Sulla Gazzetta ufficiale n. 134 del 10-6-2004 è stato pubblicato il Decreto 27 Aprile 2004 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali "Elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la denuncia, ai sensi e per gli effetti dell'art. 139 del testo unico, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, e successive modificazioni e integrazioni".
Questo elenco sostituisce il precedente, approvato con decreto ministeriale più di 30 anni addietro, il 18 aprile del 1973, ed è stato predisposto in conformità al disposto dell'art. 10 del D.Lvo 38/2000 che prevedeva appunto la costituzione di una commissione tecnico scientifica finalizzata alla elaborazione e revisione periodica dell'elenco della malattie professionali e delle tabelle di cui agli articoli 3 e 211 del citato Testo Unico 1124/65.
Prima di esaminare nel dettaglio il nuovo decreto e gli elenchi allegati vale la pena ricordare gli articoli di legge citati.
L'art. 139 del Decreto 30 giugno 1965 n. 1124 (1) così dispone:
È obbligatoria per ogni medico, che ne riconosca l'esistenza, la denuncia delle malattie professionali, che saranno indicate in un elenco da approvarsi con decreto del Ministro per il Lavoro e la Previdenza Sociale di concerto con quello per la Sanità, sentito il Consiglio Superiore di Sanità.
La denuncia deve essere fatta all'Ispettorato del lavoro competente per territorio [in seguito alla emanazione della Legge 833/78 ai Servizi di Prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro delle A.S.L - ndr], il quale ne trasmette copia all'Ufficio del medico provinciale.
I contravventori alle disposizioni dei commi precedenti sono puniti con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda da lire cinquecentomila a lire due milioni [1 - pena così modificata dall'art. 26 punto 46 del D.Lgs 758/94].
Se la contravvenzione è stata commessa dal medico di fabbrica previsto dall'art. 33 del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, contenente norme generali per l'igiene del lavoro [ora "Medico Competente" ex art. 2 c. 1 lett. d) del D.Lgs 626/94], la pena è dell'arresto da due a quattro mesi o dell'ammenda da lire un milione a lire cinque milioni [1 - pena così modificata dall'art. 26 punto 46 del D.Lgs 758/94].
L'art. 10 del D.Lgs. 38/2000 (2) recita:
Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, da emanarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, è costituita una Commissione scientifica per l'elaborazione e la revisione periodica dell'elenco delle malattie di cui all'articolo 139 e delle tabelle di cui agli articoli 3 e 211 del testo unico, composta da non più di quindici componenti in rappresentanza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, del Ministero della sanità, del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, dell'Istituto superiore della sanità, del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), dell'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (ISPESL), dell'Istituto Italiano di Medicina Sociale, dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), dell'INAIL, dell'Istituto di previdenza per il settore marittimo (IPSEMA), nonché delle Aziende sanitarie locali (ASL) su designazione dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. Con il medesimo decreto vengono stabilite la composizione e le norme di funzionamento della Commissione stessa.
Per l'espletamento della sua attività la Commissione si può avvalere della collaborazione di istituti ed enti di ricerca.
Alla modifica e all'integrazione delle tabelle di cui agli articoli 3 e 211 del testo unico, si fa luogo, su proposta della Commissione di cui al comma 1, con decreto del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, di concerto con il Ministro della Sanità, sentite le organizzazioni sindacali nazionali di categoria maggiormente rappresentative.
Fermo restando che sono considerate malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle di cui al comma 3 delle quali il lavoratore dimostri l'origine professionale, l'elenco delle malattie di cui all'articolo 139 del Testo Unico conterrà anche liste di malattie di probabile e di possibile origine lavorativa, da tenere sotto osservazione ai fini della revisione delle tabelle delle malattie professionali di cui agli articoli 3 e 211 del Testo Unico. Gli aggiornamenti dell'elenco sono effettuati con cadenza annuale con decreto del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale su proposta della Commissione di cui al comma 1. La trasmissione della copia della denuncia di cui all'articolo 139, comma 2, del Testo Unico e successive modificazioni e integrazioni, è effettuata, oltre che alla Azienda Sanitaria Locale, anche alla sede dell'istituto assicuratore competente per territorio.
Per completezza si ricorda che comunque rimane tuttora vigente il DPR 336/94 (3), indicante le tabelle delle malattie professionali nell'industria e nell'agricoltura, che a suo tempo ha sostituito gli allegati n. 4 e n. 5 del Testo Unico n. 1124 nella sua originale stesura.
