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Vaccinazioni e idoneità al lavoro degli operatori sanitari - Maggio 2002

Vaccinazioni e idoneità al lavoro degli operatori sanitari

Il tema dell'idoneità al lavoro è per tradizione culturale e legislativa argomento che occupa un ruolo preminente nell'attività del medico del lavoro.

Nella sorveglianza sanitaria del medico competente ci sono aspetti ben chiariti e zone d'ombra. Il tema di cui si parla questo mese (lo spunto viene dato da un articolo tratto da un Convegno svoltosi a Pisa) è sicuramente uno di quelli che sta in una zona d'ombra!

Il D.P.R. 303/56 non parlava in maniera esplicita del giudizio di idoneità specifica alla mansione come atto conclusivo delle visite periodiche, ma la giurispudenza che negli anni a venire ha avuto come oggetto del giudicato l'attività del medico d'azienda, ancora prima della recente normativa, ha stabilito i limiti e il contenuto di tale atto medico-legale.

Il D.Lgs. 626/94 ha stabilito in maniera conclusiva e per tutti i rischi professionali l'obbligo da parte del medico competente di informare il datore di lavoro e il lavoratore interessato ogni volta che si presentasse la necessità di formulare un giudizio di non idoneità o di idoneità con prescrizione.

Se quindi attualmente è chiaro l'obbligo di legge di doversi confrontare con questa valutazione, purtroppo poche indicazioni sui criteri da utilizzare per la formulazione di tale giudizio possono essere attinte sia da normative sull'argomento che dalla letteratura di medicina del lavoro.

L'attività del medico competente in ambito sanitario è ancora esperienza relativamente recente e non sufficiente a dare direttive precise sull'argomento. In questo contributo ci proponiamo di riportare alcune considerazioni scientifiche mutuate da specifici studi sull'argomento che speriamo possano essere di qualche ausilio a questa fase così critica dell'attività, ben consci del fatto che comunque questo atto rimane di pertinenza della cultura, dell'esperienza e dell'ambiente di lavoro del singolo professionista.

Il decreto 626/94 introduce la tutela degli operatori esposti a rischio biologico e indica come strumento della sorveglianza sanitaria, laddove ne sia stata dimostrata l'efficacia, la vaccinazione del lavoratore. Il comma 2 dell'art. 86 di detto decreto stabilisce infatti che:

il datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta misure protettive particolari per quei lavoratori per i quali , anche per motivi sanitari individuali, si richiedono misure speciali di protezione fra le quali:

  • a) la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all'agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente;
  • b) l'allontanamento temporaneo del lavoratore secondo le procedure dell'art. 8 del decreto legislativo 15 Agosto 1991, n.277 (1).

L'eventualità quindi che il lavoratore rifiuti di sottoporsi a vaccinazione efficace, in quei casi in cui rivesta il ruolo di misura speciale di protezione, presenta al medico competente la necessità di valutare l'idoneità del lavoratore a quella mansione specifica.

Valutazioni di tipo epidemiologico non dovrebbero avere un significato decisivo per giudicare se una determinata vaccinazione sia presupposto inderogabile alla formulazione del giudizio di idoneità alla mansione senza nessun tipo di limitazione: infatti l'epidemiologia fornisce indicazioni sulla prevalenza o l'incidenza di una determinata malattia in una popolazione, mentre l'operato del medico competente rimane legato a responsabilità penali sul singolo lavoratore che il professionista si assume nell'esercizio della sua attività.

Nella sorveglianza sanitaria per il rischio biologico è difficile definire una linea precisa di confine fra la tutela della salute dell'operatore sanitario e quella del paziente da lui assistito. Questo tipo di valutazione deve essere applicata anche per quanto riguarda le vaccinazioni e il giudizio di idoneità alla mansione specifica.

Gli agenti patogeni di tipo biologico che un operatore sanitario più frequentemente incontra nella sua attività lavorativa quotidiana sono sostanzialmente rappresentati da tre patogeni a trasmissione ematica (HBV, HCV, HIV) e da un patogeno a trasmissione aerea (Mycobatterium Tubercolosis).

Per i patogeni a trasmissione ematica l'unico a che ha a disposizione un' efficace profilassi vaccinale è il virus dell'Epatite B, ma anche gli altri possono creare situazioni da esaminare.

Le linee guida realizzate dalla Commissione Nazionale per il Ministero della Sanità nell'Ottobre del 1994 per " prevenire la trasmissione del virus dell' immunodeficienza umana e del virus dell'epatite B degli operatori infetti ai pazienti durante le procedure invasive che determinano un rischio di esposizione" definiscono quelle che devono essere considerate procedure invasive e procedure invasive che determinano rischio di esposizione per il paziente (2).

