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Visite preventive o preassuntive? Il primo chiarimento della Corte di Cassazione - Aprile 2006

Visite preventive o preassuntive? Il primo chiarimento della Corte di Cassazione

Per chi opera nel campo della medicina del lavoro e della sicurezza sul lavoro, per anni è rimasto irrisolto il quesito se fosse legittimo sottoporre un lavoratore a visita medica con il medico competente prima dell'assunzione o se tale visita, per essere legittima, dovesse necessariamente presupporre una preventiva assunzione del lavoratore.

La polemica ha raggiunto probabilmente il suo apice alla pubblicazione dalla sentenza n.3389/98 Daubrèe della III sezione penale della Corte di Cassazione (vedi articolo del mese di febbraio 2003 su questo sito), sentenza che probabilmente meriterebbe di passare alla storia come una delle più mistificate nel repertorio della giurisprudenza: nel merito, infatti, la sentenza non affrontò il problema delle visite mediche preassuntive (gli imputati non furono neppure incriminati per avere fatto eseguire visite preassuntive), ma, a causa della pubblicazione di una curiosa massima «non ufficiale» che attribuì alla sentenza significati completamente avulsi dal merito e basati su illegittimi - in materia penale - ragionamenti per analogia, molti commentatori conclusero, senza dubbio troppo frettolosamente, che la visite mediche ex art.17 D.Lgs 626/94 dovessero necessariamente fare seguito all'assunzione del lavoratore.

Facciata del Palazzo di Giustizia a Roma

Finalmente, invece, con la sentenza 26238 del 2.12.2005, la Corte di Cassazione, nella sua sezione civile del lavoro, viene investita esplicitamente del quesito circa la legittimità di sottoporre i lavoratori a visite mediche con il medico competente prima dell'assunzione.

La sentenza in esame si rivela particolarmente interessante in quanto nasce da un contenzioso che vede coinvolto un invalido civile in regime di collocamento obbligatorio (L.68/99): i giudici della Suprema Corte hanno così l'occasione di fornire anche alcune indicazioni sull'interpretazione dei rapporti tra il medico del lavoro e la legislazione speciale sugli invalidi civili.

I fatti

I fatti risalgono al dicembre 1996, dato importante in quanto era appena entrato concretamente in applicazione il D.Lgs 626/94, mentre non era stata ancora emanata la legge 68/99 sul diritto al lavoro dei disabili.

Avviato al lavoro dall'Ufficio provinciale del Lavoro quale invalido civile, il lavoratore veniva invitato dall'azienda a sottoporsi a visita medica, senza ulteriori specificazioni, con il medico competente. Il lavoratore rifiutava di sottoporsi a tale visita dichiarandosi disponibile, invece, a presentarsi alla Commissione medica USL prevista dalla legge 482 del 1968.

Tale rifiuto portava alla mancata assunzione dell'invalido con conseguente ricorso del lavoratore alla magistratura: a testimonianza della incertezza in materia, il Pretore del lavoro accoglieva il ricorso del lavoratore condannando la ditta mentre, nel 2002, il Tribunale, in sede di ricorso, ribaltava il giudizio dando ragione alla società.

Il ricorso per Cassazione

Il lavoratore si rivolgeva allora alla Suprema corte. Come riassunto dagli stessi giudici della Corte di Cassazione i motivi sono sintetizzabili in tre punti:

  1. L'art.16 del D.Lgs 626/94 consente al datore di lavoro di disporre solo un accertamento specifico (sull'idoneità del lavoratore a svolgere una specifica mansione); l'accertamento generico (sulla generica idoneità del lavoratore) rientra nell'esclusiva competenza della Commissione nominata presso l'U.L.P.M.O. o d'una struttura pubblica.
  2. L'art.16 del D.Lgs 626/94 consente solo una visita preventiva e non una visita preassuntiva (anteriore alla costituzione del rapporto di lavoro).
  3. Il lavoratore ha comunque diritto di conoscere, prima della visita stessa, la mansione affidatagli.

