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La determinazione del rischio moderato - Giugno 2003

L'Art.72 terdecies del D.Lgs. 25/2002 ha previsto un comitato consultivo per la determinazione e l'aggiornamento dei valori limite di esposizione professionale e per la determinazione del rischio moderato. Sulla base delle conclusioni del Comitato il Governo dovrebbe emanare il Decreto che stabilisce le modalità di individuazione del cosiddetto "rischio moderato".

Il Comitato è composto da nove membri esperti nazionali di chiara fama in materia tossicologica e sanitaria di cui tre in rappresentanza del Ministero della salute su proposta dell'Istituto superiore di sanità, dell'ISPESL e della Commissione tossicologica nazionale, tre in rappresentanza della Conferenza dei Presidenti delle regioni e tre in rappresentanza del Ministero del lavoro. Il nostro sito, in anteprima, pubblica ampi stralci del Documento prodotto dal Comitato di cui sopra.

Diamo particolare importanza alla frase "Se non può essere ridotto il livello di protezione per i lavoratori con l'introduzione della direttiva 98/24 CE appare logico associare il rischio moderato alla dizione rischio irrilevante per la salute". Comunque tutto il documento sembra di elevato spessore scientifico e utile per una più chiara definizione di "rischio moderato" e può rappresentare un punto di riferimento per tutti coloro che si occupano di valutazione del rischio chimico.

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
Comitato consuntivo per la determinazione e l'aggiornamento dei valori limite di esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici - ex art.72 terdecies del decreto legislativo n.25/2002


Premessa e aspetti generali

Con l'emanazione del decreto legislativo 2 febbraio 2002, n, 25 (D.Lgs. 25/02) viene recepita nel nostro Ordinamento legislativo la direttiva 98/24CE del Consiglio del 7 aprile 1998 che costituisce la Quattordicesima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE del 12 giugno 1989 e viene istituito il titolo VII-bis del decreto legislativo 19 settembre 1994, n.626 (titolo VII-bis D.Lgs. 626/94).

Tale recepimento determina nel nostro paese i requisiti minimi per la protezione dei lavoratori contro i rischi per la salute e la sicurezza derivanti dagli effetti degli agenti chimici presenti sul luogo del lavoro o che siano il risultato di ogni attività lavorativa che comporti la loro presenza.

Risulta utile sottolineare che in linea di principio, come peraltro traspare dal "considerando" della direttiva 98/24/CE, l'istituzione del Titolo VII-bis D.Lgs. 626/94, non può provocare un'attenuazione delle attuali norme sulla protezione del lavoratori durante il lavoro, né essere in contrasto con quanto disposto dalla Normativa previdente in materia di salute e di sicurezza negli ambienti di lavoro.

Tale Normativa individua le misure e i principi generali per la prevenzione del rischio chimico sugli ambienti di lavoro indicati prevalentemente nel decreto del presidente della repubblica 19 marzo 1956, n.303 agli art. 9, 15, 18, 19, 20, 21, 25 e 26 (D.P.R. 303/56), nel decreto del presidente della repubblica 27 aprile 1955, n.547 (D.P.R. 547/55), nell'art. 3 comma 1, nell'art. 4 commi 1 e 5 lett. b), negli art. 12 e 13 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626 (Titolo I D.Lgs. 626/94) e nel decreto del Ministero dell'interno 10 marzo 1998 (D.M. 10/3/1998).

Pertanto il recepimento della direttiva 98/24CE e la susseguente istituzione del titolo VII-bis D.Lgs. 626/94 ha confermato che, in presenza di rischio chimico per la salute e la sicurezza, le misure generali di tutela dei lavoratori debbano in ogni caso sempre essere rigorosamente osservate assieme alle misure successivamente individuate con particolarità dell'art. 72-quinquies D.Lgs. 626/94 e cioè:

  • a) la progettazione l'organizzazione dei sistemi di lavorazione sul luogo di lavoro;
  • b) la fornitura di attrezzature idonee per il lavoro specifico e le relative procedure di manutenzione adeguate;
  • c) la riduzione al minimo di lavoratori che sono o potrebbero essere esposti;
  • d) la riduzione al minimo della durata e dell'intensità dell'esposizione;
  • e) le misure igieniche adeguate;
  • f) la riduzione al minimo della quantità di agenti presenti sul luogo di lavoro in funzione delle necessità della lavorazione;
  • g) metodi di lavoro appropriati comprese le disposizioni che garantiscono la sicurezza nella manipolazione, nell'immagazzinamento e nel trasporto sul luogo di lavoro di agenti chimici pericolosi nonché dei rifiuti che contengono detti agenti chimici.

