La regolamentazione del lavoro dei giovani (minori e apprendisti) in Italia è una tematica, vasta ed eterogenea, che fonda le proprie radici nei primi anni del secolo scorso e si è sviluppata parallelamente all'evoluzione della giurisprudenza, del mercato del lavoro e della sanità pubblica.
Il giovane avviato al mestiere presenta non poche peculiarità, anche in considerazione di una tradizione di attenzione nei confronti della manodopera all'inizio della propria carriera di lavoro. La legislazione protettiva dei rischi presenti sul lavoro nacque infatti nel nostro, come in tutti i paesi europei, proprio a partire dalla volontà di salvaguardare le fasce più deboli della popolazione lavorativa, donne e fanciulli (1). Verso la metà degli anni '50 si aggiunse a questo intento di protezione della salute, lo scopo di meglio indirizzare le scelte del giovane che apprende un lavoro (apprendista), offrendogli all'atto dell'avviamento al lavoro come apprendista, oltre che un controllo fisico, anche un colloquio di "orientamento", per esplorarne attitudini, capacità cognitive, aspirazioni e formulare, nel "consiglio di orientamento", un suggerimento sull'opportunità o meno di proseguire nel campo scelto (Legge 25/1955 - Disciplina dell'apprendistato).
Tuttavia, solo nel 1967 venne promulgata la Legge 977 (Tutela del lavoro dei bambini e degli adolescenti), il cui testo - con le modificazioni derivanti dal recepimento di normative comunitarie e, più in generale, dal mutato background socio-economico - è tutt'oggi in vigore. Con tale Legge avvenne il distacco della disciplina legale del lavoro dei minori da quello femminile, sino ad allora accomunati a livello normativo. Ci si pose come obiettivo prioritario quello di raccordare il mondo del lavoro con le esigenze di sviluppo fisico e psichico, con la formazione scolastica obbligatoria e con la formazione professionale necessaria ad un adeguato inserimento nel mercato del lavoro.
La disciplina, nell'attuale formulazione, prevede due condizioni imprescindibili per la costituzione di un rapporto di lavoro con un soggetto minorenne: il compimento del quindicesimo anno di età e l'adempimento dell'obbligo scolastico (2). Tuttavia il recente D.M. 139/2007, ha innovato la materia introducendo l'obbligo di un percorso di studi della durata di almeno 10 anni. Tale innalzamento ha de facto determinato una sfasatura temporale di un anno tra l'età minima per l'immissione al lavoro (15 anni) e l'età del termine della scuola dell'obbligo (16 anni).
La normativa contempla limitazioni generali che vietano l'impiego di adolescenti in lavorazioni che espongono a rischi legati alla mancanza di esperienza e all'assenza della necessaria consapevolezza dei rischi esistenti o virtuali; in attività che vadano obiettivamente al di là delle loro capacità fisiche o psicologiche; che implichino esposizione a svariate sostanze o mansioni potenzialmente nocive, elencate in allegato alla Legge.
I due filoni legislativi - quello sulla tutela del lavoro dei minori e quello disciplinante l'apprendistato - presentavano punti di contrasto in merito a svariati aspetti tra cui, in particolare, l'età minima di accesso al lavoro e l'orario massimo settimanale consentito. La circolare 150/1971 dell'allora Ministero del Lavoro indicò che in caso di conflitto venisse adottata la normativa più favorevole alla tutela del minore (Legge 977/1967), poi confermata dalla Corte di Cassazione (n. 2555 del 26 marzo 1974).
Con il D.Lgs 626/94, e il successivo D.Lgs 81/08, la definizione di lavoratore è stata estesa agli utenti dei servizi di orientamento o di formazione scolastica, universitaria e professionale, laddove vengano svolte attività pratiche e/o di stage con esposizione a rischi occupazionali. Nel corso degli anni, tuttavia, parallelamente al diffondersi dei contratti di apprendistato, il peso del momento formativo si è progressivamente ridotto a vantaggio del momento occupazionale. In questo contesto - a seguito dell'Accordo per il Lavoro firmato il 24 settembre 1996 tra Governo, sindacati e datori di lavoro - è scaturito il testo della Legge 196/1997 (Norme in materia di promozione dell'occupazione, c.d. "Pacchetto Treu") in cui il Legislatore ha voluto perseguire l'obiettivo di favorire l'inserimento qualificato nel mondo del lavoro cercando, al tempo stesso, di limitare il più possibile le situazioni di illegalità.