Venivano, in particolare ipotizzati errata applicazione dell'art.5 della legge 300/70, art.20 della legge 482/68 e degli articoli 16 e 17 del D.Lgs 626/94.

Nella motivazione i giudici della Suprema Corte non ci forniscono particolari riflessioni dottrinali ma forniscono, finalmente, almeno, delle indicazioni perentorie e chiare.

I giudici cominciano chiarendo come l'art.16 del D.Lgs 626/94 prevede una maggiore apertura a favore del datore consentendogli di effettuare un accertamento anche a mezzo del medico aziendale [...] anche di natura specifica, sull'idoneità del lavoratore ad una mansione "specifica".

Proseguono poi ricordando come "anche la giurisprudenza aveva riconosciuto la possibilità d'un controllo anteriore all'assunzione (Cass. 22.3.1986 n.2039; Cass. 4.5.84 n.2729; Cass. 4.10.85 n.4807 aveva ritenuto ammissibile in controllo datoriale preventivo anche al fine dell'assegnazione del lavoratore a mansioni meglio compatibili con le sue condizioni fisiche e di salute)".

Una affermazione di grande importanza si ritrova al punto 7: "Nell'ambito d'una ragione normativa che conferisce al datore una diretta funzione di controllo, e nelle continuità con la preesistente disciplina (art.20 terzo comma della Legge 18.4.68 n,482), deve essere letto lo spazio temporale dell'accertamento previsto dal citato art.16: l'accertamento può essere disposto sia prima dell'assunzione che nel corso del rapporto (in occasione dell'assegnazione di nuove mansioni). E questa ampiezza temporale, parte integrante della ragione normativa, è adeguatamente espressa dalla lettera della disposizione attraverso l'ampia parola preventivi, comprensiva dell'ipotesi d'un accertamento anteriore alla costituzione del rapporto e dell'ipotesi d'un accertamento effettuato nel corso del rapporto di lavoro e prima dell'assegnazione d'una nuova mansione (al fine di valutare l'idoneità del lavoratore a svolgerla). In tal modo l'accertamento preventivo non s'identifica con l'accertamento preassuntivo, bensì in sé lo ricomprende (come una delle sue specifiche ipotesi). Anche prima della costituzione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro ha pertanto la facoltà di disporre, a mezzo del proprio medico aziendale, un accertamento dell'idoneità del lavoratore a svolgere una specifica mansione. Al datore di lavoro resta ovviamente precluso il potere di strumentalizzare l'accertamento preventivo al fine di eludere l'obbligo di assunzione. Nell'ambito di questa preclusione le legge non prevede, tuttavia a carico del datore l'onere di indicare al lavoratore (con l'atto con cui comunica la predisposizione dell'accertamento preventivo) una specifica mansione [...] l'accertamento può essere disposto senza che la mansioni siano formalmente assegnate. Poiché, tuttavia, al datore di lavoro è consentito l'accertamento dell'idoneità del lavoratore ad una specifica mansione, in sede di espletamento dell'accertamento preassuntivo la mansione, pur non formalmente assegnata, deve essere individuata. E nulla esclude che la mansione, pur individuata, sia comunicata al lavoratore solo all'atto stesso della visita".

La conclusione della Suprema Corte è perentoria: "È pertanto da affermare che l'accertamento previsto dall'art.16 lettera b del D.Lgs 626/94, disposto dal datore di lavoro a mezzo di un medico dipendente della stessa azienda (e diretto a constatare l'assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore invalido è destinato, ai fini della valutazione della sua idoneità ad una mansione specifica) può essere effettuato anche prima dell'assunzione del lavoratore stesso; ed il datore, nel comunicare al lavoratore la predisposizione dell'accertamento, non ha l'obbligo di comunicargli contestualmente la mansione specifica in relazione alla quale la sua idoneità è da valutare. Dalle precedenti osservazioni discende che il rifiuto, da parte del lavoratore, di sottoporsi alla visita in tal senso predisposta dal datore, è illegittimo".

