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lavori outdoor

Questo argomento ha avuto 20 risposte ed è stato letto 4216 volte.

armando

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  • Re: lavori outdoor
  • (30/04/2011 16:03)

L'Associazione Italiana Nucleare (AIN) al link http://www.assonucleare.it/Docume...vazioni%20Report%2029-03-2009.pdf si produce in un duro attacco alla puntata di report del 29 marzo 2009 della giornalista Gabanelli.
Si tratta di una lettera inviata al presidente, direttore generale e cda della RAI,in cui si critica in maniera molto articolata il servizio, a dire di AIN pregiudizialmente contrario alle centrali nucleari.
In realtà nel servizio si dava spazio alle varie posizioni in campo: che poi ciò che emergeva non facesse piacere ad AIN è compresibile; di certo ciò che è accaduto esattamente due anni dopo a Fukushima gli avrà fatto ancora meno piacere.
Interessante alcune affermazioni di AIN che nel criticare la presunta inattendibilità scientifica del servizio di Report cade essa stessa in errori scientifici e contraddizioni.
1) Report riferisce che per le centrali viene usata l'acqua dei fiumi, AIN controbatte che in realtà l'acqua è tutta restituita all'ambient. Ma il problema è un altro e cioè che il riscaldamento innaturale dell'acqua del fiume crea gravi alterazioni ecologiche.

2) Report parla di piccoli "incidenti" di livello0,1,2; AIN contesta tale definizione, spiegando che in base alla classificazione in inglese INES da 1 a 3 si parla di "malfunzionamenti dell'impianto", mentre il termine incidente si usa dal livello 4 a 7.
La classificazione INES parla da 1 a 3 di "incident", ovvero incidente: perchè tradurre invece con malfunzionamento impianto? Forse perchè "It sounds good"?

3)Report sostiene che il limite di esposizione proposto dagli esperti non è un limite di non rischio; AIN, nel controbattere tale affermazione fa una piccola giravolta lessicale e concettuale.
Prima dice che in zone con dosi medie di decine di mSv/anno non ci sono effetti sanitari riscontrabili su base epidemiologica, e ciò può essere vero; poi dice che a quelle dosi non corrisponde alcun effetto sanitario. E' un errore grossolano far coincidere il significato delle due affermazioni: non riscontrare un effetto, può solo voler dire che lo strumento epidemiologico con cui lo stiamo cercando non è abbastanza sensibile, cioè l'effetto potrebbe esserci, ma è al di sotto del limite di rilevabilità.
Peraltro proprio gli studi epidemiologici richiamati, tipo quello su Ramsar, se ne venisse data una chiave interpretativa più completa, potrebbero anche essere dimostrativi del contrario e cioè che quelle dosi di RI hanno causato sugli abitanti effetti sanitari avversi molto rilevanti, probabilmente mortali.

4) AIN imputa a report di aver intervistato un soggetto portatore di interessi economici nel settore dell'energia, evidentemente alternativa a quella nucleare; ma anche AIN è un portatore di interessi, anche se magari non direttamente economici, a favore del nucleare.
Di certo in AIN ci sono soggetti che professionalmente ed economicamente operano nel settore del nucleare.
Al riguardo, come ricordava in un precedente post, il 70% dei siti reperibili in internet che negano la teoria lineare senza soglia degli effetti delle RI e ssotengono la tesi ormetica, sono siti commerciali.
Come diceva il fisico Ciancia de Peron:"I raggi X non esistono, ma mi hanno dato da vivere!"

armando

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  • Re: lavori outdoor
  • (03/05/2011 17:07)

Una considerazione tra esposizione solare-UV e melanoma: l'incidenza dei melanomi in africa centrale, dove ovviamente l'esposizione ad UV è molto più alta che in Europa, è molto più bassa che nell'europa stessa.
Un po' come a Ramsar, dove l'esposizione a RI è molto più alta che nel resto del paese, ma l'incidenza dei tumori è molto più bassa; gli studi epidemiologici sul caso di Ramsar sono portati a suffragare la tesi degli effetti protettivi-ormetici delle RI contro i tumori.
Ma se le RI a ramsar hanno effetti protettivi, la bassa incidenza di melanomi in africa centrale deve indurci a considerare l'effetto ormetico delle radiazioni UV.
Ma allora, l'esposizione alle nostre latitudini ad UV solari, ha un effetto cancerogeno o ormetico?

