causale adeguata,
e operando insieme, con azione sinergica e moltiplicativa, costituiscono causa idonea della patologia
diagnosticata, quest’ultima è da ritenere di origine professionale. In questo caso, infatti, l’esposizione a
rischio di origine professionale costituisce fattore causale necessario, senza il quale l’evento non avrebbe
potuto determinarsi (ad es. tumore del polmone in soggetto fumatore esposto a rischio lavorativo da
amianto);
3. quando gli agenti patogeni lavorativi, non dotati di sufficiente efficacia causale, concorrano con fattori
extralavorativi dotati, invece, di tale efficacia, è esclusa l’origine professionale della malattia
IL DIRETTORE CENTRALE
(dr Maurizio Castro)
billi
Predicare bene e razzolare male. Potrei citare decine di denunce di malattie professionali che portano da una parte l'azienda a subire gli strali del servizio SPRESAL dall'altro il lavoratore a vedersi negata la malattia. Due casi negli ultimi giorni: un lavoratore che ha visto classificata l'epicondilite cronica per cui e' stato anche sottoposto ad intervento chirurgico come malattia comune (LAVORO AD UNA CATENA DI MACELLAZIONE: MOVIMENTI RIPETTIVI DA ANNI) ed un altro che, sordo con un ipoacusia del quarto grado Merluzzi per esposizione pluriennale a 90 dbA (SEGANTINO DEL SETTORE TAGLIO MARMI) si e' visto dichiarare :L'ASSENZA DELLA MALATTIA! Ditemi voi...
Concordo al 110 per cento con quanto affermato dala Collega Trovato. Anche per me c'è l'esperienza frequente di ditte che, dopo una denuncia di m.p., si vedono recapitati verbali di Organi di Vigilanza con multe di migliaia di euro, mentre l'INAIL nega la presenza della malattia. Recentemente poi ad un convegno ho sentito un alto dirigente INAIL "cazziare" i medici competenti perchè, a suo dire, non fanno segnalazioni di malattia professionale. Posso solo dirvi che, personalmente, negli ultimi 3/4 anni ho segnalato all'INAIL almeno 10-15 mp per anno... poi loro ne hanno riconosciute si e no 3-4 l'anno.....Chissà forse sono io che mi sto invecchiando e non riesco ad applicare lo stesso "rigore scientifico" dell'Istituto assicuratore....
Sergio Truppe
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"Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiero in gran tempesta, non donna di provincia, ma bordello"
Mi è capitato ultimamente il caso di un intonachista (mio assistito di medicina generale) per il quale ho compilato il certificato per malattia professionale (epicondilite diagnosticata anche in seguito a vari esami ecografici). Mi sembrava così evidente l'origine professionale della malattia che ho ritenuto il caso di interesse INAIL, non compilando il certificato INPS per il periodo di riposo che avevo consigliato. L'INAIL ha respinto il caso perché non ha ritenuto provata l'esposizione professionale (francamente ho sempre visto, come medico del lavoro, gli intonachisti muovere ed utilizzare molto il gomito). Non è stato riconosciuto neanche il periodo di inabilità temporanea. Ma quel che è peggio è che, a quanto è stato detto all'interessato, non è possibile passare la pratica all'INPS in caso di periodi di inabilità temporanea "denunciati" come malattia professionale e non riconosciuti dall'INAIL. In conclusione per le varie settimane che il nostro intonachista non ha lavorato perché non riusciva ad utilizzare in modo proficuo il suo gomito, nessuno gli ha corrisposto un salario (né il Datore di lavoro, né l'INAIL , né l'INPS).
Risulta a qualcuno che le cose siano davvero così?
Tony Porro
billi
Non mi pare che sia cosi'. Fermo restando che si stigmatizza fortemente il comportamento dei medici INAIL che riescono a negare il nesso di causa ed effetto di evidenti malattie professionali, penso che non bisogna passare all'INPS alcuna pratica. Semmai vi e' un anno di tempo per presentare domanda all'INPS; pena prescrizione, per avere diritto alle prestazioni malattia. Ed in ogni caso VA FATTO IL RICORSO GIUDIZIARIO contro l'INAIL.
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