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L’ Art. 80 DPR n.1124/1965 e la sua “incompatibilità” con il regime del danno biologico”. Notazione a margine della sentenza n.46/2010 della Corte Costituzionale - Maggio 2014

L’ Art. 80 DPR n.1124/1965 e la sua “incompatibilità” con il regime del danno biologico”. Notazione a margine della sentenza n.46/2010 della Corte Costituzionale

A distanza di quattro anni fa ancora discutere la sentenza della Corte Costituzionale n.46/2010 che riguarda il concetto di "nuova malattia".

La Corte Costituzionale ha stabilito che una denuncia di aggravamento, verificatosi dopo la scadenza del quindicennio, sempre che ricorra anche la continuazione - oltre la data di decorrenza della rendita già costituita - dell'esposizione all'agente patogeno che ha dato causa all'originaria patologia professionale, deve essere considerata come "nuova malattia".

Gli autori su detta tematica si sono già espressi con diverse pubblicazioni critiche alla soluzione prospettata, con la presente sottolineano un fatto importante passato sotto silenzio - visto da dove proveniva l'indirizzo - relativo all'inapplicabilità dell'art.80 alla fattispecio in oggetto; il riferimento della Consulta all'art.80, come espressamente dichiarato per risolvere la problematica, non poteva essere fatto in quanto, per il caso in esame e/o similari, non applicabile.

Segnalano, infine, che per il "principio" fissato dalla Corte, sono le tre situazioni che si possono verificare al manifestarsi della "nuova malattia" e la soluzione - cioè la metodologia applicativa - era prevista nell'art.13, comma 5 e 6 ed in base ad essa dove essere risolta la problematica senza scomodare l'art.80 perlatro inapplicabile.

(Per gentile concessione degli autori A.Ossicini e A.Miccio , Specialisti in Medicina Legale ed in Medicina del Lavoro si anticipa, online, l'articolo che è in via di pubblicazione su rivista scientifica). Formato in PDF: http://www.medicocompetente.it/documenti/740/Articolo-del-mese-maggio-2014.htm


La valutazione del danno in ambito Inail, a seguito dell'entrata in vigore del D.M. 12.7.2000 fa riferimento esclusivamente al danno biologico di cui all'art.13 del D.Lgs n.38/2000, con l'eccezione prevista da comma 11 dello stesso articolo che statuisce "Per quanto non previsto dalle presenti disposizioni, si applica la normativa del testo unico , in quanto compatibile".

Da una lettura dei suoi diversi comma, ben dodici, si evincono le modalità di valutazione del grado di menomazione a seguito di evento negativo sull'integrità psico-fisica, sia di natura infortunistica che legato ad una malattia professionale.

Infatti nel suddetto articolo si ricavano le diverse metodologie, fermo restando che proprio nel D.M. citato, si ritrovano, prima delle tabelle, delle puntuali indicazioni sulla criteriologia; lo stesso articolo di fatto sostituisce, ed integra, gli articoli che vanno dall'art.78 all'art.83 del D.P.R. n.1124/1965

IL 'articolo 13 al comma 2, afferma che i "..danni conseguenti ad infortuni sul lavoro e malattia professionali verificatesi e denunciate a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale (9 agosto 2000) " ed il comma 2, punto a) impone che "..le menomazioni conseguenti alle lesioni dell'integrità psicofisica....sono valutate un base a specifica 'tabella delle menomazioni'comprensive degli aspetti dinamico relazionali ..." e subito dopo al comma 5 e 6 vengono esplicitate le diverse possibilità.

IL comma 5 recita che nel caso "...l'assicurato, già colpito da uno o più eventi rientranti nella disciplina delle presenti disposizioni, subisca un nuovo evento lesivo si procede alla valutazione complessiva dei postumi ed alla liquidazione quindi di un'unica entità o dell'indennizzo in capitale corrispondente al grado complessivo della menomazione dell'energia psicofisica..", mentre il comma 6 dello stesso articolo, che si divide in due parti, fa riferimento a due situazioni differenti in relazione alla congiunzione di postumi tra due eventi sotto diversi regimi, o con menomazioni precedenti extralavoro.