Da questa considerazione di carattere tecnico-giuridico consegue che il titolo VII-bis D.Lgs. 626/94 non può in alcun modo provocare un'attenuazione delle misure generali di tutela dei lavoratori durante il lavoro, né prescindere dall'applicazione della Normativa previgente e pertanto le misure di prevenzione e protezione di carattere generale richiamante sopra devono essere applicate ancor prima di valutare il rischio da agenti chimici.

In altre parole qualsiasi valutazione approfondita del rischio chimico, non può prescindere dall'attuazione preliminare e prioritaria dei principi e delle misure generali di tutela dei lavoratori.


Risulta inoltre utile ribadire che nel caso del rischio da agenti chimici, la tutela della salute dei lavoratori dall'esposizione ad agenti chimici è sempre più legata alla ricerca ed allo sviluppo di prodotti chimici meno pericolosi per prevenire, ridurre ed eliminare, per quanto possibile, il pericolo in via prioritaria alla fonte.

La politica comunitaria in materia è tesa ad agevolare questo fondamentale processo per la salvaguardia della salute e della sicurezza ed in tele contesto va inserito il titolo VII-bis D.Lgs. 626/94, laddove prescrive al datore di lavoro di valutare il rischio chimico per la salute e la sicurezza dei lavoratori al momento della scelta delle sostanze e dei preparati da utilizzare nel processo produttivo, e di sostituire, se esiste un'alternativa, ciò che è pericoloso con ciò che non lo è o è meno pericoloso.

Non dimentichiamo che anche nell'uso degli agenti cancerogeni e mutageni ed in presenza di rischio da agenti chimici pericolosi al di sopra della soglia del "rischio moderato", la possibile sostituzione è una misura di tutela cogente la cui inosservanza (artt. 62 e 72-sexies commi I D.Lgs. 626/94) rappresentata un'inadempienza sanzionata dall'art. 89 comma 2, lettera a) D.Lgs. 626/94.


La definizione del rischio moderato

Nel D.Lgs. 25/02 viene introdotto il concetto di "rischio moderato" e viene stabilito che quando il processo valutativo indichi il non superamento di tale soglia di rischio, il datore di lavoro debba applicare le misure e i principi generali di prevenzione di cui all'articolo 72-quinquies comma 1. D.Lgs. 626/94 (nonché di tutte le altre norme di prevenzione e protezione) e sia invece sollevato dall'applicazione di specifiche misure di tutela quali: la sorveglianza sanitarie e di rischio, le misure specifiche di protezione e prevenzione e le disposizioni in caso di incidenti o di emergenze.

L'introduzione della soglia di "rischio moderato" pone alcuni problemi per la sua definizione sia sotto glia aspetti relativi all'interpretazione della Direttiva 98/24 CE sia sottoalcuni aspetti tecnici e scientifici:

  1. Nelle traduzioni della Direttiva 98/24 CE degli altri Paesi UE il termine è stato univocamente definitivo come rischio "basso" (geringfigiges (D), leve (SP), slight (GB), faible (F), baixio (PI), micro (GR) o irrilevante.
  2. Le direttive CE recepite nel nostro ordinamento non possono ridurre i livelli di tutela della salute e sicurezza raggiunti nelle norme nazionali previdenti.
  3. Nel D.P.R. 303/56, l'articolo 35 comma 2 prevede l'esonero dagli obblighi di Sorveglianza Sanitaria, qualora per l'esiguità del materiale o dell'agente chimico pericoloso e per l'efficacia delle misure preventive adottate, o per il carattere occasionale del lavoro insalubre: "possa fondamentalmente ritenersi irrilevante il rischio per la salute dei lavoratori".
  4. Nel D.M. 10 marzo 1998, che detta criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell'emergenza nei luoghi di lavoro, vengono definiti come luoghi di lavoro a rischio di incendio "basso", quei luoghi o parte di essi in cui vi sono scarse possibilità di sviluppo d'incendio in presenza di sostanze a basso tasso d'infiammabilità e la susseguente probabilità di propagazione è bassa. I luoghi di lavoro a rischio d'incendio basso non hanno necessità della redazione del piano d'emergenza.

Se non può essere ridotto il livello di protezione per i lavoratori con l'introduzione della direttiva 98/24 CE appare logico associare il "rischio moderato" alla dizione "rischio irrilevante per la salute".

