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Decalogo di Guariniello

Questo argomento ha avuto 28 risposte ed è stato letto 4929 volte.

Gennaro

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  • Re: Decalogo di Guariniello
  • (16/02/2004 10:16)

Aspettavo una risposta dal collega 18761.
Se sei d 'accordo per discutere su più punti da te affermati, possiamo entrare in chat (per risolvere i problemi puù velocemente). Faccio io il primo passo, entro in chat Mercoledì intorno alle ore 12. Indica anche tu una fascia di collegamento.
Grazie

Gennaro Bilancio

18781

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  • Re: Decalogo di Guariniello
  • (17/02/2004 17:17)

Ero certo che la chat tecnicamente funzionasse!
La mia era una constatazione sulla mancata volontà "de facto" di utilizzare la stessa su questo argomento.
Io personalmente, per i miei numerosi impegni giornalieri, non sono in grado di stabilire orari predefiniti per "chattare", per cui quando mi è possibile, negli orari più impensati, leggo e scrivo qualcosa sul portale.
In riferimento a quanto emerso dal dibattito sul "Decalogo di Guariniello", ho espresso, dal mio punto di vista, un parere circostanziato e preciso riguardo il caso clinico della lavoratrice non esposta a rischi tabellati e/o valutati che, comunque, chiede al M.C. Visita Medica per proprie patologie che le impediscono, a suo dire, la stazione eretta prolungata , richiesta dal compito lavorativo.
Mi aspettavo che anche gli altri M.C., intervenuti in precedenza, dessero il loro autorevole parere, anche per evitare un duetto con il collega Gennaro; non mi sembra opportuno, invece, continuare il dibattito con domande del tipo: quale rischio professionale risulta correlato alla presunta patologia lamentata dalla lavoratrice?
Penso di essere stato molto chiaro al riguardo per cui non è il caso di ripetere per esteso quanto scritto poco più sopra; richiamo per buona memoria i punti salienti:
niente escamotage di Visite Periodiche ravvicinate;
niente Visite Collegiali presso la ASL;
niente Visite Mediche da Umberto Carbone ( "pardon" presso l 'Istituto di Medicina del Lavoro );
ancora, le patologie accusate possono ripercuotersi sull 'attività lavorativa, esponendo il soggetto a provvedimenti disciplinari o al licenziamento;
l 'attività lavorativa può ripercuotersi negativamente sullo stato di salute o sul benessere psico-fisico della persona ( rimando alla definizione di buona salute data dall 'O.M.S. );
infine, una persona con ridotta capacità lavorativa non può essere considerata come lavoratrice "normale o media".

In funzione di quanto scritto ed in riferimento alle misure generali per la protezione della salute e per la sicurezza dei lavoratori, ai sensi dell 'art.3, c.1, lettera l, del D.Lgs.626/94, nonchè ai sensi dell 'art.4, c.5, lettera c, riferito all 'affidamento dei compiti ai lavoratori tenendo conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e sicurezza, ripeto, è opportuno sottoporre a visita la lavoratrice, con tutto il rispetto per Guariniello:
Saluti a tutti.

Gennaro

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  • Re: Decalogo di Guariniello
  • (18/02/2004 09:01)

Penso che non riusciamo a capirci, perchè il discorso è lungo, e non può esere affrontato in questo modo. Se ho fatto la domanda perchè c 'è un motivo valido e non perchè non avevo capito ciò che avevi scritto.
Comunque resta il fatto che il problema non è stato risolto.
Se ho capito bene siamo conterranei e forse più vicini, se vuoi approfondire l 'argomento possiamo trovare il modo per contattarci.
Saluti

Gennaro Bilancio

drgennai1

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  • Re: Decalogo di Guariniello
  • (11/08/2004 02:56)

ringrazio innanzitutto il Collega che ci ha fornito il DEcalogo; mi sembra complessivamente equilibrato o almeno rispondente allo stato di evoluzione della normativa ; sono d ' accordo nel ritere non obbligatoria e quindi vietata la visita ad un lavoratore che non abbia rischi per i quali è obbligatoria la sorveglianza (art 17 626\\94) e quindi non c 'è altra strada che rimbalzare il caso ai colleghi usl nel rispetto dell ' art 5 L 300\\70 ; peraltro il caso sembra essere analogo a tanti altri che mi capitano in cui qualcuno ha fatto credere al lavoratore che basta "marcare visita" per sottrarsi alla propria attuale mansione , magari sgradita per ben altri motivi (difficile rapporto con i colleghi, orario scomodo, frequenti controlli di produttività, vero o presunto mobbing ecc) . Consiglierei comunque di accettare un colloquio con la lavoratrice ( niente visita ) per informarla dei suoi reali diritti e anche delle complicazioni a cui va incontro ed anche per carpire notizie da vagliare criticamente utili a chiarire il "clima" che si vive in reparto; tale colloquio potrebbe inoltre essere utile ai fini della attività di collaborazione alla valutazione dei rischi . ( per inciso ricordo che anche in letteratura risulta un elevato ricorso a visite straordinarie nei reparti in cui vige un pessimo clima )