Nella prima rientra sia il caso di presenza menomazioni preesistenti extralavoro, sia il caso in cui un precedente evento sotto il vecchio regime, abbia visto riconosciuto un danno sotto la soglia della rendita (11% in attitudine al lavoro); nella seconda parte, invece, quello in cui l'evento in vecchio regime abbia dato origine ad una rendita - per intenderci quello posto all'attenzione della Corte Costituzionale,

Infatti la prima parte del sesto comma recita che "..il grado di menomazione dell'integrità psicofisica causata da un infortunio sul lavoro o malattia professionale quanto risulta gravato da menomazioni preesistenti concorrenti derivanti da fatti estranei al lavoro da infortuni o malattie professionali verificatisi o denunciati prima della data di entrata in vigore del decreto ministeriale....e non indennizzati in rendita deve essere rapportato non all'integrità psicofisica completa ma quella ridotta per effetto delle preesistenti menomazioni ,il rapporto espresso da una frazione in cui il denominatore indica grado di integrità psicofisica preesistente ed il numeratore la differenza tra questa ed il grado di integrità psicofisica residuato dopo l'infortunio la malattia professionale..." , di fatto sostituisce l'art. 79 del T.U., nella seconda parteinvece "Quando per le conseguenze degli infortuni o delle malattie professionali verificatisi o denunciate prima della data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3 l'assicurato percepisca una rendita o sia stato liquidato in capitale ai sensi del testo unico, il grado di menomazione conseguente al nuovo infortunio o alla nuova malattia professionale viene valutato senza tenere conto delle preesistenze...".

Questa criteriologia si applica a tutti i casi successivi all'entrata in vigore del D.M. 12.7.2000; a ciò si deve aggiungere come detto, e da non dimenticare, il comma 11 che recita "Per quanto non previsto dalle presenti disposizioni, si applica la normativa del testo unico, in quanto compatibile".

Se dalla lettura comparata tra i due articolati alcune norme del precedente T.U. non sono compatibili con quanto previsto dall'art.13, di fatto sono inapplicabili, o meglio se previsto dalla nuova normativa non bisogna applicare la precedente, ma di questo sembra che non tutti se ne siano accorti, in primis la Corte Costituzionale nella sentenza n.46/209109 e la stessa Corte di Cassazione che ha ripetuto, più volte, il riferimento all'art.80, articolo che non aveva più ragione di esistere

In più pubblicazioni, a seguito di raffronto tra gli articoli del D.P.R. n.1124/1965, 78,79,80 e 83, ed i diversi comma dell'art.13 del D. Lgs 38/200012 si è sostenuto che di fatto erano stati soppressi gli articoli dal 78,79 ed 80, per i nuovi eventi, mentre rimaneva vigente l'art.83 in quanto esplicitamente richiamato dal comma 7 dell'art 13 che si esprimeva nel senso che "..la misura della rendita può essere riveduta, nei modi e nei termini di cui agli articoli 83 (137e 146) del testo unico."

Essendo entrati, dall'agosto del 2000, in un diverso regime indennitario, l'articolo 80 è stato soppresso o per usare una terminologia giuridica tratta proprio dalla norma, non può più essere usato in quanto "incompatibile", in considerazione che le tre possibilità descritte nei tre commi dell'art.80 fanno tutte riferimento ad una trattazione indennitaria di cui al Capo V, (Prestazioni), art. 66, lettera b) del vecchio D.P.R. n.1124/1965 - attitudine al lavoro - non più assolutamente verificabile.

Per comprendere che l'art.80 non è più cogente è sufficiente riportare le prime righe di detto articolo che recita "Nel caso in cui il titolare di una rendita, corrisposta a norma del presente titolo, sia colpito da un nuovo infortunio indennizzabile...si procede ad alla costituzione di un'unica rendita in base al grado di riduzione complessiva dell'attitudine al lavoro causata da..." , considerato che ora il danno deve essere valutato in danno biologico, l'evenienza di cui sopra (attitudine al lavoro) non potrà mai accadere.