Il decreto preso in esame consta di 2 articoli e di un lungo "allegato" (ben 28 pagine della Gazzetta Ufficiale) recante l'indicazione delle liste delle malattie da denunciare.
Il precedente decreto interministeriale del 1973 constava di un breve elenco contenente in totale 61 malattie, suddivise in: Malattie provocate da agenti chimici (39 in tutto), Malattie della pelle causate da sostanze e agenti non compresi sotto altre voci (2 tipologie: cancri cutanei, altre affezioni cutanee), Malattie provocate da agenti diversi (2 tipologie), Malattie provocate dalla inalazione di sostanze e agenti non compresi sotto altre voci (= pneumoconiosi e altre affezioni broncopolmonari, 7 categorie), Malattie infettive e parassitarie (4 in totale), Malattie professionali dovute a carenza (scorbuto !) e infine Malattie professionali provocate da agenti fisici (8 tipologie in tutto, compresi il nistagmo dei minatori e i crampi professionali).
Alcune patologie ormai "storiche" per il nostro paese non sono più richiamate nel nuovo elenco, che presenta peraltro un impianto piuttosto differente da quello precedente. Nell'attuale decreto sono infatti comprese tre liste:
In ciascuna lista, a fronte dell'agente o della lavorazione interessata, sono puntualmente elencate le malattie per le quali è obbligatoria la denuncia. Le malattie delle prime due liste sono inoltre identificate da un codice alfabetico e numerico che contiene: il numero della lista (I o II), il numero del gruppo della malattia (da 1 a 7), il numero progressivo dell'agente e il codice internazionale della malattia stessa (ICD 10). Ad esempio: la nefropatia saturnina è identificata dal seguente codice: I.1.10 N14.3 = cioè lista I: malattie la cui origine lavorativa è di elevata probabilità; gruppo 1: malattie da agenti chimici; voce al punto 10: Piombo, leghe e composti; codice ICD-10 generico: nefropatie. Il decreto prescrive che tale codice deve essere riportato nella denuncia.
In ogni lista le malattie sono poi catalogate per grandi aggregazioni (in tutto 7), e cioè:
Ogni malattia è direttamente correlata con l'agente cui il lavoratore è stato esposto o, in alcuni casi, con la lavorazione svolta (ad es.: "produzione di mobili e scaffalature"; "attività del verniciatore" etc.).
In totale nel nuovo decreto sono elencate ben 230 malattie (di cui 82 nella lista I, 32 nella lista II e 16 nella lista III), che vengono richiamate di seguito.
Nella lista I [ Malattie la cui origine lavorativa è di elevata probabilità ] si riscontrano:
La prima lista si conclude con questo gruppo. A sua volta, la Lista II [Malattie la cui origine lavorativa è di limitata probabilità] comprende 4 grandi gruppi dei 7 complessivi precedentemente citati.
Nella Lista III [Malattie la cui origine lavorativa è possibile] si riscontrano solo 3 grandi gruppi:
Fin qui il mero esame delle liste del nuovo decreto.
Facendo un raffronto con la tabella delle malattie professionali attualmente in vigore (DPR 336/94) si può notare una fondamentale differenza: nella tabella non sono indicate puntualmente le malattie che ogni agente (o lavorazione) può determinare, cosa che invece è riportata con precisione nelle tre liste dell'elenco di cui al decreto preso in esame. Ad esempio, nella tabella vengono citate genericamente (punto 4) le "Malattie causate da: a) Arsenico, leghe e composti inorganici; b) composti organici dell'Arsenico, con conseguenze dirette" nelle "Lavorazioni che espongono all'azione dell'Arsenico, leghe e composti" mentre nel decreto vengono elencate dettagliatamente, al punto 2 del Gruppo 1 della Lista I (Malattie da agenti chimici) quali patologie di origine lavorativa di elevata probabilità determinate dall'Arsenico, leghe e composti: Congiuntivite, Rinite, Perforazione del setto nasale, Epatopatia cronica, Cheratosi palmare e plantare, Polineuropatia periferica, Tumori del polmone, Tumori del fegato, Tumori della cute.
