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Il MC e le denunce di MP: vi possono essere aspetti di malpractice? - Agosto 2003

Vorrei dire innanzitutto che sono d'accordo con le considerazioni fin qui fatte dagli altri partecipanti a questo forum ed in particolare sulle cause citate della riduzione del numero di malattie professionali denunciate ed al basso numero di malattie professionali riconosciute.

Queste cause, in sintesi, possono essere fatte risalire anche secondo me a diversi fattori. Da un lato vi è stato sicuramente un mutamento della tipologia di malattie professionali, cioè sono effettivamente quasi scomparse le patologie da accumulo, come quelle da esposizione a forti concentrazioni di inquinanti come silice, asbesto, metalli, solventi e quindi si sono drasticamente ridotte le pneumoconiosi classiche (silicosi, asbestosi), le intossicazioni da metalli e le neuropatie da solventi.

Questo anche grazie ad un reale miglioramento delle condizioni di lavoro e per le attività di prevenzione. È diminuito inoltre il rapporto fra malattie professionali denunciate e malattie professionali riconosciute dall'Inail. In pratica l'Istituto Assicuratore riconosce oggi, nei confronti di alcuni anni fa, un numero inferiore di malattie professionali, a parità di malattie professionali denunciate.

Vi è infine una forte difficoltà da parte dei medici a riconoscere e denunciare le malattie professionali.

Mentre dobbiamo rallegrarci per la riduzione delle malattie professionali dovuta alla riduzione del rischio specifico e continuare nell'opera di prevenzione che il Decreto Legislativo 626 del 94 ha sicuramente favorito, per quanto riguarda il rapporto fra malattie professionali denunciate e malattie professionali riconosciute la soluzione è interna alle logiche dell'Inail.

Ma è sicuramente il punto relativo alla sottodenuncia medica delle malattie professionali che merita alcuni approfondimenti in questa sede. Innanzitutto è una sottodenuncia generalizzata e appannaggio di tutti i medici: di famiglia, dei medici competenti e dei medici specialisti e ospedalieri. A volte è incomprensibile. Mi rifaccio all'intervento del Dr. Pietro Comba con il quale concordo in pieno che citava il caso di un lavoratore che si presenta di fronte ad uno specialista con un versamento pleurico. Non domandarsi se abbia avuto esposizioni all'amianto e quindi non considerare la possibilità di una fase iniziale di un mesotelioma maligno rappresenta una carenza abbastanza grave. Ma quali sono le possibili cause di una forte sottostima e denuncia di malattie professionali da parte dei medici?

A mio parere sono diverse. Esistono sicuramente difficoltà oggettive nella diagnosi delle malattie cosiddette "nuove", "emergenti" o "difficili", per esempio le patologie da stress lavorativo, da movimenti ripetuti e altre disergonomie, da esposizione ad agenti chimici a basse dosi, da etiologia multifattoriale come, ad esempio i tumori. Questi vedono come elemento causale l'interazione fra fattori genetici, dietetici, esposizioni voluttuarie, ambientali e professionali e spesso è difficile stabilire l'importanza o la preponderanza di ciascun fattore. Inoltre, per rimanere sullo stesso esempio, i tumori insorgono dopo lunghi periodi di latenza dalle esposizioni, spesso in soggetti anziani e le caratteristiche clinico-istologiche di molti tumori di origine professionale non differiscono dai tumori che insorgono per cause non professionali preponderanti.

Esistono poi motivazioni derivanti da aspetti di scarsa formazione e di conoscenza del rapporto rischi professionali-tumori e nuove patologie o il non avere a disposizione supporti diagnostici specialistici di secondo livello di Medicina del Lavoro. Io credo che si sia fatto un errore in tutti questi anni a non permettere, insieme alla presenza di una forte rete di prevenzione, il mantenimento di una rete diagnostica specialistica di Medicina del Lavoro ad un certo livello, perché si è visto che, per alcune patologie in particolare, la possibilità di avere un supporto diagnostico può essere una risorsa utile. Veniva prima citato da qualcuno il mobbing; nell'ambito del nostro Ambulatorio di Medicina del Lavoro presso l'Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana abbiamo organizzato un ambulatorio specifico sullo studio degli effetti del disadattamento lavorativo, dove opera un medico del lavoro, uno psichiatra, uno psicologo. È un supporto diagnostico-etiologico che può servire a tutta una serie di soggetti, di medici competenti, di medici di famiglia, di medici specialisti, di patronati, dei Servizi delle ASL che possono usufruire di prestazioni diagnostiche polispecialistiche con un'ottica che mette al centro l'aspetto occupazionale.