Singolare, invece che la Corte Costituzionale a distanza di ben dieci anni dall'entrata in vigore del D.lgs n.38/2000 - con sentenza n.46/2010 - abbia dato una "suggestiva" interpretazione dell'art.80 per garantire la tutela integrale del lavoratore, asserendo che con l'applicazione dell'art.80 "..non è ravvisabile violazione dei principi costituzionali...", presupposto errato in quanto l'art.80, posto alla base della decisione, nulla aveva a che fare con il caso posto all'attenzione della Corte.

Gli scriventi hanno commentato a caldo detta sentenza con una pubblicazione sul sito del Medico Competente3 - marzo del 2010 - senza aspettare il ritorno in sede di merito e facendo presente da subito che l'art.80 nulla c'entrava, ma il riferimento corretto per la trattazione non poteva che essere l'art.13.

Nel contributo sopra citato si scriveva chiaramente "Si sottolinea inoltre il fatto che la Corte non si sia resa conto che, essendo la domanda del 4.12.2003, non si era più nel regime di T.U. n.1124/1965 ma si ricadeva nell'art.13 comma 6 del D.Lgs. 38/2000...." e poi si proseguiva "..ciò comporterà che non dovendosi procedere ad una complessiva valutazione del danno ai sensi dell'art.80, si dovrà pervenire alla costituzione di un'altra rendita in base al dispositivo di cui all'art.13, comma 6 ...senza tenere conto delle preesistenze.." e si aggiungeva anche una problematica "prevenzionale" rimasta tuttora inascoltata in quanto si affermava4 "Se è vero che : "E' soggetto a responsabilità risarcitoria per violazione dell'art. 2087 c.c. il datore di lavoro che, consapevole dello stato di malattia del lavoratore con la sua residua capacità lavorativa continua ad adibirlo a mansioni, che sebbene corrispondenti alla sua qualifica, siano suscettibili - per la loro natura e per lo specifico impegno (fisico e mentale) - di aggravamento a seguito dell'attività svolta..."la responsabilità non potrà che ricadere sul Medico Competente per aver consentito il proseguimento di una lavorazione a rischio non evitando "un peggioramento delle condizioni di salute del lavoratore a causa dell'attività lavorativa" come statuisce, invece, la normativa prevenzionale.

Che la "questione" sollevata non fosse ben chiara si riscontra nella trattazione del caso, nei successivi giudizi una volta rimesso alla discussione nella sede naturale, tanto che da parte di chi scrive si avvertiva di prender atto che "L'input che ne deriva è quindi quello di considerare l'originaria domanda di revisione scaduta, come una nuova domanda, e questo lo vedremo allorché su istanza di parte verrà riesaminato il caso alla luce di queste indicazioni.." ma con particolare attenzione che"...essendo la domanda del 4.12.2003, non si era più nel regime di T.U. n.1124/1965 ma si ricadeva nell'art.13 comma 6 del D.Lgs. 38/2000", e, al termine del successivo percorso giudiziario, si esprimevano ulteriori perplessità, su di una non corretta applicazione, esplicitati in una successiva pubblicazione che compariva sul sito "Prevention & Research"5

In quest'ultima pubblicazione, infatti, si concludeva affermando:"La lettura degli atti, con le conclusioni cui si è pervenuti nel caso specifico - aggravamento di una ipoacusia trascorso il quindicennio, che era stato portato all'attenzione della Corte Costituzionale - evidenzia che la trattazione appare costellata di fraintendimenti -di metodo e di merito - da parte dei diversi attori nelle fasi del giudizio; alla fine si è giunti ad una valutazione ed interpretazione del nuovo principio dettato dalla sentenza ,solo parzialmente, coerente con l'enunciato principio di diritto, non rispecchiando - nella concreta applicazione - il significato reale del comma 6 dell'art.13 del D.Lgs 38/2000".