Si potrebbe pensare che la certosina descrizione dei quadri patologici derivanti dalla esposizione ad agenti chimici, fisici etc. sia in qualche modo limitativa di eventuali patologie emergenti (anche di individuazione futura), ma bisogna riconoscere che probabilmente invece le liste del decreto si mostrano ridondanti ed eccedono nel senso opposto, enumerando da una parte segni o sintomi anche iniziali e reversibili di intossicazione cronica da tossici industriali o - al contrario - ormai del tutto improbabili ai giorni nostri (ad esempio è citato l'orletto gengivale di Burton nel caso di esposizione a Piombo, leghe e composti), dall'altra quadri patologici piuttosto complessi e di difficile o quantomeno dubbia correlazione con l'attività lavorativa svolta (ad esempio artrite reumatoide o tumori solidi), sia pure elencati nelle lista II o nella III. In verità alcune indicazioni appaiono bizzarre, davvero di ardua comprensione (ad esempio nel caso degli "effetti extrauditivi del rumore" o dei "tumori gastroenterici da Asbesto" o dei "tumori solidi derivanti da esposizione a sostanze del gruppo 2A Iarc di cui non sono stati ancora definiti nell'uomo gli organi bersaglio").
In ogni caso va rimarcato che la distinzione di probabilità espressa nelle 3 diverse liste ("elevata probabilità", "limitata probabilità" e "possibilità") non ha alcuna relazione con la obbligatorietà della segnalazione (= denuncia) delle patologie elencate, ancorché per molte non vi siano ancora nella letteratura scientifica evidenze sufficienti di riconducibilità certa a determinate esposizioni lavorative, soprattutto per quanto riguarda le malattie della lista III.
In verità il decreto in esame - e sarebbe anche logico supporlo - dovrebbe costituire l'anticipazione della revisione della tabella delle MP in agricoltura e nell'industria di cui al citato DPR 336/94, anche se la nota sentenza della Corte costituzionale 179 del 10 Febbraio 1988 (4) ha già fatto giustizia del concetto di lista "chiusa" introducendo la possibilità di riconoscimento anche alle patologie comunque provocate dall'attività lavorativa e dall'ambiente di lavoro, posizione questa peraltro ampiamente condivisa dalla totalità dell'ambiente scientifico e accademico del settore.
La concreta applicazione della norma può inoltre suscitare qualche perplessità.
Sino a oggi, infatti, in linea generale i Medici del Lavoro Competenti e, comunque, anche altri professionisti (specialisti di altre discipline, medici di base etc.), venuti a conoscenza di patologie di origine professionale con buona e ragionevole certezza o fondato sospetto, hanno denunciato contestualmente all'INAIL e alla ASL la malattia riscontrata. In molti casi, negli ultimi 10-15 anni, sono state denunciate anche quelle malattie che potevano essere inquadrate quale patologie lavoro-correlate (work related diseases), rispettando sempre la concreta prevalenza concausale dell'esposizione o della attività lavorativa sino ad allora svolta dal paziente-lavoratore.
Dall'emanazione del decreto in esame scaturisce, in atto, l'obbligo per tutti i medici [e in particolare per i Medici Competenti, da considerare ex "medici di fabbrica", per i quali l'inadempienza è penalmente sanzionata] di segnalare al Servizio di prevenzione della ASL territorialmente competente e all'ente assicuratore una serie di sindromi e patologie di comune riscontro nella popolazione generale (basti pensare, tanto per fare alcuni esempi, alle comuni sindromi da sovraccarico bio-meccanico degli arti - quale la sindrome del tunnel carpale - o alle discopatie lombari, o ancora alle epatiti HCV e/o HBV correlate) che, come noto dalla letteratura, solo in casi ben individuati possono essere considerate "patologie correlate al lavoro" aventi quale concausa altri fattori non direttamente riconducibili alla attività lavorativa (abitudini voluttuarie quale fumo di sigaretta, hobbies, sport praticati in maniera incongrua etc.).
Qui entra davvero la "competenza" del medico che effettua la denuncia, che deve discriminare con grande attenzione tutte le cause che hanno potuto condurre a una determinata patologia, soprattutto in relazione ai fattori di confondimento (primo tra tutti il fumo di sigaretta !) che giocano un ruolo essenziale nel determinismo della patologia in questione talora permettendo di escludere a priori l'origine professionale, anche concausale (concausa non efficiente). Si può certamente sostenere che il Medico del Lavoro Competente non è tenuto a denunciare le patologie di chiara natura extra-lavorativa ... però ... che dire se la patologia da cui il lavoratore è affetto viene poi denunciata da altro sanitario, magari il curante o altro specialista meno esperto in materia di eziologia professionale o solo più cauto e zelante, o motivato da altri interessi, e lo stesso lavoratore - successivamente - cita il Medico Competente per omessa denuncia (a parte il danno per l'immagine professionale che potrebbe indirettamente derivarne)?