Vi sono poi motivazioni meno nobili di sottodenuncia delle malattie professionali che attengono ad una scarsa attenzione al problema in generale e ad altre motivazioni comunque classificabili come "malpractice".

Da questo punto di vista ritengo importante che nella categoria dei medici del lavoro a cui appartengo si cominci a riflettere se tutto quanto è stato fatto in questi ultimi dieci anni è stato fatto bene, ad analizzare le eventuali cause di malpractice e a prospettare modalità di lavoro con standard qualitativi più adeguati.


Vorrei quindi spendere qualche parola in modo particolare sui possibili errori o sulla bassa qualità di effettuazione delle prestazioni professionali dei medici competenti.

Infatti le modalità con le quali è stata svolta l'attività di Medico Competente ha subito in questi ultimi anni alcune critiche in merito, fra l'altro, sia agli aspetti di collaborazione nella valutazione dei rischi sia per la carente diagnosi e denuncia di malattie professionali. A questo proposito vorrei dire che se errori o bassi livelli qualitativi di attività ci sono stati nell'ambito delle figure aziendali che sono istituzionalmente deputate a svolgere attività di tutela della salute dei lavoratori e di prevenzione delle malattie professionali in ambito aziendale, il Medico Competente non è stato sicuramente l'unico protagonista.

Ricordiamo a proposito la figura centrale e determinante del datore di lavoro, la incerta collocazione del servizio prevenzione e protezione e la scarsa incisività del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.

Dovendo affrontare la specificità del Medico Competente si debbono comunque analizzare gli aspetti di critica sollevati, valutare e quindi eventualmente proporre adeguate soluzioni.

Per porsi obiettivi di maggiore qualità resta indispensabile l'analisi dei problemi, dei limiti e degli errori (in generale degli aspetti di malpractice) dei medici competenti. Non si tratta di accusare tutti i colleghi di malpractice o di scarsa professionalità ma di riconoscere se vi sono stati casi nei quali i medici competenti non hanno saputo o voluto interpretare il loro ruolo con professionalità e dignità.

Volendo citare in modo esteso i problemi emersi o descritti come malpractice, anche a seguito dei dibattiti aperti in questi anni sul sito MedicoCompetente.it, si porterebbe via troppo tempo al dibattito. Per affrontare i singoli problemi in dettaglio sarebbe necessaria infatti una specifica trattazione e non vi è sicuramente il tempo nell'ambito di questo forum. Rimane comunque importante cominciare a discutere e ad avviare una riflessione cominciando a descrivere gli aspetti più importanti per avviare la ricerca di soluzioni appropriate. Ma quali sono alcuni esempi di malpractice nell'attività del medico competente che possono condurre, fra l'altro, a una sottodenuncia (e sottorefertazione) delle malattie professionali?

Innanzitutto una scarsa partecipazione alle fasi di valutazione dei rischi e quindi una scarsa conoscenza dei fattori di rischio specifico in ambito aziendale. A volte è il datore di lavoro stesso o le altre figure della prevenzione aziendale o i consulenti che non attivano la collaborazione con il medico competente; a volte è il medico competente stesso che non si rende disponibile.

Vi è a volte, di fondo, un insufficiente livello di rapporto e comunicazione con le altre figure aziendali ed extra-aziendali.

I protocolli sanitari e le indagini sanitarie possono infine non essere conformi ai rischi professionali e questo può comportare una non adeguata valutazione delle condizioni di salute dei lavoratori.


I motivi per i quali alcuni medici competenti in alcune occasioni possono incorrere in questo tipo di malpractice possono essere molteplici.

Devo citare in primis la non sufficiente competenza professionale e/o il mancato aggiornamento. A questo proposito vorrei sottolineare l'importante ruolo della formazione e delle Scuole di Specializzazione in Medicina del Lavoro in particolare.

