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Radiodermite da esposizione

Questo argomento ha avuto 12 risposte ed è stato letto 6174 volte.

Johnandrew

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  • Re: Radiodermite da esposizione
  • (10/06/2007 18:00)

Caro Campurra,
tanto preciso non credo perche’ dire che un case report (o meglio tecnicamente dei “case series” dato che i casi sono 58 e comunque per un periodo di 30 anni ) come quello citato abbia una bassa potenza statistica e’ un po’ come affermare perentoriamente che il genere umano discenda da un delfino perche’ e’ un animale intelligente o qualcosa di simile. Campurra hai piu’ o meno una vaga idea della differenza che corre tra uno studio epidemiologico e un case report e/o dei case series ? Tale consapevolezza non si evince da quello che scrivi ed e’ abbastanza singolare per uno che ha appena rivendicato (mi aguro autoironicamente) una personale accuratezza e precisione degna di un contesto scientifico, che non conosca la piu’ basilare grammatica di uno studio.
Secondo ribadisco che “questi quadri non si osservano quasi più. In passato veniva segnalata infatti un’alta prevalenza di queste patologie professionali fra medici radiologi e medici” e quindi non capisco perche’ debba essere rassicurato (se gia’ l’ho scritto) sulla rarita’ di queste evenienze oggi.
Terzo mi preme affermare vibratamente che il collega Mendolia aveva il sacrosanto diritto, soprattutto per la sua garbata premessa (“Causa inesperienza chiedo lumi”), di richiedere un parere senza impeti “passionali”. L’utilita’ del forum consiste proprio in una informazione civile e pacata evitando l’eccedenza di inopportune cafonerie.
Quarto, per ricondurre e sciogliere la discussione ad un rigore piu’ sobriamente informativo (lasciamo il discorso scientifico a riviste piu’ qualificate) dato che anche una mera carrellata normativa nasce da presupposti squisitamente professionali e non scientifici come quelli declamati dal nostro esperto, suggerisco il seguente up to date della letteratura fornendo alcuni dati. Da una ricerca su PubMed gli articoli (ristretti a case report e case series) su radiodermiti sono 107. Di questi il 61,12 % (195) si riferiscono ad esiti di trattamenti radioterapici in pazienti neoplastici, il 9,09 % (29) a casi di presumibile origine professionale e la restante quota (29,79 %) ad eventi accidentali. Non vi e’ stato in realta’ un reale decremento di casi riportati in letteratura di origine professionale (1/2 pubblicati dopo il 1990), quanto piuttosto un aumento del numero di pazienti sottoposti a trattamenti radioterapici che manifestavano in concomitanza un quadro radiodermitico. Degno di nota appare anche l’aumento di RD dovute alla diffusione delle pratiche di radiologia interventistica e questo puo’ fornire un particolare spunto di riflessione per i colleghi.
Mi auguro di non dovere intervenire su altre questioni di lana caprina.
Grazie

Johnandrew

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  • Re: Radiodermite da esposizione
  • (10/06/2007 18:18)

Johnandrew il 10/06/2007 06:00 ha scritto:
Caro Campurra,
tanto preciso non credo perche’ dire che un case report (o meglio tecnicamente dei “case series” dato che i casi sono 58 e comunque per un periodo di 30 anni ) come quello citato abbia una bassa potenza statistica e’ un po’ come affermare perentoriamente che il genere umano discenda da un delfino perche’ e’ un animale intelligente o qualcosa di simile. Campurra hai piu’ o meno una vaga idea della differenza che corre tra uno studio epidemiologico e un case report e/o dei case series ? Tale consapevolezza non si evince da quello che scrivi ed e’ abbastanza singolare per uno che ha appena rivendicato (mi aguro autoironicamente) una personale accuratezza e precisione degna di un contesto scientifico, che non conosca la piu’ basilare grammatica di uno studio.
Secondo ribadisco che “questi quadri non si osservano quasi più. In passato veniva segnalata infatti un’alta prevalenza di queste patologie professionali fra medici radiologi e medici” e quindi non capisco perche’ debba essere rassicurato (se gia’ l’ho scritto) sulla rarita’ di queste evenienze oggi.
Terzo mi preme affermare vibratamente che il collega Mendolia aveva il sacrosanto diritto, soprattutto per la sua garbata premessa (“Causa inesperienza chiedo lumi”), di richiedere un parere senza impeti “passionali”. L’utilita’ del forum consiste proprio in una informazione civile e pacata evitando l’eccedenza di inopportune cafonerie.
Quarto, per ricondurre e sciogliere la discussione ad un rigore piu’ sobriamente informativo (lasciamo il discorso scientifico a riviste piu’ qualificate) dato che anche una mera carrellata normativa nasce da presupposti squisitamente professionali e non scientifici come quelli declamati dal nostro esperto, suggerisco il seguente up to date della letteratura fornendo alcuni dati. Da una ricerca su PubMed gli articoli (ristretti a case report e case series) su radiodermiti sono 107. Di questi il 61,12 % (195) si riferiscono ad esiti di trattamenti radioterapici in pazienti neoplastici, il 9,09 % (29) a casi di presumibile origine professionale e la restante quota (29,79 %) ad eventi accidentali. Non vi e’ stato in realta’ un reale decremento di casi riportati in letteratura di origine professionale (1/2 pubblicati dopo il 1990), quanto piuttosto un aumento del numero di pazienti sottoposti a trattamenti radioterapici che manifestavano in concomitanza un quadro radiodermitico. Degno di nota appare anche l’aumento di RD dovute alla diffusione delle pratiche di radiologia interventistica e questo puo’ fornire un particolare spunto di riflessione per i colleghi.
Mi auguro di non dovere intervenire su altre questioni di lana caprina.
Grazie