armando

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  • Re: lavori outdoor
  • (04/05/2011 09:39)

Un collega in privato mi ha detto che occorre tener presente il fototipo e su questo siamo tutti d'accordo che spiega la più bassa incidenza di melanoma in centro africa.
Ma il senso della mia domanda resta invariato: il fototipo pelle scura può essere considerato un effetto di un meccanismo di difesa attivato in modo ormetico dagli UV?
In fondo la similitudine con Ramsar, caso portato a proprio supporto dai fautori dell'ormesi, ci può stare tutta.
Esposizione a dosi più elevate di fondo di radiazioni elettromagnaetiche (UV e RI) in confronto con il resto della popolazione potrebbero attivare i meccanismi di difesa; insomma, anche il fenomeno UV/melanoma potrebbe supportare la tesi dell'ormesi.
Ma non ho trovato nulla su internet a riguardo.
Ed i miei dubbi che l'esposizione a basse dosi di cancerogeni sia neutro o addirittura benefico per i nostri lavoratori restano tutti, anzi si stanno rafforzando, visto vche mancano risposte convincenti a fronte di un notevole battage pubblicitario (cliccate LNT su google e vedete quanti siti commerciali si aprono.)

serenix

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  • Re: lavori outdoor
  • (04/05/2011 17:44)

Tutto ciò che interferisce col DNA, vuoi anche a livello di sintesi proteica, ovvero RNA, può indurre mutazioni. Non necessariamente ciò vuol dire che avrò un effetto nefasto, sia perchè posso essere in grado di correggere i danni, sia perchè posso colpire una zona silente, quindi avere un non effetto, sia perchè, anche se statisticamente la possibilità è remota potrei avere un effetto positivo o in estremis una correzione di un errore preesistente. Poi in base al vecchio discorso della selezione genetica, avrò l'espansione dei fenotipi più adatti per quei contesti, quindi la selezione delle relative mutazioni. In quest'ottica va letta la protezione dagli UV della pelle scura in centro Africa o le selezioni di beta-talassemici (di per sè un limite) in aree dove la malaria era endemica. Tutto è possibile. Magari se ci bombardiamo un pò tutti potremmo diventar più belli, intelligenti e buoni....ma anche il contrario. Perdona l'estrema banalizzazione, ma di fatto se uno vive in una casa che è un paradiso terrestre, un'architettura stupenda, ogni arredo pensato ad hoc...opere d'arte etc...e viene uno e dice, proviamo a modificare un pò di cose? Io penso che potrebbe solo andar peggio. Se invece vivo in un palazzo osceno, malandato, costruito senza criteri, che odio, arriva uno e mi dice: possiamo cambiare qualcosa? Buttare giù delle pareti, cambiare infissi etc etc..io proverei subito...Se sto in una casa normale e un progettista mi propone dei cambiamenti... magari valuto il progetto e ci faccio un pensierino....Ora con le RI può capitare un pò la stessa cosa...abbiamo una situazione A e potremmo ottenere una situazione B o C o restare A. Il problema è che non c'è nessun architetto che ci fa vedere il progetto prima...e ad essere sottili, anche un buon progetto potrebbe nascondere delle sorprese buone o cattive....dipende da quanto siamo curiosi, da quanto vogliamo rischiare e soprattutto da quanto teniamo a ciò che abbiamo. E poi bisogna vedere cosa altro si mette in mezzo...(es. casa in legno e terremoto, casa in legno non ignifugo ed incendio...)...un pò siamo e abbiamo quello che cerchiamo, un pò siamo quello che il cielo sceglie per noi...e una cosa vera e buona oggi, potrebbe diventare il contrario domani. Non penso di aver risposto ai tuoi dubbi, apprezza la solidarità ai rimugini. In questo istante mi è venuto a chiamare il gatto e mi viene da pensare: beato lui che sembra aver capito tutto senza neanche farsi le domande...lo seguo e prendo il buon esempio...

armando

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  • Re: lavori outdoor
  • (04/05/2011 21:51)

serenix il 04/05/2011 05:44 ha scritto:
Non penso di aver risposto ai tuoi dubbi, apprezza la solidarità ai rimugini.