Commento

Per quello che riguarda il problema della legittimità delle visite preassuntive da parte del medico competente, l'affermazione della Suprema Corte ("È pertanto da affermare che l'accertamento previsto dall'art.16 lettera b del D.Lgs 626/94. disposto dal datore di lavoro a mezzo di un medico dipendente della stessa azienda - e diretto a constatare l'assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore invalido è destinato, ai fini della valutazione della sua idoneità ad una mansione specifica - può essere effettuato anche prima dell'assunzione del lavoratore stesso") è talmente perentoria e chiara da lasciare poco spazio ai commenti. La polemica sulla corretta interpretazione del significato del termine "preventivo", usato dal legislatore nell'art.16 comma 2a del D.Lgs 626/94, viene risolta in modo chiaro dalla Corte di Cassazione: "[...] l'accertamento preventivo non s'identifica con l'accertamento preassuntivo, bensì in sé lo ricomprende (come una delle sue specifiche ipotesi).

Anche se il caso in questione riguarda l'assunzione di un invalido civile collocato obbligatoriamente, appare evidente come l'interpretazione data dalla Sezione lavoro della Cassazione possa essere estesa legittimamente anche alla più comune situazione di visite preassuntive su lavoratori ordinari. Questo almeno per quello che riguarda la sezione civile lavoro: la sezione penale non ha, ad oggi, mai affrontato esplicitamente il problema delle visite preassuntive, limitandosi, in materia pure contraddittoria, ad analizzare l'applicabilità dell'art.5 S.L ai lavori in fase di assunzione (vedi le conclusioni diametralmente opposte delle sentenze Daubrè e Mormile).

La Suprema Corte ha comunque modo di ricordare come "al datore di lavoro resta ovviamente precluso il potere di strumentalizzare l'accertamento preventivo al fine di eludere l'obbligo di assunzione". Questa precisazione si riallaccia a quanto stabilito già in Cass. pen., 30/05/1980, Dal Negro (e poi confermato in sentenza Cass. penale, sez. III, 27.01.1999 n. 1133, Imp. Daubreè e Cass. penale, Sez. III, n. 1728 del 21 gennaio 2005 Ric. Fortebuono) e cioè che "l'art. 5 l. 20 maggio 1970, n. 300 (accertamenti sanitari), tutela la libertà e la dignità del lavoratore, evitando che gli imprenditori possano ricorrere ad accertamenti sanitari diretti, per mezzo di medici di loro fiducia, per soddisfare interessi estranei alla verifica dello stato di salute o di idoneità fisica dei lavoratori, con conseguente offesa alla dignità di costoro e talvolta lesione della certezza del rapporto di lavoro". La sentenza della sezione lavoro in esame appare coerente con questo filone giurisprudenziale: rappresenta violazione dell'art.5 S.L solo il perseguire, attraverso medici privati, quale è anche il medico competente, interessi estranei a quelli del perseguimento della tutela dell'integrità fisica del lavoratore mentre, ciò che invece è fatto in buona fede per garantire la salute nel senso più ampio e la sicurezza sui luoghi di lavoro, non integra una violazione dell'art.5 S.L.

La visita preassuntiva, pertanto, per rimanere in ambito di legittimità, deve comunque sempre rimanere finalizzata e limitata all'individuare in fase di assunzione quelle caratteristiche cliniche che potrebbero integrare prevedibile pericolo per la salute del lavoratore in relazione ai rischi specifici delle mansioni a cui il lavoratore sarà adibito.

