Intervento del Presidente SIMLII, Prof. Pietro Apostoli, all'iniziativa che si svolge al Senato della Repubblica.
1. La nostra prima Giornata Nazionale della Medicina del Lavoro è dedicata a Duilio Casula, grande medico e maestro di molti di noi, uno dei padri della moderna prevenzione e della medicina del Lavoro come oggi la conosciamo e la pratichiamo .
E' anche stato colui che più a lungo di chiunque altro nella storia SIMLII ne ha ricoperto la carica di Presidente e anche in seguito, fino all'ultimo, ne è stato suo lucido sostenitore e difensore.
La sua figura si staglia però ben oltre l'ambito specialistico della nostra Disciplina. Egli ebbe un ruolo preminente, insieme a G Berlinguer e ME Martini, nella discussione elaborazione e approvazione della riforma sanitaria. Casula seppe, con ostinata preveggenza, inserire articoli fondamentali di quella che resta una delle leggi centrali nell'ammodernamento del nostro Paese. Sono gli articoli sulla centralità della prevenzione e all'interno di essa, quelli sulla tutela della salute dei lavoratori, posta tra gli obiettivi e i compiti principali del Servizio Sanitario Nazionale. La nostra Società, attraverso la sua persona, mai come allora ebbe un ruolo così rilevante e importante nel determinare un provvedimento legislativo.
E mai più, lo dico sospeso tra rammarico e autocritica, lo avrebbe poi avuto.
Avevo avuto occasione di parlare proprio con lui, pochi giorni prima della sua scomparsa, della decisione di iniziare con quest'anno a celebrare una "Giornata Nazionale della Medicina del Lavoro" per promuovere e diffondere l'orgoglio e il senso di appartenenza alla Disciplina e alla sua Società scientifica, per rivendicarne ruolo e corretto riconoscimento. Mi espresse la sua entusiastica adesione all'idea e, mentre intervenivo a Cagliari nella cerimonia che lo celebrava, mi è venuto spontaneo associare a lui l'evento che andavamo tratteggiando e annunciare lì, nella sua terra, che la giornata Nazionale della Medicina del Lavoro già dal 2013 si sarebbe chiamata "Giornata Nazionale della Medicina del Lavoro - Duilio Casula".
Già nel nostro programma di mandato del 2011 era sottolineata la necessità di porre alla base delle ragioni del nostro agire ciò che viene richiesto ai Medici del Lavoro (medico del lavoro)-Medici Competenti (MC) per verificarne adeguatezza, esistenza delle condizioni e presupposti tecnici e normativi, rapporto con le altre figure della prevenzione, miglioramento della loro qualificazione e aggiornamento per poi proiettarne aspettative e prospettive specie nei contesti che si pensava sarebbero usciti con la fine della crisi, che da finanziaria si era drammaticamente trasformata in economica e sociale, nella quale purtroppo ancora siamo intrappolati.
Per molti di noi proprio questo aspetto rappresentava una affascinante sfida per la nostra Disciplina: vedere cioè, come spero di argomentare in modo convincente di seguito, quale contributo potevamo dare alla Società e al Paese per uscire dalla crisi non solo difendendo i livelli raggiunti di tutela di salute sicurezza dei lavoratori ma, anche, contribuendo attraverso la diffusione e il miglioramento delle misura di tutela e di promozione della salute, proprio, al miglioramento della produzione di beni e servizi.
Punto di partenza ci sembrava e ci sembra sempre più, proprio alla luce di quanto accaduto prima e durante la crisi, il giusto equilibrio tra quanto prevedono le leggi e la competenza professionale, frutto delle conoscenze e abilità professionali e del loro continuo aggiornamento. Competenza quindi, come spesso amo dire, con la C maiuscola, da intendere non (non solo) come ciò che è previsto che io debba fare, ma (soprattutto) come quello che io sono in grado di fare con soddisfazione dei diversi stakeholders, che per noi sono in primis i lavoratori, i datori di lavoro, i gestori della sanità pubblica.