Mi hai confortato nella linea di pensiero che sto seguendo: UV e carenza di vit. D che provocano pelle scura contro tumori in africa e pelle chiara in scandinavia, emoglobinopatie in zone malariche, resistenza batterica agli antibiotici dati a bassi dosaggi, ipossia che induce poliglobulia nelle popolazioni di alta montagna del perù, etc. etc.; la pressione selettiva di noxe patogene, all'interno delle popolazioni elimina alcuni individui e favorisce altri sulla ase di mutazioni genetiche.
Perchè questo discorso non dovrebbe valere per il caso di Ramsar, luogo della terra sperduto dove non c'è motivo di ritenere che la popolazione non vi risieda da anni esposta a dosi di RI molto più elevate che altrove?
Ramsar, quindi, potrebbe dimostrare l'esatto contrario di ciò che i sostenitori dell'ormesi ipotizzano; le RI in quel luogo sono nocive per il singolo individuo, ma hanno rafforzato la popolazione.
Qualcosa di analogo all'effetto lavoratore sano, che più propriamente qualcuno ipotizza essere alla base della minore incidenza di neoplasie nei lavoratori di alcuni settori del nucleare.
Un esempio dal mondo animale: se prendiamo 100 leoni (alte dosi) e li mettiamo nel cratere ngoro ngoro isieme a 100 bufali, poche settimane e i bufali scompaiono. 2-3 leoni, invece, eliminando i bufali più deboli geneticamente, rafforzeranno la popolazione, nella quale l'incidenza di malattie sarà anche verosimilmente più bassa di popolazioni di bufali che vivono in assenza di leoni.
Ma se a livello di popolazione, la bassa dose si rivela benefica, per il singolo bufalo predato il danno alla salute è evidente.
Se poi prendiamo le due popolazioni di bufali e le mettiamo in condizioni sperimentali identiche insieme allo stesso numero di leoni, è molto verosimile che la prima, abituata a trattare con i leoni, saprà cavarsela meglio.
Un po' come accade in un esperimento tradizionale portato a sostegno dell'ormesi: due popolazioni di culture cellulari, di cui una preventivamente irradiata a basse dosi, sono sottoposte ad alte dosi di RI; nella prima popolazione i danni sono minori che nella seconda.
Stiamo facendo discorsi un po' grossolani, io con i bufalie tu con il tuo superattico e la tua stamberga?
Può darsi: ma un paio di chiacchierate che ho fatto con genetisti mi hanno confermato che i meccanismi di riparazione / protezione dei danni al DNA sono ancora in molti casi paragonabili a black box che nascondono al loro interno i segreti dei meccanismi d'azione.
Ed allora, atteniamoci al principio di precauzione ed alle basse dosi di cancerogeni adottiamo i registri degli esposti, compresi i baristi dei distributori, e così sia.

serenix

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  • Re: lavori outdoor
  • (04/05/2011 22:28)

Ed allora, atteniamoci al principio di precauzione ed alle basse dosi di cancerogeni adottiamo i registri degli esposti, compresi i baristi dei distributori, e così sia....