Si argomentava così perché solo dopo altri due giudizi - Tribunale e Corte d'appello - la vicenda aveva termine, ma con un grossolano errore metodologico. La Corte di Appello, infatti, aveva alla fine applicato l'art.13, comma 6, seconda parte, ma dandone una interpretazione non corretta, cioè non adeguandosi compiutamente alla diversa realtà in cui ci si doveva muovere.

Rimandiamo per una migliore comprensione al lavoro integrale già pubblicato da cui però si riporta questo passaggio : "Dalla lettura degli atti si rilevano una serie di mistakes metodologici, normativi ed applicativi che, via via, si sono palesati nella trattazione del caso tanto che un buon scrittore di spy story non avrebbe potuto immaginare un percorso così intricato che alla fine, non ha portato ad una soluzione aderente al nuovo enunciato principio" e da cui si evince chiaramente che , ne' le parti, ne' il CTU, ne' i Giudici hanno ben compreso la portata del comma 6 dell'art.13.

Qui ci limitiamo a ricordare che, in conclusione, i Giudici di appello, per applicare detto articolo si sono limitati, seguendo l'errato convincimento del CTU, a sottrarre alla valutazione in danno biologico, pari al 32%, il 20%, della vecchia rendita che però era valutazione con riferimento alla perdita dell' "attitudine al lavoro" in siffatta maniera errando nel metodo, un quanto il tutto doveva essere riportato in danno biologico.

Ma ulteriori perplessità derivano dalla lettura di un notiziario Inca6 dell'inizio 2011, pubblicato a seguito di specifico seminario dedicato alla trattazione della sentenza 46/2010 in cui gli effetti di tale pronunciamento furono oggetto di riflessione. A commento della sentenza dapprima si afferma: "A tali fini, non sembra peraltro applicabile, quantomeno in riferimento alla fattispecie che ha originato l'ordinanza di rimessione alla Corte, l'istituto dell'unificazione della rendita di cui all'art. 80 T.U., esteso alle malattie professionali ex art. 131, trattandosi di eventi (la «prima» e la «nuova» malattia) che cadono sotto due diversi regimi: vale a dire, da un lato, sotto il regime di cui al T.U. n 1124/1965 e, dall'altro, sotto quello di cui al d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38." - considerazione da noi fatta subito dopo l'emissione della sentenza - ma, erroneamente, successiva,mente si aggiunge che "Per quanto attiene al metodo di valutazione del «nuovo» danno, è da ritenere che, in linea con la regola generale prevista per tali ipotesi, la causa della precedente rendita vada considerata come una preesistenza extralavorativa, con conseguente applicazione della formula Gabrielli", confondendo la prima parte del comma 6, relativa ad unificazione con infortuni o malattie professionali verificatisi o denunciati prima data di entrata in vigore del decreto ministeriale non indennizzati in rendita, con la seconda parte dello stesso comma secondo cui allorché, invece, l'assicurato percepisce una rendita - come nel caso in questione - (o sia stato liquidato in capitale ai sensi del testo unico) il grado di menomazione conseguente al nuovo infortunio o alla nuova malattia professionale viene valutato senza tenere conto delle preesistenze.

Sempre in un notiziario INCA del giugno 2011, a commento delle tre sentenze della Cassazione n. 5548, n.5549 e n. 5550 del 9 marzo 2011, si rimanda per gli opportuni approfondimenti alle risultanze del seminario - Notiziario Inca n 1-2/2011 - si legge che "...dal dispositivo delle sentenze di Cassazione, come del resto già dal pronunciamento della Corte Costituzionale, non si evince come, nel concreto, viene valutato il danno in queste ipotesi...", cosa che invece a chi scrive era apparso da subito logico all'indomani della sentenza del 2010.