Da queste considerazioni può essere ritenuto ragionevole definire il "rischio moderato" previsto dal D.Lgs. 25/02 come una soglia al di sotto della quale il rischio è "basso".

Occorre inoltre mettere in evidenza la differenza che esiste nella definizione di "rischio moderato" fra la Direttiva 98/24/CE e il D.Lgs. 25/02.

Nella prima il "rischio moderato" viene individuato solo dal parametro quantità dell'agente chimico mentre nel recepimento italiano i parametri presi in considerazione sono:

  • il tipo e quantità dell'agente chimico;
  • modalità e frequenza di esposizione all'agente chimico.

Entrambi i testi prevedono la coesistenza dei parametri individuali con le misure di prevenzione e protezione sufficienti a ridurre il rischio.

Prima di definire sotto gli aspetti tecnico-scientifici il "rischio moderato" si prendono in esame metodi e riferimenti contenuti nella norma relativamente al processo di valutazione del rischio; questa è presa in esame all'articolo 72-quater comma I. D.Lgs. 626/94, dove al datore di lavoro vengono indicati due compiti:

  • di determinare preliminarmente la presenza eventuale di agenti chimici pericolosi sul luogo di lavoro;
  • di valutare i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori derivanti dalla presenza di tali agenti.

La valutazione del rischio moderato per la salute e la sicurezza

Viene così pienamente confermato il processo valutativo individuato nella legislazione CE e contenuto nelle "Linee Guida CEE per effettuare la valutazione dei rischi" (D.Lgs. CEE: orientamenti CEE riguardo alla valutazione dei rischi sul lavoro in "fogli di informazione ISPESL ANNO VIII 95" monografico), che prevede nella prima fase "l'identificazione dei pericoli e nella seconda e successive "la valutazione dei rischi". (DGV CEE Linee Guida in sezione 2 paragrafi 2 e 3).

Il datore di lavoro dovrà quindi procedere "preliminarmente" alla identificazione di tutti gli agenti chimici utilizzati, stilando una lista completa di tutte le sostanze e preparati chimici utilizzati a qualunque titolo in azienda. Si rammenta che nel campo di applicazione sono compresi gli agenti chimici di qualunque specie, anche in origine naturale purchè dotati di caratteristiche di pericolosità (per esempio: cereali, mangimi, minerali, etc.).

Per ognuno di questi deve essere poi associata la classificazione CEE (quando esistente) ovvero in assenza di questa deve essere identificato se l'agente chimico utilizzato, pur non essendo classificato possa comportare comunque un rischio per la salute e la sicurezza (art. 72 - comma 1 lettera b) punto 3) D.Lgs. 626/94).

Inoltre nella identificazione dei pericoli, il datore di lavoro, deve tener conto delle attività produttive che vengono svolte, al fine di identificare se nel corso di tali attività, vi siano processi o lavorazioni in cui si sviluppano agenti chimici pericolosi quali per esempio: attività di saldatura, eliminazione o trattamento rifiuti, fusione o tempra dei metalli, uso di fluidi lubrorefrigeranti, combustioni, lavorazioni a caldo di materie plastiche, o altro.

È estremamente utile che già in questa fase di ricognizione vangano stabilite anche le quantità di prodotti utilizzati e, in linea generale, il luogo e le modalità d'uso dell'agente.

Il processo di valutazione dei rischi deva essere effettuato anche nel caso che venga avviata una nuova attività secondo le modalità previste dall'articolo 72-quater comma 6. D.Lgs. 626/94.

In questo caso la valutazione deve essere predisposta prima dell'inizio dell'attività e questa può iniziare solo dopo avere effettuato la valutazione e predisposto le idonee misure di prevenzione dai rischi; inoltre, da parte del datore di lavoro deve essere seguita, quando occorre, la procedura prevista dall'art. 48 del DPR 303/56 per le nuove attività.

Il datore di lavoro dopo aver eseguito la fare di identificazione dei pericoli deve intraprendere la fase di valutazione del rischio: il titolo VII-bis D.Lgs. 626/94 indica, in particolare, le variabili da tenere in considerazione:

  • "le proprietà pericolose dell'agente".
  • le informazioni contenute nella scheda informativa in materia di sicurezza (obbligatoria).
  • "il livello, il tipo e la durata dell'esposizione".
    Le modalità con cui si può prevenire ad identificare questi parametri sono di tre tipi:
    1. Misurazioni o valutazioni già eseguite in precedenza;
    2. Misurazioni o valutazioni eseguite ad hoc già in questa fase (per esempio nei casi che già si suppongono oltre il "rischio moderato");
    3. Ovvero in questa fase come stime qualitative che identificano, in termini semplici, le variabili e permettono una graduazione preliminare del livello di esposizione.
  • le circostanze di svolgimento del lavoro e le quantità in uso della sostanza o del preparato.
  • i valori limite d'esposizione professionale c/o biologici dell'agente se esistenti.
  • gli effetti delle misure preventive e protettive adottate.
  • le conclusioni, se disponibili, delle azioni di Sorveglianza Sanitaria.

