Ecco una nuova sentenza di condanna di un Medico Competente, questa volta incentrata proprio sulle conseguenze medico-legali e legali del giudizio di idoneità. Si tratta di una sentenza penale di 1° grado del Tribunale di Nola che contiene alcuni spunti sicuramente problematici per il futuro della professione di medico competente.
Da quanto si riesce a ricostruire a partire dalla lettura del solo testo della sentenza sembra che un lavoratore, assunto in una ditta nel 1970 con la qualifica di perito, veniva nel 1998 trasferito immotivatamente tre volte in differenti stabilimenti, adibito a mansioni estremamente tecniche per le quali non aveva assolutamente la preparazione necessaria, il tutto all'interno di una chiara strategia mobbizzante aziendale.
L'accusa mossa al direttore di stabilimento ed al Medico Competente sono estrapolabili da questo passaggio della sentenza: "secondo l'opinione del lavoratore, sarebbero state queste notevoli difficoltà connesse al lavoro a procurargli uno stato ansioso che si andò aggravando col tempo, tanto che il lavoratore avanzò più volte richiesta all'azienda di essere sottoposto a visita medica specialistica per valutare la compatibilità della malattia psichica con le funzioni lavorative assegnategli. A fronte di un sostanziale disinteresse dell'azienda, ed in particolare del medico a ciò competente; il lavoratore fece anche delle richieste formali in tal senso (a mezzo di lettere raccomandate); fu quindi visitato, una sola volta, dal Medico Competente; il quale lo giudicò idoneo - sotto il profilo psicofisico - alle mansioni assegnategli".
Dunque il lavoratore sostiene di essere stato adibito a mansioni (impiegatizie) non compatibili con la propria professionalità ed il suo stato psichico, di avere sollecitato l'intervento del Medico Competente per verificare questa sua idoneità alla mansione e che questo errato accertamento di idoneità gli abbia provocato danni alla salute, dato che il lavoratore risultava affetto da malattia psichica "grave e prolungata nel tempo", con forme di aggravamento; i certificati medici prodotti datano, ad intervalli regolari di pochi mesi, dall'Aprile '99 fino al febbraio 2003 ed evidenziano una patologia ingravescente: si passa dalla "sindrome depressivo ansiosa a genesi reattiva" alla "psicosindrome marginale a genesi reattiva", al "disturbo di adattamento con conflittualità nell'ambiente di lavoro", allo "scompenso psicoemotivo con spinte deliranti-reattivo a situazione di grave stress socio-ambientale", alla "psicosi delirante", alla "psicosi dissociativa", alla "psicosi-affettiva".
Di fronte alla richiesta di accertamenti da parte del lavoratore, sembra che il Medico Competente abbia dapprima rifiutatola visita affermando che la mansione non prevedeva rischi professionali e che, quindi, non rientrava nell'ambito della propria sorveglianza sanitaria. Tale posizione veniva avvallata dal consulente aziendale per la sicurezza sul lavoro che testimoniava di avere detto "ai Medici Competenti, che ovviamente sono sul luogo e devono effettuare le visite e la sorveglianza sanitaria dei dipendenti, che qualora le attività - come mi era stato detto - del lavoratore non mostrassero l'esposizione a dei rischi normati dalle attuali leggi la sorveglianza sanitaria sarebbe stata più che non necessaria non dovuta perché sappiamo addirittura che una sorveglianza sanitaria disposta per soggetti non esposti a rischi normati è praticamente al di fuori di quelle che sono le norme della legge attuale".
"I medici dell'azienda riferirono al consulente per la sicurezza sul lavoro che il lavoratore aveva presentato varie certificazioni provenienti da sanitari esterni all'azienda, attestanti disturbi della sfera neuropsichica; ma anche in questo caso egli ritenne inutile una visita medica approfondita, sostanzialmente non ritenendo la malattia diagnosticata idonea ad incidere sulle mansioni del lavoratore, meramente impiegatizie; ed in questo senso furono i suoi suggerimenti ai medici aziendali".
Successivamente, probabilmente sotto insistenza dello stesso, il lavoratore "fu quindi visitato dal Medico Competente che lo giudicò idoneo allo svolgimento delle mansioni alle quali era stato adibito".