Alla fine del 2011 inoltre, su una rivista7 , si ritrova ".. ancora una volta, è stata la magistratura a dover sottolineare l'importanza primaria della tutela della salute delle lavoratrici e dei lavoratori, anche se questo significa derogare dal rigoroso rispetto dei termini della prescrizione fissati dalla normativa vigente, facendone emergere i limiti ..." commento che non sembra cogliere il fatto che, invece, la Corte Costituzionale non ha ammesso alcuna deroga ai termini prescrizionali di cui all'art.137.

Infine, sempre in rete, si trovano commenti inappropriati relativamente alla decorrenza della prosecuzione all'esposizione a rischio, dandone una interpretazione del tutto errata, su cui in verità la Corte Costituzionale era stata, invece, ben precisa.

In uno fra i tanti, sul sito "Medicina e Società"8 si legge che "La Corte Costituzionale, con sentenza 46/2010, e la Corte di Cassazione, con 3 sentenze "fotocopia" del marzo 2011, hanno stabilito che il termine oltre il quale non è più possibile richiedere ulteriori aggravamenti è stabilito in 15 anni dalla costituzione della rendita non è sempre vero, ma devono ricorrere precise condizioni. Infatti, se l'esposizione alla sostanza o alla lavorazione morbigena perdura oltre il 15° anno, l'eventuale aggravamento della patologia tecnopatica si può configurare come una richiesta per una "nuova" malattia professionale..." .

Qui vi sono dure errori concettuali, il primo è quello per cui si sosterebbe che la revisione "a precise condizioni", potrebbe andare oltre il quindicennio, cosa che non corrisponde assolutamente al vero in quanto la Corte Costituzionale, come già spiegato in precedenza, ha chiaramente affermato che non si applica l'art.137, e comunque non si deroga ai quindici anni, anche se, in tutta onestà, come sostenuto da chi scrive, appare trattarsi di una revisione mascherata pur di non dichiarare che il termine revisionale decorre dalla cessazione dell'esposizione al rischio.

Il secondo errore riguarda la possibilità di inoltrare "nuova domanda" quando l'esposizione alla sostanza o alla lavorazione morbigena perdura oltre il 15° anno"; in verità, e giustamente, la Corte Costituzionale fa, esclusivamente riferimento alla prosecuzione dell'esposizione al rischio "successivamente alla costituzione della rendita...", che è tutt'altro principio.

Proprio per questo, nel precedente contributo, avevamo chiosato dicendo che non ci pareva corretto il limite, legato alla costituzione della rendita, dei quindici anni per la revisione, di cui all'art.137, invece che dalla cessazione dell'esposizione al rischio.

Siamo tornati ancora una volta su questa sentenza in considerazione che non solo si sono presentati altri casi simili, con riferimento alla seconda parte del comma 6 dell'articolo 13, ma perché, proprio di recente si è presentato un caso che non può che afferire, invece, che alla prima parte del comma 6 , in considerazione che chi ha fatto "nuova domanda" ha un punteggio sotto il minimo indennizzabile relativo ad evento trattato nel vecchio regime di tutela. Una volta chiarito infatti che esiste una correlazione tra l'aggravamento del danno con il proseguimento delle esposizione, non si può che dar corso all'applicazione di detto comma, ed anche in questo caso l'art. 80 nulla rileva.

In conclusione la Corte Costituzionale, e successivamente la Corte di Cassazione con più sentenze riprendendo il riferimento errato, ha dato, per risolvere un vuoto di tutela, una interpretazione dell'art.80, che non aveva motivo in quanto detto articolo non è più vigente.

Ogni considerazione si doveva basare, invece, su una corretta interpretazione non solo del comma 6 dell'art.13, ma anche del comma 5.

Ciononostante sembra che ormai la strada da percorre sia stata ben individuata, anche alla luce della circolare Inail n. 5/2014. che ha ben precisato, sia mediante le istruzioni operative, sia con le spiegazioni- allegato n.1 - della stessa circolare dal titolo: "Flusso di trattazione delle domande di aggravamento della malattia professionale con variazione in peius delle condizioni fisiche del titolare di rendita riconducibile alla protrazione della esposizione a rischio oltre la decorrenza della rendita", come si debba procedere nel rispetto del novellato principio scaturito dalla pronuncia della Corte Costituzionale.

