La condotta medica connotata da colpa lieve, che si collochi «all'interno dell'area segnata da linee guida o da virtuose pratiche mediche, purché accreditate dalla comunità scientifica» non ha più rilevanza penale.
È quanto ha stabilito la IV sezione penale della Corte di Cassazione, presidente Carlo Brusco, con una sentenza depositata ieri e il cui principio è stato reso noto dall'avv. Guido Magnisi, legale bolognese che si occupa di svariati casi di colpe mediche.
La sentenza prende l'avvio dall'articolo 3 della legge 189 dell'8 novembre 2012, dal titolo "responsabilità professionale dell'esercente le professioni sanitarie".
La suprema corte è stata chiamata a decidere se l'articolo abbia determinato la parziale abrogazione delle fattispecie colpose «commesse dagli esercenti le professioni sanitarie». La risposta è stata affermativa.
Così i giudici, in applicazione del principio, hanno annullato con rinvio la condanna per omicidio colposo di un chirurgo che nell'esecuzione di un intervento di ernia al disco, aveva leso dei vasi sanguigni provocando un'emorragia letale per il paziente. Al giudice di merito è stato chiesto di riesaminare il caso per determinare se esistano linee guida o pratiche mediche accreditate relative "all'atto chirurgico in questione", se l'intervento eseguito si sia mosso entro i confini segnati dalle direttive e, in caso affermativo, se nell'esecuzione dell'intervento vi sia stata colpa lieve o grave.
Secondo Costantino Troise, segretario di Anaao Assomed, «la sentenza dimostra la necessità di un impegno delle società scientifiche ad approvare linee-guida valide accreditate eventualmente da un Ente terzo, e in genere a definire il campo delle buone pratiche cliniche». Questo «spiraglio aperto dal combinato disposto di un articolo di legge e dalle interpretazioni della magistratura - prosegue - non elimina la necessità di una legge specifica che disciplini la responsabilità professionale del medico in una logica di sistema sia dal punto di vista civile che penale. Ciò, conclude, per rispondere alla rabbia e alle paure di una categoria sempre più esposta a rischi professionali e patrimoniali non tanto per quello che fa, ma per la funzione che esercita.
A prescindere dal valore sociale degli atti che compie».
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