Nelle raccomandazioni generali delle stesse linee guida viene precisato che

tutti gli operatori sanitari, anche in formazione, che eseguono procedure invasive debbono essere sottoposti a vaccinazione contro l'epatite B quanto prima possibile e comunque all'assunzione.

Nelle raccomandazioni specifiche sono indicate due condizioni dello stato sierologico dell'operatore sanitario che esegue procedure invasive:

  • Operatore HbsAg positivo, HbeAg negativo, HBV DNA positivo: in via cautelativa è suggerita una limitazione delle procedure invasive che determinano un rischio di esposizione per il paziente.
  • Operatore HbsAg positivo, HbeAg positivo: limitazione di tutte le procedure invasive (3, 4).

Sulla base di queste indicazioni riteniamo che debba essere espresso un giudizio di non idoneità alla mansione specifica per quegli operatori sanitari che devono eseguire procedure invasive che determinano rischio per il paziente e che non vogliono vaccinarsi contro l'epatite B.

Quegli operatori che sono renitenti alla vaccinazione che eseguono procedure invasive senza rischio di esposizione per il paziente riteniamo che debba essere espresso un giudizio di idonetà con prescrizione che obblighi per esempio all'uso di doppi guanti.

Le stesse linee guida indicano che un operatore sanitario HIV positivo non deve eseguire procedure invasive e che per le non invasive sia necessario una valutazione differenziata da caso a caso.

L'ACIP fornisce delle raccomandazioni sull'immunizzazione di operatori sanitari con particolari condizioni. Per l'operatore sanitario HIV positivo tale associazione raccomanda alcune vaccinazioni che rivestono un ruolo determinante nella validazione dell'idoneità del lavoratore stesso.La stessa organizzazione raccoglie alcune condizioni di immunocompromissione o particolare suscettibilità alle infezioni con le relative vaccinazioni raccomandate elencate nella tabella 1.

Una severa immunodepressione può essere il risultato di immunodeficienza congenita, infezione da virus dell'immunodeficienza umana (HIV), leucemia, linfoma, terapia con agenti alchilanti, antimetaboliti, o abbondante uso di corticosteroidi. Per alcune di queste condizioni, tutte le persone affette saranno severamente immunocompromesse; per altre, come quelle con infezione da HIV, ci sarà uno spettro di gravità appartenente a una particolare malattia o stadio di trattamento che determinerà il grado di immunosoppressione (5).


Le indicazioni presenti in letteratura (es raccomandazioni dell'ACIP sull'immunizzazione degli operatori sanitari con speciali condizioni (da "Hospital Infections" Bennet J.V., Brachman P.S. 1998) devono certamente essere adattate all'ambiente e alle procedure di lavoro del singolo operatore, ma in ogni caso rappresentano a nostro avviso importanti elementi di valutazione.

La raccomandazione della vaccinazione antitubercolare per gli operatori sanitari è stato argomento di ampia discussione sul quale a livello internazionale non è stato possibile raggiungere una posizione definitiva per le divergenze dei diversi esperti dell'argomento in funzione degli studi condotti su popolazioni diverse; per essere onesti nemmeno l'obbligo di legge tuttora vigente in Italia di vaccinare tutti i dipendenti ospedalieri anche se non praticanti attività sanitaria ha reso più chiara questa situazione.

Secondo studi recenti il vaccino BCG presenterebbe un' efficacia pari almeno al 50% sia per la tubercolosi "standard" che la tubercolosi resistente ai farmaci. Quest'ultima è di difficile trattamento e i tassi di mortalità possono raggiungere il 50%. Queste notizie hanno portato alcuni gruppi di operatori sanitari che svolgevano attività in centri dove il problema della tubercolosi resistente ai farmaci antitubercolari è particolarmente diffuso a richiedere la vaccinazione con BCG.

L'utilizzazione di routine del vaccino BCG elimina peraltro la più utile fonte di informazione nel determinare se il paziente ha presentato un'infezione tubercolare, perchè la maggior parte dei pazienti sottoposti a vaccinazione presenta una risposta positiva al test cutaneo (6).

La gestione di pazienti affetti da tubercolosi resistente ai farmaci, più frequente in soggetti HIV positivi, configura un rischio più elevato nei medici che svolgono broncoscopie ed ispezione del faringe e degli occhi e in personale che esegue irrigazione di ascessi tubercolari o assiste a esami autoptici di pazienti deceduti per una forma tubercolare.