Successivamente, pochi mesi prima del licenziamento, sembra di capire che sia il lavoratore abbia fatto un ricorso all'organo di vigilanza ex art.17 D.Lgs. 626/94 o comunque una richiesta di ispezione, in quanto in sentenza si legge che "gli ispettori del lavoro (ed in particolare il medico), effettuata la propria valutazione dello stato di salute del lavoratore, sostanzialmente non condivisero le conclusioni cui era pervenuto il medico dell'azienda e prescrissero, alternativamente, di trasferire il lavoratore ad altro incarico onde consentirgli di svolgere una mansione più adeguata al suo stato di salute, oppure di sottoporlo a visita medica specialistica al fine di accertare più compiutamente la patologia lamentata.
Furono assegnati all'azienda, rispettivamente, 15 e 30 giorni come termine per ottemperare alle due indicate prescrizioni; fu altresì concessa, su richiesta dell'azienda motivata dalla temporanea assenza del lavoratore, una proroga dei citati termini. Alla scadenza del termine fu effettuata una verifica presso l'azienda, nel corso della quale si accertava, quanto alla prima prescrizione, che la formazione del lavoratore era stata fatta in modo carente e, quanto alla seconda, che il lavoratore era stato trasferito ad altra mansione (addetto all'ufficio di rifornimento di materiale di produzione), più confacente al suo stato di salute e che era stata predisposta un'attività di formazione in relazione a tale nuova funzione (in data 24.1.2002). Dopo l'assegnazione alle nuove mansioni il lavoratore faceva un'ulteriore richiesta di ispezione deducendo un aggravamento del suo stato di salute che asseriva essere stato segnalato all'azienda, senza esito.
Seguì un ulteriore accertamento nel corso del quale si verificò che il medico dell'azienda aveva confermato la propria valutazione senza effettuare alcuna richiesta di visita specialistica".
L'accusa mossa al Medico Competente è così riassumibile: il sanitario dichiarò "il lavoratore idoneo allo svolgimento delle mansioni assegnategli, senza ritenere necessario un supplemento di diagnosi attraverso medici specializzati in relazione a quella patologia".
"Come si vede, si tratta di una malattia niente affatto trascurabile, che avrebbe richiesto un serio approfondimento diagnostico sia quanto alla genesi che quanto alla possibilità di cura. Viceversa, nel caso di specie, pur su richiesta specifica del lavoratore, non vi è stata alcuna attività in tal senso, e il lavoratore è stato dichiarato idoneo, sotto il profilo psicofisico, allo svolgimento delle proprie mansioni". "Il Medico Competente, a fronte delle molteplici certificazioni provenienti da strutture sanitarie pubbliche, che attestavano una patologia psichiatrica grave a carico del lavoratore, avrebbe dovuto prescrivere una visita specialistica, non essendo emerso che egli sia in grado - per carenza di competenza specifica - di affrontare adeguatamente la problematica psicopatologica (dalla documentazione prodotta dalla parte civile si evince infatti che, alla data del 3.7.2003, egli risultava in possesso della specializzazione Endocrinologia e di quella in Medicina dei Lavoratori e Psicotecnica). Non si esclude che la visita specialistica avrebbe potuto evidenziare la compatibilità dello stato patologico con lo svolgimento di attività lavorativa, probabilmente con il supporto di idonee indicazioni terapeutiche; comunque, anche in ipotesi contraria, ovvero nel caso fosse stata ravvisata una inabilità temporanea o permanente al lavoro, la questione avrebbe dovuto essere affrontata traendone le conseguenze del caso, tenendo conto altresì delle necessità dell'azienda.