È inoltre da chiedersi cosa potrà accadere nei servizi di prevenzione delle ASL. Una rigorosa applicazione del decreto porterebbe letteralmente a inondare tali uffici di una incredibile quantità di denunce, le più svariate e bizzarre, con un notevole aggravio delle incombenze di reale prevenzione nei luoghi di lavoro. Come si potrà trascurare una denuncia per "mobbing" o per "patologia da fumo passivo" (!?), quanto tempo e quanto impegno professionale dovranno essere profusi e messi in campo per verificare la reale valenza di queste denuncie effettuata, tralasciando o posponendo, ad esempio, altre situazioni forse più consone all'attività propria dei servizi a livello delle quali una opportuna opera di formazione e prevenzione può senz'altro condurre a risultati positivi e ben misurabili nel tempo (vedi, ad esempio, le denuncie di ipoacusia o di intossicazioni croniche da sostanze chimiche, etc.)?
Un risultato che appare certo è l'aumento del contenzioso tra ente assicuratore e lavoratore e tra lavoratori e datori di lavoro in merito al riconoscimento dei danni alla salute per patologie di presunta natura professionale.
Analoghe considerazioni vanno fatte per l'ente assicuratore - Inail - cui ugualmente giungerà la valanga di denunce di "malattie professionali di limitata possibilità" o "malattie professionali possibili" rispetto alle quali - sicuramente - andrà espletata l'indagine amministrativa, conoscitiva e (ovviamente) sanitaria, trattandole tutte allo stesso modo a meno di non costituire una sorta di scaletta con malattie professionali di serie A, serie B e in promozione, da trattare in modo differenziato a seconda dei casi. Lumi giungeranno probabilmente da circolari emanate in merito, come in passato, ad esempio, è stato fatto con il "mobbing" (5), anche se qui il discorso ci porterebbe lontano.
Infine qualche considerazione anche sulla opportunità e sulla necessità di eseguire l'attività di sorveglianza sanitaria nei casi indicati dalle liste del decreto.
Appare ragionevole supporre che l'evidenza, adesso pienamente riconosciuta a livello legislativo, che una attività lavorativa possa condurre a una determinata malattia - sia pure "limitatamente" o "possibilmente" - dovrebbe fatalmente condurre alla necessità di prevenire la patologia stessa.
Al riguardo l'attività di sorveglianza sanitaria è stata definita nelle linee guida SIMLII (6) come misura generale di tutela della salute dei lavoratori per i quali sia evidenziato un rischio professionale.
La vigente normativa (art. 4 del D.Lgs. 626/94) obbliga il datore di lavoro, in relazione alla natura dell'attività dell'azienda ovvero dell'unità produttiva, a valutare tutti i rischi per la sicurezza e per la salute dei lavoratori esprimendo anche un parere nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro. Lo svolgimento dell'attività di sorveglianza sanitaria, pertanto, deve derivare dalla valutazione del rischio riguardante il complesso della attività produttive in senso lato, ivi compresi gli agenti chimici, i fattori fisici, le lavorazioni etc.
Tuttavia l'art. 16 del D.Lgs. 626/94 ci ricorda che la sorveglianza sanitaria viene esplicata solo nei casi previsti dalla normativa vigente, notazione successivamente meglio chiarita dalla circolare del Ministero del Lavoro n. 102 del 7 Agosto 1995 (7) ( ... punto 5. Medico competente. In relazione alla definizione di tale figura professionale, nell'articolo 2, comma 1, lettera d), giova precisare che non si è inteso estendere - in una sede del resto solo definitoria e quindi impropria - l'area d'intervento del Medico Competente, generalizzandola a tutti i settori di cui all'articolo 1.
L'area di intervento del Medico Competente è quindi quella definita nell'articolo 16, comma 1, ove si precisa che la sorveglianza sanitaria, effettuata dal Medico Competente ai sensi del successivo comma 2, è richiesta solo nei casi previsti dalla normativa vigente, cioè quando la legislazione precedente (o anche quella di emanazione) faccia espressa previsione dell'intervento del Medico Competente, come ad esempio nel caso della tabella allegata all'articolo 33 del Dpr n. 303/56, del decreto legislativo n. 277/91, ovvero dei titoli V, VI, VII e VIII del decreto legislativo 626/94 di che trattasi.)