Preme sottolineare che nella valutazione dei rischi il datore di lavoro deve indicare le misure di prevenzione e protezione adottate e tenere conto del loro effetti sui rischi (art. 72-quater comma 2 D.Lgs. 626/94).

Nella valutazione dei rischi, effettuata attraverso i parametri sopraindicati, è possibile includere la "[...] giustificazione che la natura e l'entità dei rischi [...] rendono non necessaria una ulteriore valutazione maggiormente dettagliata dei rischi".

Si identifica così un primo "passaggio" del processo che prevede che quando le esigue quantità degli agenti chimici impiegati e la natura degli stessi (inclusione in matrice, ciclo chiuso, ecc.ovvero caratteristiche chimico-fisiche quali tensione di vapore, temperatura di fusione di ebollizione, punto di infiammabilità, stato di aggressione, etc.) lo permettono, sia possibile terminare il processo di valutazione dei rischi che comunque deve contenere quanto previsto dagli artt. 72-quater comma 1 e 72-quinques comma 1 D.Lgs. 626/94.

In merito alla giustificazione si veda anche il documento Linee Guida CEE sulla valutazione dei rischi DG V CEE, dove viene indicato di non procedere ad una dettagliata valutazione dei rischi in presenza di pericoli che per natura e quantità non necessitano di ulteriori approfondimenti.

La giustificazione consente al datore di lavoro di terminare il processo di valutazione dei rischi senza ulteriori approfondimenti (ad esempio misurazioni ambientali, valutazioni complesse). Ma non lo esonera dalla predisposizione di opportuni provvedimenti di prevenzione e protezione e altresì gli consente di classificarsi al di sotto della soglia del "rischio moderato".

Si può individuare un percorso che consente di arrivare a definire le condizioni per cui il datore di lavoro possa classificare il rischio da agenti chimici al di sotto o al di sopra della soglia del "rischio moderato".

  • l'identificazione dei pericoli avverrà secondo le modalità e gli schemi già citati che comprendono
    1. la lista esaustiva di tutte le sostanze e preparati utilizzati in azienda;
    2. la rassegna dei processi e lavorazioni per verificare se si sviluppino, in qualunque modo, agenti chimici pericolosi;
    3. la classificazione di tutti gli agenti chimici individuati con le frasi di rischio R secondo la classificazione CE;
  • la valutazione preliminare dei rischi connessi all'uso o alla presenza di tutti gli agenti chimici pericolosi secondo quanto previsto dall'articolo 72-quater I D.Lgs. 626/92;
  • quando natura e entità dell'agente chimico lo consentono terminare il processo di valutazione e classificarsi al di sotto della soglia del "rischio moderato" (art. 72-quater comma 5 D.Lgs. 626/94);
  • sviluppare, nei casi in cui è necessario, una dettagliata valutazione del rischio attraverso misurazioni ambientali (esposizione cutanea e/o inalatoria) o algoritmi o modelli per stime di rischio.

A) Rischio tossicologico

1. Valutazione attraverso l'uso dei valori limite occupazionali.

Le misurazioni devono essere effettuate secondo le norme UNI-EN di cui all'Allegato VIII-sexics Titolo VII-bis D.Lgs. 626/94; in particolare la UNI-EN, all'APPENDICE C, fornisce una procedura formale per la valutazione della esposizione di addetti.

In merito ai valori di esposizione rilevati si può evitare la misurazione periodica dell'agente (art. 72-sexies comma 2 D.Lgs. 626/94) e terminare il processo di miglioramento, in quanto ci sono sufficienti garanzie che non sia superato il valore limite, quando

  • il valore di esposizione risulti quantomeno inferiore ad 1/10 del valore limite;
  • su rilevazioni effettuate in tre diversi turni di lavoro e nella medesima postazione di lavoro, il valore di esposizione risulti quantomeno inferiore ad ¼ del valore limite.

Pertanto è ragionevole e praticabile indicare che quantomeno tali valori fissino la soglia al di sopra della quale si deve classificare il "rischio non moderato" per inalazione di un agente chimico.