Queste considerazioni forniscono due importanti elementi di valutazione nella formulazione del giudizio di idoneità: l'obbligo normativo e l'alto rischio nella gestione di pazienti con TBC resistente ai farmaci. Il medico competente con l'atto medico legale del giudizio di idoneità si assume una responsabilità penale sulla salute del singolo lavoratore e quindi non può prescindere dal valutare un presidio, seppur di media efficacia, laddove il rischio dell'operatore sia un rischio di mortalità mediamente elevato.

Diversa considerazione devono avere, almeno da un punto di vista meramente scientifico, situazioni di esposizione a tubercolosi "standard" dove il rischio di malattia attiva nel corso della vita, quando l'infezione si sviluppa, è pari al 10%. In questo caso il rispetto di procedure corrette, l'uso adeguato di dispositivi di protezione individuale e un eventuale tempestivo trattamento preventivo rappresentano forse il miglior approccio.

[Le recenti disposizioni legislative chiariscono finalmente il comportamento da tenere nei confronti del rischio TBC N.d.R.]

La disamina di questi casi particolari non ha la pretesa di esaurire la materia di un' attività che rimane e rimarrà sempre di stretta pertinenza del singolo medico competente, al quale spetta comunque la decisione finale.

Riteniamo quindi, sulla base di quanto esposto, che la vaccinazione del lavoratore debba costituire elemento di valutazione nella formulazione del giudizio di idoneità.

Da "Le linee guida per prevenire la trasmissione del virus dell'immunodeficienza umana e del virus dell'epatite B degli operatori infetti ai pazienti durante le procedure invasive che determinano un rischio di esposizione" - Commissione Nazionale per la lotta contro l'AIDS Ministero della Sanità Roma, 19 Ottobre 1994.


Bibliografia

  1. D.Lgs. 626 del 19 Settembre 1994 e D.Lgs. 242 19 Marzo 1996. [Top]
  2. Definizione di procedura invasiva e di procedura invasiva che determina un rischio di esposizione per il paziente.
    1. Vengono definite procedure invasive:
      • a. la penetrazione chirurgica in tessuti, cavità o organi, o la sutura di ferite traumatiche maggiori effettuate in sala operatoria o sala parto, pronto soccorso o ambulatorio sia medico che chirurgico;
      • b. cateterizzazione cardiaca e procedure angiografiche;
      • c. parto naturale o cesareo o altre operazioni ostetriche durante le quali possano verificarsi sanguinamenti;
      • d. la manipolazione, la sutura o la rimozione di ogni tessuto orale o periorale, inclusi i denti, manovre durantele quali si verifica il sanguinamento o esiste il rischio che il sanguinamento avvenga.
    2. Vengono definite procedure invasive che determinano un rischio di esposizione per il paziente quelle in cui vi è una reale possibilità che si verifichi accidentalmente una ferita dell'operatore sanitario e che, in tal caso, il sangue dell'operatore venga a contatto con le cavità corporee del paziente, con i tessuti sottocutanei e/o con le mucose. Le procedure che determinano un rischio di esposizione sono pertanto quelle in cui:
      • a. si effettua il controllo digitale della punta di un ago nelle cavità corporee;
      • b. c'è una presenza simultanea di dita ed aghi o altri taglienti in un campo anatomico scarsamente visibile o molto ristretto.
    [Top]
  3. "Management of Healthcare Workers Infected With Hepatitis B Virus, Hepatitis C Virus, Human Immunodeficiency Virus, or Other Bloodborne Pathogens" AIDS/TB Committee of the Society for Healthcare Epidemiology of America-SHEA Position Paper-Infection Control and Hospital Epidemiology-May 1997. [Top]
  4. Shaffer S.D., Garzon L.S., Heroux D.L., Korniewicz D.M. "Prevenzione delle infezioni e sicurezza nelle procedure" ed.Italiana a cura di G.Ippolito e N.Petrosillo. Pensiero Scientifico Editore. [Top]
  5. Tablan O.C., Bolyard E.A., Shapiro C.N., Williams W.W. "Personnel Health Services" da Hospital Infections da Bennet J.V. e Brachman P.S.- Lippincott-Raven Publishers, Philadelphia, 1998. [Top]
  6. Jordan T.J., Mangura B.T., Reichman L.B., "Gestione dei soggetti esposti alla tubercolosi" Minuti Marzo 1998. [Top]
  • Prof. Alfonso Cristaudo, Medico del Lavoro - Direttore U.O. Medicina Preventiva del Lavoro - Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana
  • Dr. Vittorio Gattini, Medico del Lavoro Competente - Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana
  • Dr. Giovanni Guglielmi, Medico del Lavoro Competente - Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana
  • Dr. Rodolfo Buselli, Medico del Lavoro Competente - Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana
  • Dr. P. Coli, Medico del Lavoro - Università di Pisa

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