2. Partire dal lavoro. E' questo un tratto essenziale del nostro DNA Disciplinare, sin dai tempi di Bernardino Ramazzini (1700) che invitava il Medico a non esimersi, magari vincendo una certa aristocratica ritrosia di casta, a "metter piede" all'interno degli opifici; all'aforisma di Luigi Devoto (1900) "è il lavoro che è ammalato", alla lunga serie di congressi nazionali che proprio nell'epoca casuliana sono stati dedicati alla diffusione tra noi medici specialisti delle necessarie conoscenze su materiali usati, tecnologie, organizzazione del lavoro. Tutto questo doveva e deve essere patrimonio di chi come noi , portatore di conoscenze dell'area bio-medica, vuole essere medico del lavoro.
In questi decenni , abbiamo assistito a profonde modifiche del "lavoro".
La drastica riduzione del settore primario, il costante calo del settore manifatturiero industriale, la crescita del settore terziario e poi la sua rapida contrazione anche a seguito della rivoluzione informatica, la globalizzazione che va anch'essa via via rimodellandosi, l'inarrestabile - e generalizzata in tutti gli ambiti lavorativi - diffusione di forme di appalto e somministrazione d'opera, la proliferazioni di contratti diversi da quelli a tempo indeterminato e di dipendenza diretta, ormai diventati nella galassia dei possibili rapporti di lavoro quelli ormai veramente "atipici", i flussi migratori, il costante aumento l'età delle popolazioni al lavoro. Questo ha inevitabilmente modificato e sta costantemente modificando il "lavoro", cambiando in modo radicale rischi, disturbi, patologie da lavoro. E lo sta facendo in un modo a volte difficilmente districabile con altri rischi ambientali, sociali e individuali, tanto che ormai a noi non viene più chiesto se ciò che giunge alla nostra osservazione è "da lavoro" ma "di quanto può essere correlato al lavoro"
Quelle che per noi erano le tradizionali malattie da lavoro (ad esempio la silicosi, le intossicazioni da agenti chimici) sono in drastico calo, mentre sono apparse e cresciute in modo netto patologie come quelle muscolo-scheletriche e, adesso, anche quelle collegate ai fattori organizzativi del lavoro. Ma siamo entrati in campi nuovi, anche dal punto di vista dell'inquadramento e del riconoscimento nosologico, come quelli del disturbo disagio psicofisico.
Non è pertanto casuale che il primo impegno che questa Dirigenza SIMLII ha preso è stato "ripartire dal lavoro".
E così, dopo molti anni, siamo tornati nei nostri ultimi tre congressi nazionali a riparlare di acquisizione e aggiornamento delle conoscenze del lavoro, trattando di metalmeccanica, metallurgia, trasporti, edilizia, agricoltura lavoro marittimo, chimica e petrolchimica , proprio per cercare, esattamente 40 dopo l'inizio della presidenza Casula, di mettere il medico del lavoro nelle condizioni migliori per svolgere la sua attività professionale
Noi riteniamo che il bene primario per lavoratori, aziende e società sia "la buona occupazione", cioè quella condizione che garantendo salute e benessere di chi lavora inevitabilmente garantisce un bene primario e generale alla società in cui viviamo .
Dobbiamo però sottolineare, in un momento come questo, ciò che è stato efficacemente sintetizzato in un aforisma che riecheggia quello di Devoto : "il lavoro più pericoloso è il non lavoro". Lo dimostrano ormai in modo inequivoco indagini che evidenziano un maggior numero di malattie e importanti differenze nell'aspettativa di vita tra chi non ha un lavoro e chi lo ha. Da qui, un nostro specifico impegno di medici del lavoro (e, mi consentirete, prima di tutto di cittadini che hanno a cuore questo Paese) per favorire una maggiore occupazione, migliorando la compatibilità del lavoro alle condizioni psicofisiche individuali, il recupero e il reinserimento lavorativi, lo studio con altre competenze tecnologiche ed economiche di nuove forme di lavoro. In ogni caso, dovremo riorganizzare le nostre funzioni per saper da subito governare il nostro versante delle trasformazioni secondo quanto ci richiederanno i cambiamenti che emergeranno dalla crisi.