Ok per il principio di precauzione, quindi abbattimento del rischio alla fonte etc etc...no per i registri di esposizione, che se non servono per gli esposti a dosi rilevanti, per le bassissime dosi, possono far dei danni...si a rivedere in modo critico e costruttivo il modo di utilizzare i dati della sorveglianza sanitaria...
Si a confrontarci sempre e comunque, anche se le posizioni possono essere in contrasto, purchè ognuno dica le cose proprio come le pensa....e chissà che non esca qualche bella idea...

armando

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  • Re: lavori outdoor
  • (05/05/2011 09:16)

Perchè no ai registri esposti, se riportano in maniera corretta il livello espositivo?
Un'interessante considerazione di carattere scientifico al sito http://www.assonucleare.it/Bufale%20Nucleari/Bufala%20n_17.htm, associazione filonuclearista i cui componenti hanno in diversi casi interessi economici diretti anche di grande rilevanza nel settore del nucleare.
Viene citato proprio Ramsar come esempio dell'effetto benefico delle radiazioni ionizzanti e lo si motiva con la selezione naturale operata su quelle popolazioni; ma se il meccanismo è questo, AIN sembra confermare senza volerlo che la RI in quell'area hanno avuto ed evidentemente hanno tuttora un effetto negativo sui meno "resistenti", eliminando loro e la loro progenie.

serenix

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  • Re: lavori outdoor
  • (08/05/2011 16:06)

Perchè no ai registri esposti, se riportano in maniera corretta il livello espositivo?

Si tratta di un mio personale parere. Io penso che ogni procedura debba essere suffragata da almeno 3 condizioni: utilità, affidabilità, snellezza d'uso.
I dati informativi dei registri cancerogeni non sono esaustivi, ad es. c'è il dato di "esposizione potenziale" e non quello relativo al "reale assorbimento", la qual cosa insieme ad una possibile discordanza tra la stima dell'esposizione in gg/anno presunti e quella effettiva, può dare dei bias notevoli. Non sono riportati dei cofattori importanti (temperatura ambientale, intensità attività lavorativa in termini di metabolismo attivo....etc etc... fattori soggettivi interferenti fumo, patologie, farmaci assunti, esposizioni pregresse e future etc....). I metodi ed i criteri di valutazione in sede di VR utilizzati possono essere molto diversi, quindi integrare e rielaborare le informazioni come escono dai registri cancerogeni, può portare ad assimilare tra loro situazioni con gradiente di rischio molto diverso fino in estremis a situazioni paradossali: ad es. l'esposizione ad un cancerogeno (per sovrastima della reale esposizione-assorbimento) potrebbe rendere un cancerogeno protettivo per la manifestazione di un certo tumore... Anche se è prevista l'indicazione delle lavorazioni concomitanti con relativo codice INAIL...non è agevole sintetizzare nel registro il tutto in modo attendibile (interferenze nell'ambito della ditta, reparto....), come pure inserire nei rigidi schemi/allegati predisposti dal registro, le variazioni nel tempo del ciclo lavorativo, delle procedure, il monitoraggio delle esposizioni dei singoli lavoratori esposti.
La ridondanza burocratica, le troppe copie, i troppi invii, i troppi passaggi, sono un investimento di risorse, energie, tempo immani per avere poi solo uno scarso ritorno informativo sia in termini epidemiologici che di discussione di caso singolo, ad. es. nell'eventualità di una MP o contenzioso legale...Insomma c'è una catena dalla raccolta alla trasmissione, all'utilizzo finale troppo lunga...Alla fine poi chi rielabora i dati? Cosa è emerso finora di utile e nuovo?
La strada per fare epidemiologia convincente, come pure per ben gestire i dati di esposizione al rischio ed in parallelo quelli sanitari è altra...io per fare un pò meglio, con meno fatica, qualche idea ce l'avrei e come me, penso molti altri...

armando

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  • Re: lavori outdoor
  • (09/05/2011 01:16)

serenix il 08/05/2011 04:06 ha scritto:
Perchè no ai registri esposti, se riportano in maniera corretta il livello espositivo?