Vi è a volte invece un atteggiamento di superficialità nell'affrontare le problematiche inerenti il rischio professionale ed il rapporto con le patologie professionali. Questo può succedere anche per motivi economici: la mancanza di un vero tariffario e delle voci inerenti la collaborazione alla valutazione del rischio scoraggia infatti una pratica corretta.

A volte la malpractice deriva da atteggiamenti di vera e propria negligenza. Negligenza che ci può essere in qualsiasi professione medica ma comunque non giustificabile.

Ci può essere poi il fenomeno dei condizionamenti, sia da parte dei lavoratori (raro, anche se possibile nelle Pubbliche Amministrazioni) e da parte dei datori di lavoro, sia nelle aziende pubbliche che in quelle private.


Ma quali possono essere le modalità di interferferenza del datore di lavoro sul Medico Competente?

Intanto il datore di lavoro può non fornire informazioni dettagliate sul ciclo produttivo e sui rischi professionali. Può, inoltre, disincentivare i contatti con i lavoratori e i RLS e non tener conto dei giudizi di idoneità condizionati, quindi dare scarso valore alla sua attività professionale. Può ostentare avversità per le denunce di malattia professionale e chiedere valutazioni discriminatorie negli accertamenti preventivi.

In generale può far capire che il proseguimento della collaborazione del medico competente dipende dal sua gradimento e ciò può determinare anche un'autocondizionamento da parte del medico competente stesso.


Naturalmente un'eventuale malpractice del medico competente potrà comportare danni sia a carico dei lavoratori che delle imprese.

A carico dei lavoratori si possono instaurare danni alla salute (nuove o per aggravamento di patologie preesistenti) per una sottovalutazione delle condizioni a rischio espositivo, per non allontanamento dal rischio o per inadeguato giudizio di idoneità alla mansione specifica.

Danni alla salute (nuove o per aggravamento di patologie) possono anche istaurarsi per una sottovalutazione delle condizioni di salute, per sottodiagnosi delle malattie professionali, delle malattie correlate al lavoro e delle condizioni sanitarie predisponesti alle patologie professionali o alle patologie multifattoriali.

Infine danni alla salute ai lavoratori possono essere causati anche da indagini sanitarie indebite (es. esami invasivi e radiografie inutili).

Danni economici possono essere causati ai lavoratori per perdita dell'indennità Inail e per eventuale modifica della mansione o per licenziamento dovuti alla non diagnosi di patologie professionali e per giudizi di idoneità non corretti.

A carico delle imprese ricordo che in effetti la eventuale malpractice del medico competente può causare danni economici per giudizi di idoneità non congrui e quindi per un uso non corretto delle risorse, danni economici per indagini sanitarie indebite e infine danni economici per aumento o non diminuzione del rischio lavorativo e per malattie professionali e infortuni e relativa vigilanza degli organi di controllo dovuti a scarsa collaborazione in tema di collaborazione alla valutazione del rischio ed alla prevenzione anche da parte del medico competente.


Che cosa si può fare da questo punto di vista in questa situazione che, ripeto, non è generalizzata, ma è sicuramente presente nella categoria?

Detto proprio chiaramente l'obiettivo principale è rendere il lavoro del medico competente più qualificato possibile. Questo è l'obiettivo generale che, secondo me, dobbiamo raggiungere, tramite per esempio il richiamo alla deontologia della professione ed ai riferimenti specifici delle norme etiche della Medicina del Lavoro che sono scritte, sono stampate, non c'è bisogno di inventare nulla, sono patrimonio che già nel passato sono stati conosciuti ed usati; bisogna cominciare a ridiffonderli nella categoria.

Per quanto riguarda le difficoltà oggettive nella diagnosi delle malattie professionali è sicuramente necessario migliorare il background relativo alle conoscenze di base sui rischi specifici. È necessario il finanziamento di ricerche mirate alla conoscenza e all'estensione di particolari fenomeni come il mobbing, le condizioni relative alla movimentazione manuale dei carichi pesanti, alla valutazione dell'uso ripetitivo di attrezzi, agli allergeni professionali, all'esposizione ad agenti chimici a basse dosi, ai tumori professionali.