Inoltre la stessa norma UNI EN 689 offre un approccio di valutazione statistica rispetto al valore limite (appendice d). Secondo l'appendice D il numero di misurazioni delle esposizioni deve risultare più alto (almeno 6 è il numero minimo accettabile) e sono previste tre zone di riferimento in funzione delle percentuali previste di superamento del valore limite:

  • situazione rossa con probabilità di superando del valore limite maggiore del 5%;
  • situazione arancio con probabilità di superamento del valore limite fra lo 0,1% e il 5%;
  • situazione verde con probabilità di superamento del valore limite inferiore allo 0,1%.

Nel caso di applicazione di questo criterio statistico la soglia del "rischio non moderato" è quantomeno individuabile quando non si rientra nella situazione verde.


2. Valutazioni senza l'ausilio di valori limite.

I modelli o algoritmi per la valutazione del rischio permettono, attraverso un giudizio sintetico finale, di inserire il risultato delle valutazioni in classi: risulta pertanto indispensabile per l'applicazione di ogni modello, oltre alla conoscenza dettagliata, riferirsi alla specifica graduazione in esso contenuta.

Nel caso delle piccole e medie imprese, che si distinguono per una elevata variabilità delle mansioni lavorative degli addetti e dei relativi tempi di esposizione nonché delle modalità d'uso degli agenti chimici, gli algoritmi o i modelli possono rappresentare uno strumento di particolare utilità nella valutazione del rischio.

Risulta comunque consigliabile, nei casi dubbi, confermare il risultato dei modelli con una o alcune misurazioni dell'esposizione.


3. Valutazione dell'esposizione cutanea

Nel campo della valutazione dell'esposizione cutanea non sono attualmente disponibili valori limite di esposizione dermica mentre sono disponibili metodiche per la misurazione.

Nel caso di valutazione dell'esposizione cutanea per classificare il "rischio moderato" sono possibili due vie:

  • senza misurazioni, attraverso modelli in cui ci si può classificare nel "rischio moderato" quando la valutazione porta alle classi "molto basso" e "basso" che devono comunque escludere il contatto o lo prevedono solo per casi sporadici o incidentali;
  • con misurazioni, da utilizzare ogni qualvolta esistono dubbi sull'esposizione cutanea; in questo caso per classificarsi in "rischio moderato" un approccio conservativo potrebbe essere quello di determinare quantità, in concentrazione (ug/cm2/giorno), al di sotto di 10 volte il limite di rilevabilità del metodo.

B) Rischio di incendio e/o esposizione

Per la classificazione al di sotto della soglia del "rischio moderato" nel caso della valutazione di incendio si individua il Decreto del Ministero dell'Interno 10 marzo 1998 "Criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell'emergenza nei luoghi di lavoro" quale punto di riferimento. Nel Decreto Ministeriale succitato vengono individuate tre classi di rischio di incendio: luoghi di lavoro a rischio di incendio elevato, medio e basso e, nell'Allegato IX, sono individuati, a titolo esemplificativo e non esaustivo, elenchi di attività che rientrano nelle attività a rischio di incendio medio ed elevato.

Per tali attività si ritiene automatico classificare il rischio di incendio come superiore al moderato. Per attività non indicate nell'Allegato IX si deve effettuare la valutazione del rischio incendio ed è possibile classificare al di sotto della soglia del "rischio moderato" quelle attività per cui tali valutazioni hanno portato all'identificazione delle seguenti condizioni (punto 1.4.4 del D.M.10.03.1998 - Luoghi di lavoro a rischio di incendio basso):

  1. sostanze a basso tasso di infiammabilità;
  2. condizioni locali e di esercizio con scarsa possibilità di sviluppo di principi d'incendio;
  3. probabilità di propagazione limitata in caso di eventuale incendio.

Inoltre possono essere di ausilio nella valutazione di incendio e/o esplosione e nella relativa classificazione in "rischio moderato"

  • Le norme CEI EN 60079-10 (Classificazione dei luoghi pericolosi); CEI 31-35 e CEI 31-35/A (Guide all'applicazione della norma CEI EN 60079-10); CEI64-2 (Prescrizioni specifiche per la presenza di polveri infiammabili e sostanze esplosive).
  • La direttiva 1999/92/CE del 16 dicembre 1999 relativa alle prescrizioni minime per il miglioramento della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori che possono essere esposti a rischio di atmosfere esplosive (quindicesima direttiva particolare ai sensi dell'art. 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE.
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