Per garantire l'effettività della formazione il testo della Legge prevede che la concessione delle agevolazioni contributive legate all'impiego di apprendisti sia condizionata all'effettiva partecipazione di questi alle iniziative di formazione esterne all'azienda previste nei contratti collettivi.
La formazione deve essere impartita sia nell'ambito aziendale sia da strutture esterne, sotto il coordinamento di Regioni e Province Autonome, per almeno 120 ore annue.
Gli apprendisti devono, inoltre, essere affiancati da tutor (lavoratori esperti) per l'approfondimento delle conoscenze professionali. La fascia utile per stipulare un contratto di apprendistato era stata compresa tra i 16 e i 24 anni, elevabile di 2 anni nelle aree considerate svantaggiate dall'Unione Europea.
Il D.Lgs 276/2003, attuativo della Legge 30/2003 (impropriamente conosciuta come "Legge Biagi"), nell'ambito di un'estesa riforma del mercato del lavoro, ha modificato ulteriormente l'istituto dell'apprendistato, articolandolo in tre fasce:
- Apprendistato per l'espletamento del diritto/dovere di istruzione e formazione (15-18 anni);
- Apprendistato professionalizzante, per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e un apprendimento tecnico-professionale (18-29 anni);
- Apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione (18-29 anni).
Ciascuna delle tre tipologie di contratto è regolata dalle Regioni/Province Autonome e dai contratti collettivi.
Sebbene, ad oggi, l'applicazione della nuova disciplina sia ancora parziale, negli ultimi anni il rapporto di apprendistato ha assunto un peso crescente nel mercato del lavoro, estendendosi progressivamente in tutti i settori economici sino a diventare l'unico rapporto di lavoro esistentea valenza formativa e raggiungendo, a fine 2006, il numero di oltre 550.000 contratti attivi in Italia.
Dati epidemiologici
Non è agevole risalire al preciso numero di occupati per le varie fasce di età, in particolare qualora lo si voglia riferire al solo artigianato o piccola impresa, e al relativo numero di infortuni e malattie professionali.
Comunque, dati INAIL relativi all'anno 2008, riportano 2405 infortuni (di cui 4 mortali) denunciati per soggetti di età inferiore ai 17 anni (1,7% del totale; 0,005% relativamente agli infortuni mortali) e 194.282 infortuni (di cui 267 mortali) per la fascia di età 18-34 anni (37,4% del totale; 30,5% dei mortali). I rispettivi dati relativi alle aziende artigiane sono di 39 infortuni (nessun caso mortale)per la fascia inferiore ai 17 anni (0,01% del totale) e 9.329 (di cui 20 mortali) per la fascia di età 18-34 anni (22,4% del totale; 17,1% dei mortali).
Relativamente agli apprendisti - in tutti i settori produttivi - il trend degli infortuni risulta dal 2004 al 2008 rispettivamente di 8894 casi di infortunio (7,03% del totale), 8653 (7,13%), 8686 (7,42%), 8356 (7,48%) 7225 (7,44%) con una evidente stabilità percentuale negli anni. In Toscana, per i soggetti di età inferiore a 29 anni, nell'arco di tempo 2000/2007 sono stati indennizzati 109.232 infortuni (su un totale di 428.582) di cui il 9,4% per la fascia di età 15-19 anni, il 28,5% per fascia 20-24 e il restante 62,1% fino ai 29 anni. Per la stessa Regione e la medesima fascia di età ed arco temporale, le dermatiti risultano la causa più frequente di malattia professionale (73 dei 148 casi indennizzati).
Riguardo alle malattie professionali, i dati INAIL relativi al 2008 riportano che su 16001 pratiche definite, 3769 (23,6%) sono relative al settore artigiano; di queste 1163 sono state indennizzate (30,8%), 495 riconosciute ma non indennizzate (13,1%) e 2111 non riconosciute (56%), dove i rispettivi valori per il settore "non artigiano" riportano 2960 casi indennizzati (24,4%), 1728 riconosciuti ma non indennizzati (9,7%), 7444 non riconosciuti (61,4%), con una tendenza ad una maggior percentuale di riconoscimento nel settore artigiano. Le malattie non tabellate costituisconol'88% delle cause di richiesta di riconoscimento di malattia professionale nel settore artigiano el'86,1% delle forme riconosciute.