Noi riteniamo di no.
3. Ma a governare salute e sicurezza di chi lavora, nella duplice accezione di tutela e promozione, basta la legge ,basta la pur necessaria e giusta sanzione di chi non la applica?
La prevenzione è sempre stata il risultato della interazione di molteplici fattori (norme, azioni delle parti sociali, il ruolo dei tecnici della prevenzione) diversamente influenti a seconda della realtà economica, sociale, storica. Centrale resta il ruolo delle parti sociali : le aziende e i lavoratori possono infatti decidere autonomamente di organizzare tutela della salute e della sicurezza in modo più efficace di quanto prevede la norma. In questo modo la prevenzione non è vista come un vincolo esterno, imposto da norme spesso complesse, percepite come vessatorie e fonti di costi aggiuntivi per le aziende, ma come una scelta su cui le parti convengono e liberamente e più proficuamente si impegnano riducendo fino ad eliminare i ben noti costi della non prevenzione.
Un ulteriore passaggio è quello della dimostrazione che prevenzione (e ancora più promozione della salute e della sicurezza) non convengono solo perché evitano costi ma perché, se così si può dire, garantiscono più utili. In altre parole la prevenzione, come scelta autonoma e attiva dell'azienda, diventa un elemento in grado di migliorare il prodotto. E' qui che qualità e prevenzione entrano in reale contatto o, meglio, diventano l'una, la prevenzione, parte dell'altra, la qualità.
In questo contesto, quello cioè delle azioni di datori di lavoro,organizzazioni sindacali e dei consulenti tecnici (tra cui i Medici del Lavoro) di volta in volta coinvolti, un ruolo di assoluto rilievo rivestiranno i diversi strumenti di orientamento scientifico e tecnico.
In questo nostro disegno quindi alla legge andrà attribuita la definizione dei principi e degli obbiettivi generali da perseguire; alle norme tecniche e di buona pratica e alla professionalità di chi volontariamente le sceglie e le mette in atto andranno riservate le modalità attraverso le quali raggiungere tali obbiettivi, ottenendo un doppio risultato: evitare l'obsolescenza di norme, sempre più rapida, e responsabilizzando i professionisti della prevenzione all'acquisizione e all'aggiornamento delle proprie conoscenze come libera necessaria scelta di qualificazione e non come obbligo, spesso percepito solo come vessatorio.
Per questo da anni ormai noi sosteniamo la necessità di "una nuova cultura", con la condivisione di regole comportamentali razionali e scientificamente fondate, superando impostazioni rigide e burocratiche, inefficaci nel garantire cambiamenti positivi nel mondo del lavoro.
La nostra Società è l'unica nel panorama nazionale ad avere il privilegio di una rappresentanza trasversale dei medici del lavoro che parte dalla formazione del medico generalista e dei tecnici della prevenzione, (nei corsi di laurea), dello specialista (scuole di specializzazione) del medico e dei tecnici che operano nelle Università e negli Ospedali, di quelli che lavorano nei servizi delle ASL, di quelli che operano degli Istituti previdenziali, di quelli che lavorano nelle unità di produzione di beni e servizi come medici competenti.
Ritiene, pertanto, di essere pienamente titolata nel chiedere di rimettere in discussione alcuni punti dell'attuale normativa, attraverso:
- una drastica semplificazione della legge (dagli attuali 306 articoli e 51 allegati un po' più verso i 32 articoli francesi, i 26 tedeschi, i 30 inglesi, i 54 spagnoli) con un adeguata articolazione con le norme tecniche e di buona prassi;
- una moderna definizione di contenuti e qualità di quanto deve fare il medico del lavoro, compresa la sua corretta collocazione e il suo rapporto con i datori di lavoro (sempre più verso una terzietà del professionista, anche sfruttando strumenti come bilateralità e pariteticità ), con le figure manageriali e tecniche delle aziende, con gli organi di vigilanza e con la magistratura.