Si tratta di un mio personale parere. Io penso che ogni procedura debba essere suffragata da almeno 3 condizioni: utilità, affidabilità, snellezza d'uso.
I dati informativi dei registri cancerogeni non sono esaustivi, ad es. c'è il dato di "esposizione potenziale" e non quello relativo al "reale assorbimento", la qual cosa insieme ad una possibile discordanza tra la stima dell'esposizione in gg/anno presunti e quella effettiva, può dare dei bias notevoli. Non sono riportati dei cofattori importanti (temperatura ambientale, intensità attività lavorativa in termini di metabolismo attivo....etc etc... fattori soggettivi interferenti fumo, patologie, farmaci assunti, esposizioni pregresse e future etc....). I metodi ed i criteri di valutazione in sede di VR utilizzati possono essere molto diversi, quindi integrare e rielaborare le informazioni come escono dai registri cancerogeni, può portare ad assimilare tra loro situazioni con gradiente di rischio molto diverso fino in estremis a situazioni paradossali: ad es. l'esposizione ad un cancerogeno (per sovrastima della reale esposizione-assorbimento) potrebbe rendere un cancerogeno protettivo per la manifestazione di un certo tumore... Anche se è prevista l'indicazione delle lavorazioni concomitanti con relativo codice INAIL...non è agevole sintetizzare nel registro il tutto in modo attendibile (interferenze nell'ambito della ditta, reparto....), come pure inserire nei rigidi schemi/allegati predisposti dal registro, le variazioni nel tempo del ciclo lavorativo, delle procedure, il monitoraggio delle esposizioni dei singoli lavoratori esposti.
La ridondanza burocratica, le troppe copie, i troppi invii, i troppi passaggi, sono un investimento di risorse, energie, tempo immani per avere poi solo uno scarso ritorno informativo sia in termini epidemiologici che di discussione di caso singolo, ad. es. nell'eventualità di una MP o contenzioso legale...Insomma c'è una catena dalla raccolta alla trasmissione, all'utilizzo finale troppo lunga...Alla fine poi chi rielabora i dati? Cosa è emerso finora di utile e nuovo?
La strada per fare epidemiologia convincente, come pure per ben gestire i dati di esposizione al rischio ed in parallelo quelli sanitari è altra...io per fare un pò meglio, con meno fatica, qualche idea ce l'avrei e come me, penso molti altri...

Al di là che hè un obbligo di legge, una gran massa di studi epidemiologici importanti esposti vs non esposti rispetto all'esposizione si basano su dati molto molto più aleatori.

serenix

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  • Re: lavori outdoor
  • (09/05/2011 09:04)

armando il 09/05/2011 01:16 ha scritto:

Al di là che hè un obbligo di legge, una gran massa di studi epidemiologici importanti esposti vs non esposti rispetto all'esposizione si basano su dati molto molto più aleatori.

Perfettamente d'accordo. Infatti, per inciso sempre un mio personale parere e come tale discutibile e contestabile, bisognerebbe, nel rispetto della libertà della ricerca, condizione imprescindibile, cercare di evitare quella che spesso si rivela la proliferazione esponenziale di studi/review e review della review che elaborano dati di fantasia. Ciò si può fare riducendo magari la quantità, ma aumentando decisamente qualità (definizione chiara di criteri, metodi, obiettivi) e corposità (preferire lo studio multicentrico organizzato alle iniziative random diffuse, qualora si perseguino uguali obiettivi con similari intenti). Sui grandi numeri gli errori tendono ad annullarsi. Rielaborare in seconda istanza dati acquisiti in diversi luoghi e tempi, pur con accurata metanalisi, espone ad un margine di incertezza "troppi se" e "troppi ma" talora invalidanti lo studio stesso oltre a costi e tempi decisamente maggiori. Tornando ai registri, mentre la ricerca, come già detto è libera, quindi con facoltà di autodeterminazione, ciò che è suffragato da un obbligo di legge, quindi imposto, dovrebbe rispondere a criteri molto più critici e certi. E poi di fatto mentre si hanno molti outcome da studi anche "artigianali e improvvisati", finora dai registri di esposizione e son passati quasi 4 anni dall'istituzione dell'obbligo cosa abbiamo ottenuto? E poi se è vero che tutte le strade portano a Roma, direi che conviene comunque percorrere quella più breve, comoda e possibilmente meno costosa no? Buona giornata ....

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