Per quanto attiene agli aspetti della ricerca e dei supporti scientifici e operativi si debbono creare condizioni ottimali per una collaborazione fra soggetti diversi. Ritengo ottima l'iniziativa dell'accordo nazionale Fimmg Inca ed i progetti territoriali come il Progetto di ricerca attiva delle malattie professionali fra le ASL di Pisa e Empoli, l'Inail e l'Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana.

Ritengo inoltre importante che sia data visibilità e risorse ai centri di secondo livello di diagnosi professionale. In questi ultimi anni si sono fortemente ridotti gli spazi di agibilità degli Ambulatori Ospedalieri Universitari di Medicina del Lavoro. Considerando le difficoltà specifiche per affrontare questo tipo di patologia professionale ritengo invece che tali Centri, inseriti in una rete che comprenda i Dipartimenti per la Prevenzione delle ASL, i medici di Medicina Generale ed i medici competenti, vadano individuati e rafforzati in base alle specifiche competenze ed alle necessità dei vari territori.

Il raggiungimento di adeguati standard qualitativi nelle prestazioni professionali del medico competente è un obiettivo di tutti coloro che sono interessati alla tutela della salute nei luoghi di lavoro, compresi gli stessi medici competenti che intendono svolgere bene il loro compito.

Da questo punto di vista vanno valutate molto positivamente le Linee Guida che le Società Scientifiche e Professionali dei Medici del Lavoro ed in particolare la SIMLII hanno prodotto in questi ultimi tempi.


Entrando nello specifico di alcune categorie di problemi prima citate ritengo che l'indipendenza del medico competente dal datore di lavoro possa rappresentare una indispensabile premessa per un lavoro di qualità.

Si possono trovare molte soluzioni, alcune già sperimentate in ambito europeo. L'importante credo sia dare un ruolo terzo al medico competente e che sia prevista una specie di "giusta causa" per la eventuale risoluzione del contratto professionale. Il medico competente a questo punto potrebbe sentirsi maggiormente libero di svolgere la sua attività in maniera congrua rispetto alle professionalità ed alle sue competenze.

Sarebbe importante che su questo punto giocassero un ruolo i comitati paritetici imprenditori-rappresentanti dei lavoratori.

Certamente l'allargamento della fascia dei medici competenti anche ai medici non specialisti in Medicina del Lavoro e che oggettivamente non hanno le competenze professionali - dal punto di vista dei loro curricula didattici - per poter valutare il rapporto fra una esposizione ed un rischio ed una patologia professionale pone un grande interrogativo sulle possibilità di maggiori garanzie di conoscenze specifiche in tema di rischi e patologie professionali e quindi di qualità delle prestazioni professionali.

Infine volevo dire che la valutazione dell'attività del medico competente deve poter far risaltare l'attività di coloro che operano secondo le leggi, le linee guida e le indicazioni scientifiche della comunità internazionale nei confronti di coloro i quali attuano solo un visitificio solo formalmente a norma. Da questo punto di vista notiamo un forte ritardo da parte degli organi di vigilanza che di solito si limitano o privilegiano le verifiche burocratiche sull'effettuazione della sorveglianza sanitaria senza reali interventi sul merito di tutti gli aspetti relativi al ruolo del medico competente aziendale. Questo penalizza chi cerca di svolgere la sua attività in modo consono al ruolo e premia chi cura principalmente o esclusivamente il minimo rispetto formale della sorveglianza sanitaria.

A questo proposito ritengo indispensabile che le associazioni professionali e scientifiche propongano un tariffario minimo (comprendente gli aspetti di collaborazione alla valutazione e contenimento del rischio) vincolante per le aziende e per i medici competenti, comprendente anche tutte le funzioni, attività e compiti previsti dalle norme per il medico competente e non strettamente legati solo alla visita medica. La concorrenza sfrenata fra i medici competenti, basata spesso sulla riduzione delle tariffe professionali, senza adeguata verifica della qualità delle prestazioni, ha condotto di sovente alla fornitura di prestazioni professionali scadenti sul piano dei contenuti e delle modalità di partecipazione del medico competente alle varie fasi dell'attività preventiva e diagnostica in azienda.

  • Prof. Alfonso Cristaudo, Medico del Lavoro - Direttore U.O. Medicina Preventiva del Lavoro - Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana

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