E' necessità non più derogabile, a nostro avviso, mettere mano alla attuale legge formulando proposte concrete, come abbiamo fatto in più occasioni dalla cosiddeto "decreto del fare" ai decreti ministeriali sull'art. 40 del D.Lgs, 81/08 e sull'allegato 3B. Tale convinzione scaturisce dalla constatazione che il Legislatore ha previsto per il medico competente un numero e un livello di sanzioni che non ha alcun riscontro in nessuna delle professioni mediche e, in particolar modo, in quelle preventive. Sono sanzionati, come è giusto che lo siano, le gravi inadempienze ma, spesso, anche il mancato rispetto di meri adempimenti burocratici o di ritardi insignificanti rispetto al possibile e reale effetto sulla tutela della sicurezza e della salute del lavoratore .
4. Ma quale medico del lavoro può contribuire al raggiungimento di questi risultati ?
Proprio per cercare di rispondere a una domanda di questo tipo ci siamo posti uno dei principali e più ambiziosi obbiettivi che troverete nel nostro programma di mandato: "il medico del lavoro come consulente globale delle aziende". Proprio per far fronte alla sfide del nuovo lavoro proponiamo che venga riconosciuto al medico del lavoro un nuovo ruolo: quello di "consulente", da coinvolgere ogniqualvolta il tema tutela e promozione della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro entra in gioco, cioè sostanzialmente in tutte le fasi e momenti della vita aziendale:
- dalla scelta di prodotti e materiali di uso alla progettazione di ambienti e cicli di produzione;
- dalla definizione dell'organizzazione del lavoro alla loro attuazione;
- dall'implementazione dei modelli di gestione alle procedure dei sistemi di qualità e accreditamento;
- dalle problematiche medico-legali a quelle della verifica compatibilità ambientale degli insediamenti produttivi.
Non più quindi solo fugaci apparizioni in azienda per altrettanto fugaci atti di sorveglianza sanitaria.
In questo contesto di "globalità" resta però da sanare il vero e proprio vulnus dell'esclusione del medico competente dalle figure sempre necessarie nei processi di valutazione del rischio, momento fondamentale di ogni azione del datore di lavoro ma, anche, della linea tecnica della prevenzione, prima della misure generali di tutela anche nell'attuale legislazione al riguardo.
Tale ruolo, a dire il vero, era stato chiaramente previsto nel D.Lgs. 626/94 e negato nel successivo decreto 242 di due anni dopo e non è poi più stato adeguatamente e chiaramente definito neppure nel D.Lgs. 81/08, essendo il coinvolgimento del medico del lavoro nella valutazione dei rischi prescritta solo quando è già stata da altri, privi di qualsiasi competenza medica, stabilita la necessità della sorveglianza sanitaria.
Sottolineo che la corretta definizione di rischio prevede l'obbligo di valutare, per capirne l'esistenza, sue determinanti fondamentali collegate, ad esempio, alla reattività o suscettibilità individuale, oggi resa ancor più complessa dall'obbligo di valutarla anche per genere, sesso, età ed etnia.
Ma il medico del lavoro di oggi è il professionista in grado di fare tutto ciò?
Noi siamo consapevoli delle carenze storiche e acquisite dai medici del lavoro, siamo consapevoli che spesso proprio loro trovano più conveniente essere occupati solo nella visita. Da qui l'altro costante e prioritario impegno della nostra Società negli ultimi 10 anni: quello della qualificazione e aggiornamento del medico del lavoro, concretizzatosi nell'affiancare i tradizionali strumenti dei seminari, convegni, congressi tematici o metodologici con produzione di linee-guida (più di 30 dal 2003) e con l'avvio della nostra formazione a distanza (MeLa) che in tre anni con circa 15 eventi/anno ha fornito più di 35000 crediti con indici di gradimento superiori al 95% , percentuali un po' bulgare e che potrebbero imbarazzarci ma che i gestori del programma (una delle migliori società nazionali nel campo) ci assicurano essere assolutamente reali.