Errata corrige: ovviamente i casi di radiodermite riportati in letteratura (PubMed) non sono 107 (valore errato a causa della semplice sovrapposizione di una colonna dopo trascrizione da excell a word) , ma di 319.

Gabriele Campurra

Gabriele Campurra
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  • Re: Radiodermite da esposizione
  • (11/06/2007 12:41)

Caro Giannandrea,
e va bene! Si continua! Purtroppo si è arrivati alle offese personali: mi si da dell’ignorante e del cafone, non posso quindi non replicare punto per punto.
Con notevole sarcasmo e, permettimi, maleducazione, metti in dubbio le mie conoscenze sull’epidemiologia. Quindi: innanzitutto nella tua Comunicazione al 65° Congresso della SIMLII del 2002, che rientra nella categoria dei “case series”, come giustamente tu precisi, arrivate a delle conclusioni di “prevalenza “ che sconfinano un pochino dai limiti appunto dei case report o series (visto che parli di conoscenze della grammatica); per tale motivo ho fatto il mio commento e credo, scusami, di conoscere la “grammatica” degli studi epidemiologici.
Ricordo: “I case report, le serie di casi possono rappresentare il gradino ‘più basso’ o l’elemento più debole nella gerarchia delle prove, ma spesso – ha scritto Milos Jenicek (2001) - restano la ‘prima linea dell’evidenza’. Il luogo dove tutto ha inizio”. Quindi “la prima linea dell’evidenza” delle radiodermiti? Ma se sono state le prime lesioni riconosciute più di un secolo or sono come radioinducibili? Una sintesi efficace della funzione potenziale dei resoconti di pazienti individuali (e di conseguenza anche i case series) è quella proposta da Jan P. Vandebnbroucke, del Dipartimento di Epidemiologia Clinica dell’Università di Lovanio (Vandenbroucke, 2001): A cosa può servire un caso clinico? • A riconoscere e descrivere una nuova malattia; • A individuare effetti sconosciuti di farmaci, sia avversi (indesiderati) sia benefici; • Ad approfondire i meccanismi delle malattie; • A riconoscere manifestazioni rare delle malattie.
Quindi rappresentano un punto di partenza per successive ricerche anche epidemiologiche, non certo una certezza per dare delle risposte ad un Collega che chiede aiuto. Circa la necessità di “essere rassicurato”, se leggi bene, non era in merito alla “alta prevalenza di queste patologie”, bensì alla possibile associazione con danni ematologici o del cristallino.
Anzi, il Collega Mendolia chiedeva “lumi” e giustamente tali lumi bisognava dargli, non certo rispondendo con una introduzione “copia-incolla” della tua comunicazione congressuale che non dava certo delle risposte utili per la sua richiesta di aiuto. Bastava, come ho cercato di fare, guidarlo su una seria valutazione del rapporto causa effetto e dargli le indicazioni per escludere, o meno, un’origine “radiologica” del danno ed eventualmente guidarlo verso il giudizio di idoneità. Gli impeti “passionali” sono appunto stati generati da una risposta che, nel caso specifico, non certo in assoluto, poteva essere fuorviante.
Chiedi inoltre di lasciare “il discorso scientifico a riviste più qualificate”, ma perché un “rigore più sobriamente informativo” deve essere avulso da una corretta informazione scientifica? Anzi ritengo che un sito come questo, frequentato da moltissimi medici del lavoro, debba pretendere una correttezza scientifica, che non può che essere di aiuto per tutti. Perché i “presupposti professionali” non possono avere un substrato scientifico? Una “carrellata” su PubMed (limitata a case report e case series! con tutti i limiti appunto di tali lavori!) può risolvere i problemi del nostro Collega?
Non nego, né lo ho fatto, l’esistenza ancora oggi di numerosi casi di radiodermiti tra gli interventisti, dovuti sicuramente a modalità di lavoro a dir poco errate, ma perché citare anche quelle iatrogene od accidentali? Ripeto ancora la risposta da dare al Collega era ben altra.
Per quanto riguarda infine le “inopportune cafonerie”, non credo che una diatriba scientifica, anche se accesa, posa essere una cafoneria. Forse, invece, lo è la tua ultima risposta!
Saluti.

"Studia prima la scienza, e poi seguita la pratica, nata da essa scienza. Quelli che s'innamoran di pratica senza scienza son come 'l nocchier ch'entra in navilio senza timone o bussola, che mai ha certezza dove si vada"
LEONARDO DA VINCI

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