Studi su apprendisti
Un aspetto particolare è quello delle attività pratiche svolte presso scuole professionali - cui accedono per lo più soggetti giovani, senza precedente esperienza nel mondo del lavoro - che presenta, seppur generalmente con maggiori situazioni di controllo, gli stessi fattori di rischio insiti nell'attività lavorativa vera e propria. Di fatto, tali soggetti possono essere considerati - in particolare per quanto concerne il contatto con sostanze chimiche - individui "vergini", potendosi così precocemente valutare situazioni che sconsiglino di intraprendere una determinata attività e consentano un più corretto indirizzo professionale del giovane.
Sulla possibilità di identificare precocemente i soggetti "sensibili" si sono negli ultimi anni sviluppati molti studi e progetti di ricerca, in particolare indirizzati alla valutazione dell'insorgenza di nuove sensibilizzazioni, verso le sostanze utilizzate nel periodo di apprendimento e caratteristiche del futuro ciclo lavorativo del giovane. Alcuni settori, per l'intrinseca maggiore esposizione a sostanze potenzialmente allergizzanti, sono stati indagati più approfonditamente.
Un ampio gruppo di ricerche riguarda studi su giovani apprendisti professionalmente esposti, durante il periodo di training, ad allergeni ad alto peso molecolare, quali proteine presenti in peli, forfore, deiezioni di animali da laboratorio, proteine delle farina, del latice, etc.
In particolare sono stati sviluppati studi prospettici su specifiche popolazioni a rischio di sviluppare in futuro riniti e/o disturbi delle alte vie respiratorie. Riu e collaboratori ne hanno evidenziato un'aumentata incidenza nei giovani impiegati in occupazioni a maggior rischio (odds ratio: 1,4) (3). Lo studio multicentrico ECRHS-II, che ha coinvolto circa 7000 giovani di 13 paesi, impiegati in mansioni lavorative con esposizione a sostanze in grado di indurre asma, ha evidenziato un incremento di tale patologia già nei primi mesi di apprendistato (odds ratio: 1,6) (4). In apprendisti fornai, De Zotti e Bovenzi hanno riportato un'incidenza di sensibilizzazione cutanea verso allergeni occupazionali pari al 10,1% dopo 30 mesi di attività lavorativa specifica (5). Wasusiak ha esaminato l'incidenza di sensibilizzazione, rinite allergica occupazionale e asma occupazionale in un gruppo di 287 apprendisti fornai trovando rispettivamente valori di 12,4%, 12,5% e 8,7% dopo un periodo di esposizione lavorativa di 2 anni (6). Gautrin e collaboratori hanno invece indagato, in uno studio di follow-up a lungo termine (8 anni), le variazioni di incidenza di sensibilizzazione, sintomatologia rinitica/respiratoria e iperresponsività bronchiale in un gruppo di giovani, inizialmente addetti in qualità di apprendisti e poi stabilmente assunti. Tutti i parametri indagati evidenziano un maggior impatto nel periodo di apprendistato rispetto a quello lavorativo vero e proprio, peraltro a volte diverso da quello in cui avevano svolto l'apprendistato (7). Su tali problematiche si è particolarmente impegnato il gruppo di ricerca coordinato da Malo che, in una serie di ricerche, ha riportato negli apprendisti una sensibilizzazione ad allergeni specifici di 7,9 su 100 persone/anno per soggetti a contatto con animali da esperimento, 4,2 per i fornai e 2,5 per gli odontotecnici (8). L'incidenza di probabile asma occupazionale è risultata del 3% dopo 15 mesi di apprendistato in saldatori (9).
Considerati i costi necessari per l'effettuazione dei vari test diagnostici, sono stati approntati questionari specifici per le varie lavorazioni, allo scopo di valutare la loro efficacia nell'individuazione di soggetti a maggior rischio. In particolare, negli apprendisti addetti a lavori con animali di laboratorio o veterinari, i risultati appaiono particolarmente incoraggianti (cosiddetto Dutch diagnostic model) (10).
Il rischio di insorgenza di dermatiti durante il periodo di apprendistato è stato particolarmente indagato nei parrucchieri (POSH study), con una prevalenza ingravescente durante gli anni di apprendistato (11). Tali dati sono sostanzialmente confermati in ricerche svolte in altre nazioni(12) e per mansioni lavorative diverse (13, 14).
Una problematica particolare è poi quella della percezione del rischio lavorativo da parte del giovane apprendista.
In questo ambito, sono stati sviluppati vari programmi di educazione sanitaria, tendenti a fornire informazioni sui rischi specifici presenti nella lavorazione e a formare i giovani sulle corrette manovre da effettuare in sicurezza e sul corretto utilizzo di idonei DPI (15, 16).