Interessante anche la precisazione ove si legge che "poiché, tuttavia, al datore di lavoro è consentito l'accertamento dell'idoneità del lavoratore ad una specifica mansione, in sede di espletamento dell'accertamento preassuntivo la mansione, pur non formalmente assegnata, deve essere individuata. E nulla esclude che la mansione, pur individuata, sia comunicata al lavoratore solo all'atto stesso della visita". Dunque la mansione specifica, o anche le mansioni specifiche se sono più di una, a cui il lavoratore deve essere adibito, può essere comunicata anche solo nel corso della stessa visita, ma comunque deve essere precisata in una ovvia logica che vuole la visita del medico competente mirata e limitata alla sicurezza del lavoratore in relazione ai rischi specifici del lavoro concretamente svolto.

Nel giudizio del Tribunale, tra l'altro, emerge una indicazione meritevole di menzione, e cioè che il datore di lavoro, cui sia stato obbligatoriamente avviato al lavoro un invalido, ha "l'obbligo di assegnare al lavoratore mansioni compatibili con l'invalidità e, nel contempo, ha l'obbligo di garantire l'integrità fisica dell'invalido stesso e l'incolumità degli altri lavoratori".

La precisazione del Tribunale del ricorso evidenzia la duplice problematica medico legale dell'invalido civile: da un lato è necessario garantire che le mansioni assegnate siano compatibili con la ridotta "capacità" lavorativa dell'invalido (che rappresenta il razionale del concetto di "collocamento mirato" della legge 68/99) ma, esattamente, in modo analogo per qualunque altro lavoratore, incombe sul datore di lavoro anche l'onere di evitare che i rischi professionali del ciclo produttivo possano causare una tecnopatia all'invalido. Questo conferma quella che è la posizione più logica riguardo le visite di invalidi civili da parte del medico competente: un invalido civile collocato obbligatoriamente deve essere visitato dal medico competente se adibito a mansioni per le quali esistono rischi professionali (sostanzialmente quelle mansioni per le quali già è attvata la sorveglianza sanitaria per i lavoratori ordinari). Da ricordare, infine, come già la Corte Costituzionale con Sentenza n. 354 del 13 novembre 1997, in passato avesse esaminato il problema del rapporti tra le leggi sulla tutela del diritto al lavoro degli invalidi (L.482/68 oggi 68/99) e gli artt.16 e 17 del D.Lgs 626/94: "Va, infatti, osservato che le leggi in esame (n. 482 del 1968 e n. 626 del 1994) sono tra loro compatibili avendo diversi ambiti soggettivi e oggettivi; e, pur potendo porsi un problema di coordinamento della disposizione censurata limitatamente alla parte in cui le due discipline sembrano sovrapporsi (l'art. 16 del D.Lgs. 626 del 1994, nell'affidare al medico competente la valutazione dell'idoneità di ogni lavoratore alle specifiche mansioni assegnate, con il terzo comma dell'art. 20, della legge n. 482 del 1968, che assegna al collegio medico l'accertamento sanitario delle condizioni dell'invalido), anche sotto tale più specifico profilo le due disposizioni possono in realtà coesistere. Infatti queste operano in tempi successivi, nel senso che dopo l'eventuale valutazione di inidoneità da parte del medico competente per la sorveglianza sanitaria, l'invalido può, con ricorso, domandare l'accertamento sanitario del collegio medico ai sensi dell'art. 20 della legge sulle assunzioni obbligatorie in considerazione del carattere speciale di tale normativa".

Ultimo spunto di riflessione: la Cassazione conferma come il rifiuto della visita medica comporti la legittima mancata assunzione dell'invalido. Anche questo appare coerente con quanto già affermato in passato dalla Suprema Corte: se un lavoratore persiste nel rifiuto di sottoporsi a visita medica con il medico competente (se adibito a mansione comportante rischi professionali), la inevitabile conseguenza è il licenziamento per giusta causa (Cass. sez. III pen. 6.4.93 n. 3160 Ric. P.M. in c. Faccini).

  • Dr. Maurizio Del Nevo, Istituto Superiore di Formazione alla Sicurezza (ISFoP Milano)

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