Il dato di fatto acquisito al processo, unico del quale si deve in questa sede tenere conto, è una ingiustificata condotta omissiva del medico dello stabilimento, integrante gli estremi del reato contestato, evidenziandosi come la richiesta del lavoratore fosse chiaramente correlata al rischio professionale, ove si consideri - come in precedenza specificato - che lo stato ansioso del lavoratore era determinato proprio da una presunta sua inadeguatezza rispetto alle mansioni assegnategli con possibile danno a se stesso, agli altri ed alle strutture aziendali (inadeguatezza, come visto, giudicata fondata anche dagli ispettori del lavoro). Con riferimento all'elemento soggettivo, si evidenzia che la stessa modalità di svolgimento dei fatti, soprattutto ove si tenga conto del prolungato periodo di tempo che vide i vertici dell'azienda impegnati nella soluzione del problema sollevato dal lavoratore (tutto fondato su una presunta inabilità al lavoro assegnatogli strettamente connessa al suo stato psichico), sono indicative della colpa mostrata dall'imputato nel non aver adempiuto ai propri obblighi; l'assenza di una specializzazione nella materia psichiatrica, unitamente alla delicatezza della patologia, rappresentano poi dati che inequivocabilmente indurrebbero chiunque - dunque, non soltanto un medico - a richiedere gli approfondimenti diagnostici necessari".
Va premesso come si tratti di una sentenza di primo grado, quindi appellabile, e di conseguente limitato peso giurisprudenziale: tra l'altro, non abbiamo notizie se sia stato avanzato ricorso in appello. Ciònondimeno questa sentenza contiene alcuni elementi abbastanza innovativi e che possono fornire spunti utili per la pratica del Medico Competente.
Il primo spunto riguarda una problematica che tutti i Medici Competenti hanno dovuto affrontare almeno una volta nella loro pratica: la richiesta da parte di un lavoratore di accertamenti sanitari relativi a rischi non tabellati né relativi a malattie professionali in senso classico. È noto come alcuni organi di vigilanza ritengano tali accertamenti illegittimi in quanto violatori dell'articolo 5 dello Statuto dei lavoratori, convinzione peraltro contraria a quanto precisato oltre venti anni fa dalla Corte di Cassazione (Cass. pen., 30/05/1980). Con questa sentenza del Tribunale di Nola, una delle prime sul tema specifico, la risposta della magistratura appare inequivocabile: l'intervento del Medico Competente è legittimo (anzi obbligatorio) anche nel caso di rischi per i quali il legislatore non prevede obbligo di sorveglianza sanitaria. La nota teoria c.d. della "deroga", cioè la teoria che sostiene che i rischi tabellati rappresentino limitate deroghe al divieto generale di visite sui lavoratori subordinarti posto dell'art.5 S.L. e che quindi sono vietate le visite per rischi non tabellati, trova pertanto ora in questa sentenza una netta ed inequivocabile smentita. D'altronde la bozza del nuovo testo unico prevede all'art.24 comma 1 l'obbligo per il Medico Competente di collaborare alla predisposizione della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità non solo fisica ma "psico-fisica" dei lavoratori, tutela che va ben al di là dei rischi tabellati.
Il secondo spunto riguarda l'ambito di legittimità di azione del Medico Competente: in questo caso un impiegato laureato in legge viene adibito a mansioni a suo dire "troppo tecniche e difficili" per le proprie competenze e questa ingiustificata attribuzione di compiti non confacenti alle proprie attitudini, professionalità e condizioni psichiche gli crea uno stress tale da determinare una malattia. In questa situazione, a ben vedere, dunque, non è il rischio professionale proprio della mansione a determinare la malattia (come potrebbe essere ad esempio turni eccessivi, ritmi elevati, troppo lavoro, etc.) ma il fatto che il lavoratore venga adibito ad un lavoro che egli non è "all'altezza" di fare o comunque non compatibile con la sua specifica professionalità. Il Medico Competente viene condannato perché giudica il lavoratore "idoneo" a quella mansione con un ragionamento tipico dei Medici del Lavoro: quella mansione non presenta rischi di Medicina del Lavoro per la salute del lavoratore e quindi il lavoratore va ritenuto idoneo.
Il caso che viene sottoposto al collega, dunque, rappresenta una grossa novità concettuale: nel momento in cui il Medico Competente avesse certificato la non idoneità del lavoratore sarebbe stato necessariamente chiamato a operare una valutazione della adeguatezza delle capacità professionali del lavoratore (il giudice utilizza esplicitamente la parola "inadeguatezza" e non "inidoneità"). Questo giudizio di idoneità che viene richiesta al Medico Competente, dunque, travalica chiaramente i canonici limiti di legittimità del giudizio di idoneità venendo chiesto al medico di valutare la compatibilità non tra salute e rischi, ma tra preparazione professionale del lavoratore e mansione assegnata: questa rappresenta una novità concettuale enorme, inserendo quindi all'interno del giudizio di idoneità valutazioni sulla "capacità" del lavoratore e dilatando il compito del Medico Competente in modo perlomeno problematico.
