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Rischio TB

Questo argomento ha avuto 11 risposte ed è stato letto 6919 volte.

Conte_Vlad_III

Conte_Vlad_III
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  • Re: Rischio TB
  • (20/04/2014 10:27)

Sono d'accordo. Il problema è che esistono -come spesso accade in Italia- differenti approcci al problema da parte di noi MC ma anche di ODV e INAIL. Ne deriva che ci sono zone (province o regioni) dove si "denuncia" e zone dove questo non accade.
Io non vedo l'utilità di denunciare un ITL ma mi trovo con una A.O. che seguo a "battagliare" con una sede INAIL che sostiene il mancato assolvimento del primo certificato (non di denuncia e referto, però).
A volte ho veramente l'impressione (eufemismo) che l'INAIL "faccia quando non sarebbe il caso di fare (questo potrebbe essere un esempio) e non faccia quando dovrebbe (non riconosce il nesso di causa/concausa in MP SOLARI)". Ma probabilmente io sono di parte.

PREVEMP

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  • Re: Rischio TB
  • (22/04/2014 12:45)

La TB può essere ritenuta occupazionale quando è documentato un rischio di esposizione.
L'ITL non è in senso stretto una malattia, ma una condizione di infezione a maggior rischio di sviluppare malattia clinica: la classificazione ATS-CDC parla in ogni caso di "TB classe 2" (Am J Respir Crit Care Med 2000; 161,1376): sì esposizione, sì infezione, in assenza di malattia.
In sintesi, l'esposizione può avvenire:
-in modo sistematico e prevedibile, perché la mansione include l'assistenza a pazienti contagiosi, o sospetti tali (come da VdR): l'esempio classico è chi opera in reparti di isolamento;
-su base accidentale, cioè i contatti - che vanno definiti a priori con criteri codificati, es. CDC: quindi cominciando da quelli definiti 'stretti', proseguendo eventualmente con il metodo dei cerchi concentrici ove necessario - di casi identificati come contagiosi, in contesti che 'ordinariamente' non espongono al micobatterio (es. assistenza in reparto ordinario di degenza senza protezioni, laddove il caso non sia stato tempestivamente identificato).
Il primo criterio per la certificazione INAIL è quindi l'individuazione di un rischio occupazionale (tramite la VdR o con l'inchiesta epidemiologica).
Nel caso dell'esposizione 'non prevista', anche se il criterio per la 'malattia-infortunio' dell'esposizione durante le 8 ore di un turno di lavoro (una fictio iuris) spesso non sarà soddisfatto, perchè il lavoratore magari avrà prestato assistenza con i criteri di contatto stretto per più volte, magari per tempi più brevi, nulla vieta che, se il soggetto con ITL era stato identificato come contatto, si rediga un certificato di infortunio a giorni zero come per gli incidenti a rischio biologico: anche se non siamo di fronte ad una malattia, si ritiene di dover segnalare l'evento che ha comportato esposizione e le sue conseguenze; inoltre, se il lavoratore si sottopone alla profilassi (oltretutto l'isoniazide raramente si vede prescritta da sola), può accadere che gli effetti collaterali della terapia portino ad inabilità temporanea, che l'INAIL potrebbe riconoscere (mi consta che sia accaduto qui in Toscana).
Anche nel primo caso nulla vieta che si faccia il certificato per questo secondo motivo, anche in assenza di uno specifico evento che abbia comportato esposizione (cioè l'identificazione come 'contatto'), anche perchè il lavoratore rischierebbe di rimanere senza tutela assicurativa se costretto ad assentarsi dal lavoro a causa della terapia.
L'INAIL si esprimerà poi come ritiene meglio.

Per la denuncia ex art.139 ci deve essere la diagnosi di una malattia (tra quelle indicate nell'elenco), e l'ITL non è una malattia.

Per il referto, può valere in linea di massima lo stesso criterio: non c'è danno alla salute, e, qualora l'ITL evolvesse in malattia clinica, siamo sempre in tempo a provvedere. In questo caso, però, bisogna anche tenere conto delle eventuali indicazioni della Procura della Repubblica competente per territorio.

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