La seconda Convention dei medici competenti italiani, quest'anno, si terrà a Bergamo il 19 e 20 giugno, con il preciso intento di riprendere e approfondire il ragionamento scaturito dal dibattito iniziato l'anno scorso con la prima Convention nazionale. Nell'articolo di questo mese, a cura di Ernesto Ramistella (coordinatore nazionale AProMel-SIMLII) e Cristiano Mirisola (segretario della stessa sezione tematica) vengono indicati i temi fondamentali e quelli da sviluppare.
Le proposte sviluppate nella manifestazione dell'anno 2014 hanno consentito di elaborare alcune ipotesi di modifica legislativa, presentate in occasione di un recente incontro al Ministero del Lavoro in relazione all'annunciato provvedimento di semplificazione del D.Lgs. 81/08, previsto nell'ambito dell'attuazione della legge delega sul cosiddetto Jobs Act (che dovrebbe essere ormai in dirittura d'arrivo).
Nella scorsa edizione, tuttavia, l'attenzione era stata centrata su un fondamentale interrogativo di fondo, e cioè se la crisi economica, da un lato, e la globalizzazione, dall'altro, potessero rendere ancora sostenibile il "modello sociale europeo" e le storiche garanzie di welfare a essocollegate.
La discussione cominciata allora, che poi si è sviluppata nel corso di tutto l'anno (nonostante la necessità di rincorrere alcune emergenze e criticità che ci hanno impegnato tutti intensamente), ha permesso di fissare alcuni punti fermi, che si possono brevemente riassumere come segue:
- la consapevolezza, ormai generalmente acquisita, che in assenza di una seria politica di Prevenzione i costi complessivi del sistema aumentano esponenzialmente;
- la necessità di razionalizzare l'uso di tutte le risorse impiegate, anche con l'adeguata semplificazione di quelle norme - spesso eccessivamente formali e difficili da applicare - che finiscono con l'ingessare i concreti percorsi di adempimento della tutela di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
E' ormai chiaro, inoltre, che il mondo della Medicina del Lavoro deve ricercare maggiore unitarietà al suo interno, al fine di instaurare un dialogo costante con tutte le altre componenti del sistema della prevenzione occupazionale e insieme alle quali proporsi quale interlocutore competente e leale delle istituzioni, compito talora reso difficile da qualche opacità complessiva e da una certa desuetudine al confronto di alcuni singoli funzionari (anche se negli ultimi mesi si sono fatti grandi passi avanti).
In effetti, spunti convergenti (e critici) di analisi all'attuale sistema sono stati formulati da tutto il mondo delle cosiddette professioni liberali. L'attenzione principale è stata rivolta al fatto che non si può non constatare che, una volta fissati gli obiettivi dalla legislazione (in genere ampiamente condivisibili in termini generali), viene poi dedicata scarsa attenzione alla tempistica e ai contenuti della normazione successiva, nonché al reale impatto che tali provvedimenti sono in grado di generare.
Nell'arco degli ultimi decenni la Pubblica Amministrazione ha sempre più delegato alle professioni compiti certificativi o addirittura, come nel caso dei medici competenti, definibili come compiutamente "pubblicistici". Il ritiro dal rapporto diretto con i cittadini ha avuto come esito, sia pure non premeditato, una sorta di deresponsabilizzazione di fatto rispetto ai soggetti intermediari, i quali si sono dovuti fare carico non solo della risoluzione delle contraddizioni generate dagli effetti degli obblighi legislativi, ma spesso anche della loro stessa legittimazione. In questo contesto i grandi enti e gli apparati burocratici hanno finito per dover esercitare ampi poteri discrezionali, probabilmente in misura maggiore di quanto essi stessi auspicassero; forse anche in questo risiede il motivo di una farraginosa e autoreferenziale produzione regolatoria, come anche della "impermeabilità" rispetto alle istanze rappresentative e di competenza affannosamente espresse dal mondo delle professioni.
Eppure, l'insieme degli operatori che si occupano di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali rappresenta molto più di uno specifico settore specialistico, poiché questa attività riguarda larga parte di quel sessanta per cento circa della popolazione generale che è, al contempo, anche popolazione lavorativa. Si tratta di un insieme di funzioni che, opportunamente orientate, potrebbe concorrere non solo a non ostacolare l'ordinato funzionamento del mercato del lavoro e a favorire le più adeguate condizioni per un corretto impiego dei lavoratori, ma soprattutto a migliorare la condizione di salute complessiva della popolazione. Una volta tanto, non si tratta qui di introdurre ulteriori argomenti atti a giustificare nuovi tagli di risorse: per queste attività l'impegno economico è già ragguardevole e, anche se è non ancora poco il da farsi, negli ultimi anni una maggiore salubrità dei luoghi di lavoro è stata effettivamente raggiunta. Ma, proprio per questo, saranno difficili da ottenere ulteriori miglioramenti, in quanto sempre più ristretto e più verso il limite superiore è l'ambito di intervento.
La complessa normativa che regola il settore è al tempo stesso ridondante e frammentata; tanto ipertrofica, minuziosa e capillare da non poter essere (quasi) materialmente rispettabile. Tutti gli operatori della prevenzione occupazionale sperimentano quotidianamente la frustrazione di non poter indicare quale sia il livello oltre il quale lavoratori e datori di lavoro possono avere la certezza che gli adempimenti siano stati totalmente soddisfatti. Per meccanismo riflesso si invoca, come in altri ambiti e settori, la ricerca della semplificazione. Ma semplificazione non può voler dire "banalizzazione" o riduzione delle attuali tutele e garanzie, raggiunte dopo decenni di faticosa legislazione sociale. In realtà, come da più parti si è correttamente affermato, il sistema della prevenzione occupazionale del nostro Paese necessita preliminarmente di un intervento di razionalizzazione, senza il quale ogni tentativo di semplificazione potrebbe paradossalmente rivelarsi fonte di ulteriori complessità. Nel caso opposto il rischio che si corre è, per così dire, di girare un po' a vuoto: di non mantenere né aumentare l'attuale livello di tutela e di non rendere meno aleatorio l'esercizio d'impresa (in questo specifico ambito); di non migliorare, insomma, l'efficienza sociale del sistema. A legislazione invariata, comunque, sarebbe già un notevole passo avanti la messa a regime del Sistema Informativo Nazionale della Prevenzione, che consentirebbe di sviluppare finalmente una strategia nazionale degna di questo nome.