Rifacendosi alla normativa in atto ancora vigente, l'art. 34 del DPR 303/56 (8) così recita:
I lavoratori occupati nella stessa azienda in lavorazioni diverse da quelle indicate nella tabella, quando esse siano eseguite nello stesso ambiente di lavoro ed espongano, a giudizio dell'Ispettorato del lavoro [adesso Servizio di Prevenzione Igiene e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro delle Unità sanitarie locali: ex art. 21 della Legge 23 dicembre 1978, n. 833], a rischi della medesima natura, devono essere sottoposti alle visite mediche previste dall'articolo precedente.
Le visite mediche sono altresì obbligatorie per i lavoratori occupati in lavorazioni diverse da quelle previste nella tabella, ma che espongono a rischi della medesima natura, quando le lavorazioni stesse siano soggette all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali ai sensi della legge 15 novembre 1952, n. 1967 e, per le condizioni in cui si svolgono, risultino, a giudizio dell'Ispettorato del lavoro, particolarmente pregiudizievoli alla salute dei lavoratori che vi sono addetti.
Nell'articolo appare chiara l'intenzione del legislatore, tesa proprio a salvaguardare la salute di tutti i lavoratori, compresi anche coloro i quali non risultavano "direttamente" esposti a un dato fattore di rischio professionale (agente chimico, fisico etc.) ma - lavorando nello stesso ambiente - condividevano con gli altri addetti tutte le condizioni nocive derivanti della esposizione ambientale al rischio stesso. Tale condizione è stata definita come "rischio ambientale" dallo stesso Ente assicuratore ma è ben nota ai Medici del Lavoro che nella individuazione dei gruppi omogenei di lavoratori dello stesso reparto, officina etc. hanno sempre considerato questa come la prima delle tappe per una corretta valutazione dei fattori di rischio e dei pericoli per la salute dei lavoratori stessi, non sempre compiutamente individuati dalla qualifica rivestita.
Qui dovremmo arrestarci, dopo aver eseguito questa prima superficiale lettura degli articoli di legge. Tuttavia, ricorrendo a uno sforzo interpretativo e ragionando con criterio analogico, non si può non evidenziare che il presente decreto di modifica delle malattie "professionali" soggette a denuncia - stante anche il pronunciamento della Corte Costituzionale precedentemente citato - indirettamente sortisce l'effetto di modificare la pre-esistente tabella di cui al 336/94, introducendo nuove e più moderne patologie così come al tempo stesso ne elimina altre, ormai praticamente debellate nel nostro paese (come ad esempio lo scorbuto). D'altra parte è arduo dover sostenere la posizione di chi può (anzi, deve) denunciare una malattia di probabile origine lavorativa (ad esempio ernia discale lombare negli autisti) senza aver posto in atto tutti quegli accorgimenti legislativi, procedurali e sanitari necessari per prevenirla. Né, tantomeno, si può far valere l'ipotesi della necessità di una sufficiente base statistico-epidemologica per rendere obbligatoria tale sorveglianza per gli ovvi risvolti di carattere squisitamente etico: quanti lavoratori dovrebbero ammalarsi prima che il legislatore imponga l'obbligo della prevenzione?
Riconosco che l'interpretazione presentata possa ritenersi estrema, quasi "provocatoria", ma se viene esaminata con attenzione dal punto di vista della prevenzione (sia tecnica che sanitaria) probabilmente essa non appare più tanto campata in aria.
A conclusione di quanto sinora detto ritengo quindi che l'introduzione del nuovo decreto ponga una serie di questioni interpretative con importanti rivolti sulla pratica quotidiana del Medico del Lavoro Competente, sia per quanto attiene all'obbligo della denuncia delle patologie indicate "ex novo" sia per la sorveglianza sanitaria e il confronto con altre funzioni presenti in azienda (basti pensare, a mo' di esemplificazione, alle rappresentanze dei lavoratori per la sicurezza in sede di riunione periodica e di revisione dei protocolli sanitari di sorveglianza per i lavoratori esposti). Ulteriori approfondimenti della tematica da parte degli organi ufficiali competenti, di docenti universitari e di altri esperti del settore appaiono quanto mai opportuni per chiarire i punti controversi e assicurare così un comportamento omogeneo e uniforme su tutto il territorio nazionale.
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