E coloro che lamentano che l'Inail ha impiegato quasi quattro anni a dare indicazioni non possiamo che far presente che, da una parte, il caso oggetto della sentenza della Corte Costituzionale ha trovato conclusione, peraltro come detto non aderente alla norma, dopo nuovi passaggi sia in tribunale che in Corte di Appello, solo nel luglio 2012 e che, dall'altra, le indicazioni su come proseguire, pur contenute già in nuce nel dispositivo della sentenza, non sono state, come visto, di facile comprensione anche per gli stessi addetti ai lavori, visto che la stessa Corte di Cassazione ne ha dato un'interpretazione non aderente del tutto alla normativa.

In definitiva allorché si presenta una "nuova malattia" nel senso specificato dalla Corte Costituzionale, cioè esposizione allo stesso rischio dopo la costituzione di rendita, rimandiamo ai precedenti lavori, o alla circolare 5/2014 su detto concetto, si possono presentare, ora in danno biologico, tre situazioni già normate dallo stesso articolo 13:

  1. "nuova malattia" in presenza di "analoga" malattia non indennizzata in rendita (1-10%) della vecchia gestione" si applica la prima parte del comma 6 dell'art.13;

  2. "nuova malattia" in presenza di "analoga" malattia indennizzata in rendita (>10%) della vecchia gestione", si applica il comma 6 dell'art.13 ultima parte

  3. Quando in futuro, non prima della scadenza revisionale di un evento in vecchia gestione (quindi dopo il 2015, senza considerare i tempi prescrizionali) in caso di "nuova malattia" che aggrava una "analoga malattia" - stessa gestione danno biologico, si applica semplicemente le previsioni del comma 5 dell'art.13! Come si vede l'art. 80 non rileva.

Le nuove indicazioni scaturite dalla Circ. 5/2014 dell'Inail sono, a nostro avviso, ad una attenta lettura, del tutto esaustive, in riferimento al caso concreto, e le altre situazioni di fatto già normate.

1 Criteriologia della valutazione del danno. Confronto tra T.U. n. 1124/1965 e D.LGS. n. 38/2000:dall'attitudine al lavoro al danno biologico - A. Ossicini -Rivista Infortuni e Malattia professionali 1-2-2001

2 La Consulenza in Materia di attività di lavoro (Inail) A. Ossicini in La consulenza tecnica e la perizia in medicina legale Metodologia operativa - a cura di G. Umani-Ronchi

3 "Aggravamento" o "Nuova Malattia" di una stessa patologia: una interpretazione suggestiva della Corte Costituzionale per superare i limiti posti dall'art.137 T.U. n.1124/65, revisione delle M.P. A. Ossicini, A. Miccio www.medicocompetente.it

4 Cass. sez. lav. 3 luglio 1997, n. 5961

5 "Aggravamento" o "Nuova malattia" epilogo di un caso dopo la sentenza 46/2010 della Corte Costituzionale:. quando la soluzione di un problema, cambia la natura del problema" A. Ossicini, A. Miccio ww.preventionandresearch.com on line 19 Sep. 2013, P&R Public. Anno 3, n.3

6 Notiziario Inca Anno Xxix - N. 1-2 Gennaio-Febbraio 2011 Il contenzioso come strumento di tutela Linee guida di intervento legale e medico-legale dell'Inca-Cgil

7 Diritto e giustizia Esperienze 19/2011 http://www.inca.it/Portals/0/Editoria/Esperienze/2011/INCAesperienze3_5/swf/slide0001.swf

8 www.medisoc.it/corte-costituzionale-sentenza-462010/ Medicina e società - 3 luglio 2011 S. NIcolosi

A.Ossicini1 - A.Miccio2

1 Adriano Ossicini - Specialista in Medicina Legale ed in Medicina del Lavoro

2 Antonella Miccio - Specialista in Medicina Legale ed in Medicina del Lavoro

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