Mi consentirete di sottolineare come gli strumenti di orientamento e aggiornamento, messi a punto da qualificate entità con metodologie adeguate (noi seguiamo fedelmente avendone avuto la specifica consulenza quella del SNLG dell'ISS), per definizione internazionalmente fissata e accettata devono essere volontariamente scelti dal professionista. In questo sta il loro valore: nell'essere, cioè, in grado di modificare consapevolmente e per scelta i propri comportamenti e non sotto la minaccia sanzionatoria, con la speranza spesso ben riposta che questa mai abbia a verificarsi.
Inderogabile appare quindi la necessità di chiarire e rapportare con quanto teorizzato e praticato non tanto da SIMLII, ma dai principali esperti e agenzie di orientamento nel mondo, quanto previsto dal DLgs 81/2008, in tema di norme di buona prassi e linee guida, a partire dalla loro definizione.
Sottolineo, per completare l'argomento , l'importanza di una chiara ed univoca definizione dei concetti e termini da adottare, della differenziazione degli strumenti informativi tra evidence e non evidence based e, soprattutto, della nostra capacità di misurarne applicabilità, efficacia ed efficienza
Strategica è sempre stata per noi la necessità di una corretta interazione tra Medici Competenti e Medici dei Servizi di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di lavoro (SPSAL, SPRESAL, SPISAL) e che operano all'interno dei Dipartimenti di Prevenzione delle ASL. Gli aspetti che vedono a confronto i Medici dei Servizi ed i Medici Competenti sono la vigilanza e la prevenzione. Nel primo caso il rapporto non è paritetico, ma deve essere assolutamente su un piano di onestà intellettuale (questa è la legge e queste sono le regole) e non lasciato a libere e mutevoli interpretazioni. Nel secondo caso (prevenzione e promozione della salute) il rapporto è di mutua collaborazione e da costruire insieme. La situazione storica di una vigilanza a macchia di leopardo sul territorio nazionale, che può creare imbarazzanti differenze, genera scarsa credibilità e poca fiducia da parte dei Medici Competenti. La disattenzione o, peggio, l'ignoranza del medico competente nei confronti di quanto prescrive la norma sulla sua attività e ancor più di quanto viene prescritto in generale sulla prevenzione nei luoghi di lavoro, non possono d'altra parte essere accettate, ma vanno affrontate e risolte.
Il vantaggio di annoverare tra i propri soci operatori dei due ambiti sopra richiamati pone oggettivamente la SIMLII in una posizione ideale per puntare a un miglioramento della attuale situazione, partendo proprio dalla connotazione sempre più preventiva che repressiva che noi vorremmo attribuire ai Servizi e della necessità di avere una prevenzione di qualità piuttosto che di quantità. Questo abbiamo cercato di fare e sempre più cercheremo di fare attraverso programmi e progetti comuni di promozione della salute (promozione degli stili di vita corretti come l'attività sportiva, l'alimentazione, contro il fumo e l'abuso di alcol; campagna di prevenzione della patologie cronico-degenerative, cardiovascolari, neoplastiche, osteoarticolari), creando così una rete di esperienze comuni e condivise, specie nella fase applicativa della nostra Disciplina.