Lo stage professionale nel periodo scolastico Progetti per una concreta applicazione nel mondo scolastico dei dettami del D.Lgs 626/1994 prima e D.Lgs 81/2008 poi, si sono sviluppati in particolare in Toscana e Veneto. Inizialmente si è mirato alla valutazione dei rischi presenti nelle attività didattico-formative, tenuto conto anche della peculiare età degli "attori" in gioco; in seguito, sono stati curati anche gli strumenti di formazione-informazione rivolti ai giovani studenti in formazione. Col tempo le scuole si consorziate in Reti, di cui quella di Firenze ha rappresentato il modello, prima con valenza zonale/provinciale, poi anche regionale. La finalità con cui è nata la Rete è stata la promozione della cultura della sicurezza nella scuola attraverso l'integrazione tra lavoro didattico curricolare e adempimenti previsti dalla legislazione prevenzionistica, facendo della collaborazione fra il mondo della scuola e gli enti territoriali che hanno compiti in materia di sicurezza il proprio punto di forza. Alla messa a punto di questa strategia ha contribuito l'esperienza del progetto "Sicurezza in cattedra", terreno di sperimentazione che ha dato luogo alla nascita delle varie Reti toscane, ma ancor prima a quelle venete e al loro "Sistema di coordinamento regionale".
Un'esperienza molto interessante sono poi gli stage scuola/lavoro, messi in atto prevalentemente dagli istituti tecnico-professionali, una sorta di attività in sinergia con il territorio per migliorare la qualità dell'offerta formativa ed agevolare la transizione degli allievi dal mondo dell'istruzione a quello del lavoro. Ciò consente benefici per lo studente (conoscenza diretta delle realtà produttive, contatto con nuove tecnologie, esecuzione di compiti precisi, assunzione di responsabilità, etc.), per la scuola (integrazione capace di far evolvere il contesto scolastico di pari passo con quello produttivo e i relativi collegamenti con il territorio) e per l'azienda che accoglie lo studente in formazione (occasione per orientare gli allievi verso la scelta di profili specifici, venire in contatto con nuovi lavoratori, etc.). Le attività di stage vengono svolte sotto la responsabilità di un tutor scolastico - che deve, tra l'altro, coordinare il rapporto tra imprese e scuola, recepire le motivazioni individuali degli allievi, etc. - e di un tutor aziendale, la cui piena sinergia è fondamentale.
Si pone, ovviamente, il problema dell'idoneità psico-fisica del giovane allo svolgimento delle mansioni previste nello stage. Si tratta di una materia piuttosto complessa, per la presenza di due principi astratti, entrambi presenti nel nostro ordinamento. Il primo ci ricorda che la scuola ha la responsabilità dei suoi alunni, e dunque essa ha l'obbligo di proteggere e garantire la loro salute. Il secondo fa riferimento alla finalità della visita medica - preventiva e periodica - nella definizione della idoneità lavorativa. Naturalmente l'idoneità alla mansione implica la conoscenza delle caratteristiche della mansione a cui il lavoratore viene adibito, che è propria del datore di lavoro. Di fatto, sta prevalendo nell'orientamento giurisprudenziale l'idea che l'utilizzatore, cioè colui che si avvale comunque della prestazione, per convenzione, perché ha stabilito di rendersi disponibile ad accogliere alunni, è sempre responsabile di tutto ciò che avviene alla sicurezza degli addetti.
Certo, la normativa attuale richiama la necessità di effettuare la valutazione dell'esposizione. È dunque necessario valutare se esista una esposizione reale o solo teorica.
Per l'effettuazione di tale valutazione dei rischi porta, ovviamente, responsabilità primaria l'impresa che ospita l'allievo in stage.
Le problematiche dell'inserimento lavorativo del giovane, nel rispetto del diritto della tutela della sua integrità fisica, sono dunque molteplici e variegate. Solo la fattiva ed efficace collaborazione di tutti i soggetti, a vario titolo e livello coinvolti, ne consente la corretta gestione.
Autori:
G. Arcangeli, N. Mucci
Dipartimento di Sanità Pubblica, Sezione di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Firenze,
Da Atti del 72° Congresso Nazionale SIMLII
Ringraziamenti
Si ringraziano Alberto Baldasseroni e Sauro Garzi per il prezioso contributo.
Bibliografia
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