Non più obbligare e punire. Questa è la riforma che si dovrebbe finalmente auspicare, quella che devolve il controllo del sistema ai veri portatori di interesse, cioè lavoratori e imprese. Quella dove lo Stato si attesta a svolgere funzioni di indirizzo (approntando snelle leggi-quadro che stabiliscano pochi obiettivi generali) e funzioni di legittimazione (recependo dal mondo degli operatori scientifico-professionali linee guida basate sull'evidenza e correlate buone prassi, utili a raggiungere gli obiettivi normativi). Solo allora si potrà invocare una reale semplificazione: poche norme omogeneamente interpretabili per pochi obiettivi realmente esigibili, nessun controllo formale in itinere e poche sanzioni molto severe per l'inadempimento sostanziale.
Se ciò fosse realizzato, il compito degli operatori della prevenzione diverrebbe più semplice ed evidente: far dialogare le competenze; rendersi interlocutori vieppiù affidabili e leali delle istituzioni, dei lavoratori, delle imprese; adoperarsi per un innalzamento della sensibilità e della consapevolezza culturale complessiva di tutto il sistema. L'aggregazione del mondo dei professionisti della prevenzione occupazionale attorno a questi obiettivi, infatti, è un passo imprescindibile per promuovere efficacemente la cultura della sicurezza.
Tornando allo specifico della nostra attività di medici competenti, la tutela della salute generale, l'intreccio con i temi ambientali e la promozione della salute, sono ambiti che potenzialmente nel prossimo futuro dovrebbero vederci fortemente coinvolti.
Sul primo tema ci limitiamo a ribadire la nostra richiesta di predisposizione all'interno del futuro fascicolo sanitario elettronico di una sezione utilizzabile quale cartella sanitaria e di rischio. Ciò permetterebbe di realizzare la presa in carico costante del cittadino-lavoratore, di evitare duplicazioni diagnostiche e connessi inutili costi e di superare l'attuale incomprensibile disposizione che prevede la conservazione di un documento sanitario personale del lavoratore presso ciascuna azienda ove lo stesso ha prestato la sua attività lavorativa.
Riguardo ai temi ambientali, va rammentato che alla notevole riduzione dell'intensità dei rischi specificamente lavorativi si è accompagnato l'aumento della percezione collettiva della potenzialità delle aziende di incidere negativamente sul territorio ove sono insediate. A questo proposito è prevedibile un avvicinamento, se non una precisa sovrapposizione, delle matrici ambientale, sociale e lavorativa quali fonti di rischio ed è già stato autorevolmente affermato che «su questi temi la Medicina del Lavoro può fornire conoscenze e competenze di assoluto rilievo, oltre a metodi di indagine consolidati in decenni di esperienza in clinica e nei luoghi di lavoro" (prof. Apostoli, programma di mandato SIMLII, 2010).
Riguardo, infine, le iniziative di promozione della salute, i dati disponibili indicano che si tratta di un investimento per i datori di lavoro con ritorni positivi in termini di miglioramento non solo della salute dei dipendenti ma dello stesso clima aziendale (argomento centrale, visto che in assenza di una forte motivazione del management tali programmi non riescono a essere implementati). Nel nostro Paese già molte iniziative, promosse da medici competenti e realizzate da Aziende Sanitarie Locali, Aziende ospedaliere o Istituti universitari (alcune svolte in collaborazione anche con le parti sociali), hanno evidenziato che programmi adeguati possono raggiungere buoni risultati in termini sia finanziari che di salute, limitando la diffusione di fattori di rischio per malattie cronico-degenerative legate al fumo di tabacco, all'alimentazione scorretta, a una scarsa attività fisica etc. Queste esperienze, inoltre, dimostrano ancora una volta che la valorizzazione dell'attività dei medici competenti può avvenire solo in un contesto strutturato di indirizzo e coordinamento generale.
L'impianto normativo di settore spesso mortifica la professionalità di chi cerca di svolgere il proprio ruolo con dedizione e nel nostro sistema prevalgono la frammentazione professionale e l'isolamento individuale, mentre gli altri modelli europei sono orientati all'integrazione multidisciplinare e al lavoro in équipe. E' da qui che dovrebbe ripartire il nostro comune impegno. Come l'anno scorso, l'impostazione della Convention 2015 vorrebbe rendere tutti i partecipanti i veri protagonisti dell'evento. La manifestazione, anche quest'anno con il patrocinio della FNOMCeO, sarà la prima organizzata da AProMel, la nuova sezione tematica della SIMLII dedicata all'attività professionale dei medici del lavoro/medici competenti.
Per quanto riguarda i lavori, la prima giornata prevede tre relazioni di inquadramento su temi specifici, che verranno poi ampiamente discussi all'interno di altrettanti gruppi di lavoro, mentre durante la seconda si terrà una tavola rotonda con numerosi ospiti istituzionali, preceduta dalla sintesi del lavoro dei gruppi.
Per chi ha idee, proposte e voglia di confrontarsi è certamente l'occasione ideale per intervenire, discutere, fare conoscere e presentare le proprie opinioni.
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