Quanto sopra appare difficilmente compatibile con il fenomeno sempre più evidente delle "gare al ribasso" per l'affidamento di incarichi di medico competente, a volte capziosamente sostenute dalle pubbliche amministrazioni come "obblighi" cui sarebbero tenute e contro le quali la SIMLII, tutti i medici competenti e anche parte della Magistratura già si sono espresse. Valutare la prestazione del medico competente sul "costo per visita" è in netta contraddizione con la visione della "consulenza globale", che va ben oltre la semplice visita. Da qui la nostra insistita richiesta alle organizzazioni datoriali perché compensi che rimandano a più complesse e articolate consulenze aziendali per le diverse problematiche di tutela e promozione di salute e sicurezza dei lavoratori siano valutate per complessità e tempo reale impiegato, nonché per dimostrata qualificazione del professionista. Anche così si dovrebbe contrastare la deriva che rischia di intaccare qualità e l'etica stessa della nostra professione.
5. La medicina del lavoro universitaria ha affinato in questi anni la sua capacità di ricerca, attingendo in alcuni ambiti eccellenze di rilievo europeo e mondiale, la didattica nei corsi di laurea di medicina e quindi per i medici generalisti, nelle lauree dei tecnici della prevenzione, nella formazione degli specialisti e alla strutturazione dei futuri master, al contributo per l'aggiornamento anche in relazione all'articolazione delle attività formative ECM che - detto per inciso - trova nella nostra area l'unico esempio di obbligatorietà specifica, anche rispetto ad altre specializzazioni obbligatorie come pediatria, radiologia, ginecologia.
Di particolare importanza è stata l'azione della sezione tematica Ramazzini all'interno del direttivo nazionale della SIMLII e i collegamenti con il collegio dei professori ordinari universitari del nostro settore scientifico disciplinare. Da questa stretta collaborazione e condivisione di obiettivi generali sono scaturite iniziative mirate alla difesa della disciplina anche in ambito accademico e l'inserimento di specifici rilevanti temi riguardanti ricerca e didattica nelle attività e nelle pubblicazioni societarie.
A proposito degli aspetti didattici e del precoce contatto dei futuri medici del lavoro con le realtà in cui si troveranno ad operare, di particolare rilievo è stata la costituzione della consulta degli specializzandi, anch'essa rappresentata nel direttivo nazionale e che già si è impegnata su temi di interesse dei medici del lavoro in formazione negli ultimi due congressi nazionali tenuti.
Con le altre discipline della sanità Pubblica dovremo impegnarci nell'approfondimento applicativo e divulgativo su questioni di reciproco interesse (inquinamento atmosferico, droghe e alcool, alimentazione, stress, malattie croniche degenerative correlate) e di consulenza alle forze politiche e amministrative su temi per i quali il medico del lavoro, per storia e formazione, possiede i necessari strumenti interpretativi ed operativi.
E qui il discorso non può non andare alla vicenda ILVA e alla necessità che una disciplina come la nostra sia pienamente coinvolta nello studio di quanto accaduto e sta accadendo e di cosa si può e deve fare per far convivere attività produttive indispensabili al Paese e la tutela della salute dentro e fuori l'ILVA. Fin dall'inizio ci ha sorpreso non poco, e non certo per deformazione societaria, che le condizioni di salute e l'incidenza di patologie tra i lavoratori siano assenti o fortemente marginali nel dibattito, pur articolato e ampio, in corso. Sarebbe infatti sorprendente che in una comunità lavorativa così ampia e con durata di esposizione così prolungata a numerosi contaminanti ambientali - verosimilmente a concentrazioni assai maggiori rispetto a quelle a cui è esposta la popolazione residente nelle zone limitrofe - non siano state e non siano riscontrate le patologie che si evidenziano tra la popolazione generale. Questo, al netto di fenomeni ben noti, quali l'effetto lavoratore sano o la diversa composizione e suscettibilità per genere ed età dei gruppi a rischio, in una corretta canonica - oserei dire - la valutazione del rischio la misura di probabilità/possibilità di determinati effetti/patologie non può prescindere da tre momenti:
- identificazione dei fattori di rischio
- definizione della relazione dose risposta
- misura dell'esposizione
Solo così i rischi caratterizzati possono essere consegnati a chi deve gestirli, anche alla luce di altri parametri quali quelli sociali, economici e politici. Questo noi siamo abituati a fare da sempre negli ambienti di lavoro e pensiamo debba essere fatto anche al di fuori di essi
E' però essenziale che la fase di valutazione sia condotta nel rispetto pieno delle metodologie scientifiche. Per questo fin dal comunicato dell'agosto 2012 abbiamo affermato che per noi appariva centrale la riaffermazione del ruolo delle competenze scientifiche e tecniche per poter consegnare dati scientificamente adeguati a chi doveva prendere le decisioni sulle responsabilità penali e civili ma, soprattutto, sulle misure di tipo preventivo dai livelli di accettabilità dei rischi, alle misure di sorveglianza.