A giudizio di chi scrive, tra l'altro, la valutazione di legittimità della compatibilità tra mansione e profilo professionale rappresenta un compito esclusivo e tipico del giudice.
Il terzo spunto riguarda invece una classica responsabilità professionale ed il valore penale di un errato giudizio di idoneità. Non si può non rilevare fin da subito come il giudice in questione si muova con una logica medico legale piuttosto discutibile. Il giudice non ritiene necessario nominare un CTU medico: evidentemente il fatto che il lavoratore abbia esibito certificazioni pubbliche è per il magistrato sufficiente per non approfondire la natura delle malattie, ma anche un medico non psichiatra non può non notare come le patologie lamentate appaiano tra loro incoerenti ("sindrome depressivo ansiosa a genesi reattiva", "psicosindrome marginale a genesi reattiva", "disturbo di adattamento con conflittualità nell'ambiente di lavoro", "scompenso psicoemotivo con spinte deliranti-reattivo a situazione di grave stress socio-ambientale", "psicosi delirante", "psicosi dissociativa", "psicosi ... affettiva"), contemplando queste certificazioni quadri sia psicotici che nevrotici, cioè malattie di natura e genesi completamente diverse tra loro. Curiosamente, quindi, se il giudice censura esplicitamente il Medico Competente di non essersi avvalso della collaborazione di uno specialista psichiatra, finisce poi per compiere lo stesso errore non nominando un CTU con competenze specialistiche.
Ma la lacuna più evidente è la completa mancanza di ogni accertamento sul nesso causale tra malattia e lavoro, dando il giudice per scontato che tali patologie siano dovute al lavoro. La cosa appare ancora più incomprensibile quando si tiene conto di come sembri che il lavoratore non abbia mai lavorato in quelle mansioni, essendosi il lavoratore fin da subito rifiutato di lavorare. Nel testo, infatti, si legge
non presenta poi alcun rilievo la circostanza che il lavoratore di fatto non abbia mai svolto le mansioni assegnategli, atteso che la formazione professionale da parte del datore di lavoro ha necessariamente carattere preventivo rispetto all'assunzione della funzione per l'ovvia ragione che si tratta di attività finalizzata ad un corretto espletamento del lavoro, con prevenzione dei rischi ad esso connessi. Nel caso di specie, dunque, potrebbe dirsi che l'atteggiamento del lavoratore sia stato addirittura responsabile, essendosi egli astenuto dal porre in essere un'attività che, mediante una scorretta esecuzione, avrebbe potuto arrecare danno al lavoratore e a terzi nonché all'azienda stessa.
Il nocciolo della colpevolezza del Medico Competente viene individuato nell'errore di valutazione della compatibilità del lavoratore con la mansione assegnata; come insegnano le sezioni unite della Corte di Cassazione (11 settembre 2002 n.30328) in materia di responsabilità del sanitario, però,
il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica - universale o statistica -, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell'evento hic et nunc, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.
Ora, seguendo il ragionamento controfattuale indicato dalla Cassazione, è evidente come il giudice avrebbe potuto individuare legittimamente la responsabilità del medico accertando che, qualora il lavoratore fosse stato dichiarato inidoneo alla mansione e quindi non adibito a quella mansione, il danno alla salute "non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva": ma, come visto sopra, nonostante il lavoratore non abbia cominciato mai a lavorare in quelle mansioni la malattia si è manifestata lo stesso. Se quindi, sempre seguendo alla lettera le indicazioni delle sezioni unite della Corte di Cassazione, per provare la colpa del medico è necessario sempre dimostrare che "la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica", è evidente come, a logica, l'omissione del medico sia risultata ininfluente sulla genesi delle patologie lamentate.
Per finire, altre due annotazioni:
Ultima curiosità, la sanzione inflitta al Medico Competente è stata di 500 Euro (p.b. = € 750,00; ridotta ex art. 62 bis c.p.).
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