Il decreto sulla "Valutazione del danno sanitario" dell'agosto 2013 e l'iniziativa in atto di FNOMCEO sulla valutazione di impatto sanitario, cui SIMLII già partecipa, saranno occasioni importanti di confronto e di proposte. Ricordo per inciso che quello della necessaria ricerca della compatibilità lavoro-salute dentro e fuori gli insediamenti produttivi sarà il tema centrale del nostro 76° congresso nazionale la prossima settimana
Negli ultimi tre anni stiamo coltivando, in particolare, le collaborazioni con le altre discipline mediche con le quali è quotidiana l'interazione dei medici del lavoro quali l'audiologia, l'allergologia, la dermatologia, la pneumologia, la cardiologia, l'oncologia, la neurologia, l'ortopedia (solo per citare le principali). Abbiamo ottenuto significativi risultati con le Società Reumatologia, Diabetologia, Cardiologia, Psicologia Medica dando vita a varie iniziative, gruppi di lavoro, documenti di consenso.
6. In conclusione, riprendendo quanto sopra sinteticamente trattato, dovremmo quindi in termini generali :
- rimettere al centro il lavoro
- combinare in modo virtuoso leggi, norme di buona pratica e il collegamento tra prevenzione e migliore produzione e qualità;
- fare tutto ciò con un medico del lavoro in grado di dare il contributo,per la sua parte, sui vari aspetti che riguardano produzione e organizzazione del lavoro (consulente globale);
- garantire a tale professionista elevati livelli di qualificazione e aggiornamento, a partire dalla sua formazione di medico e di specialista;
- stabilire con le altre figure della prevenzione e della sanità pubblica il necessario paritario rapporto interdisciplinare che materie così complesse da governare richiedono;
- contribuire allo studio e alla realizzazione di un sistema di compatibilità tra lavoro e ambiente di vita, che veda pienamente tutelato il lavoro, la salute e il benessere dei lavoratori e la salute e il benessere dei cittadini.
Nell'immediato,la SIMLI ritiene prioritari - e quindi porta alla vostra attenzione - i seguenti punti, che troverete dettagliati del documento base della giornata odierna:
- contrastare le malattie indotte dalla mancanza di lavoro;
- ridurre infortuni e malattie collegate alle condizioni di lavoro;
- promuovere la salute di chi lavora e la produttività delle aziende;
- semplificare le leggi e le pratiche preventive, a partire da un fermo "no" all'accanimento sanzionatorio;
- mirare al rischio e qualificare la formazione su salute e sicurezza del lavoro, dicendo un altro fermo "no" all'accanimento formativo e ai formifici;
- razionalizzare le risorse disponibili per la prevenzione.
Noi ci impegneremo sempre più per fornire le basi scientifiche alla ricerca e all'applicazione delle prove di efficacia o, almeno, della loro appropriatezza ai parametri che si vorranno definire nelle diverse azioni di tutela della salute e sicurezza durante il lavoro. Abbandonare pratiche la cui efficacia non sia dimostrata può liberare risorse a tutti i livelli, sia pubblici che privati, per implementare ciò che veramente può contribuire a migliorare la salute di chi lavora.
Prof. Pietro Apostoli
Presidente della Società Italiana di Medicina del Lavoro ed Igiene Industriale
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