Dr. A. Gennai Specialista in medicina del lavoro, specialista in medicina legale-- drgennai1@libero.it

vtr

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  • Re: Decalogo di Guariniello
  • (12/08/2004 09:36)

18781: L 'invio a visita collegiale presso la A.S.L., ai sensi dell 'art.5 Legge 300/7, non è più perseguibile per 2 motivi che si riprendono tra di loro:
1) tale compito, con l 'introduzione dei recenti disposti di legge, è stato demandato al M.C.;
Gradirei conoscere se esistenti i recenti disposti di legge citati dal collega 18781 con i quali viene demandata la visita ex art. 5 legge 300.
Ricordo inoltre che la sorveglianza sanitarie è effettueta nei casi previsti dalla normativa vigente e solo in questi (almeno da parte del medico competente)
Per quanto riguarda le visite periodiche anticipate credo che l 'art. 72 decies non possa essere citato in merito, riferendosi questo esclusivamente al Titolo VII della 626 (Protezione da agenti cancerogeni e mutageni). Le periodicità in merito ad altri potenziali rischi sono a libera scelta e professionalità del medico competente

vtr

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  • Re: Decalogo di Guariniello
  • (17/08/2004 09:26)

gradirei sentire il parere di 18781in merito alle questioni poste.

drgennai1

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  • Re: Decalogo di Guariniello
  • (18/08/2004 00:59)

scusate insisto nella mia opinione ma data l ' importanza del problema credo che valga la pena approfondire il confronto ; a mio parere sussiste la possibilità per il m.c. la possibilità di non svolgere la visita e demandarla invece alla struttura pubblica (non per semplice vigliaccheria ma per rispetto della normativa) ; infatti
1)trattandosi di lavoratore non soggetto ordinariamente a sorveglianza sanitaria il caso è analogo a quello di lavoratore in azienda in cui il m.c. non c 'è (per assenza di rischi);
2) il colloquio da me consigliato serve appunto per verificare se sussistano disturbi correlabili con fattori professionali e quindi l ' obbligo di visita straordinaria
3) anche in caso di presenza di tali disturbi e quindi di obbligo di visita resta precluso esprimere il giudizio di idoneità in visita straordinaria e dunque resta necessario l ' intervento della struttura pubblica per formularlo

Capisco che tutto diventa molto formale ma questa è la normativa e non spetta a noi tentare interpretazioni forzate che mettano d ' accordo l ' opportunità metodologica con la lettera della legge.
grazie

Dr. A. Gennai Specialista in medicina del lavoro, specialista in medicina legale-- drgennai1@libero.it

Gennaro

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  • Re: Decalogo di Guariniello
  • (18/08/2004 08:05)

Dalle mie precedenti risposte si evince che sono della stessa opinione del collega precedente.
Non ho capito i rischi specifici a cui risulta esposta la lavoratrice. In assenza di essi, in presenza di patologia ci sono altre forme previdenziali. Mi sbaglio?
Saluti

Gennaro Bilancio

18781

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  • Re: Decalogo di Guariniello
  • (06/09/2004 21:48)

Con sorpresa noto che l’argomento in questione, dibattuto nel gennaio e febbraio u.s., viene ripreso ad agosto, nel pieno delle ferie estive.
Dunque, osservo che le vedute agostane dei colleghi partecipanti al dibattito sono contrarie alle mie. In parte capisco tale atteggiamento, giustificabile sotto l’aspetto lessicale normativo.
A quanto in precedenza già detto ( si rimanda agli interventi datati 05/02/04 e 17/02/04 ), aggiungo, in accordo con quanto pubblicato su I.S.L. a seguito della sentenza della Corte di Cassazione 911/01 Farabi, dal collega medico del lavoro dott. Maurizio Del Nevo docente ISFOP:
la parte della sentenza che lascia maggiormente perplessi è l’ interpretazione delle visite previste dalla’art.16 comma 2 del D.Lgs 626/94 come “del tutto differenti” da quelle previste dall’art.17 comma 1i dello stesso D.Lgs 626/94. Conclusione davvero sorprendente è quindi che il medico competente “non potrà certamente trasformare una visita medica a richiesta del lavoratore ai sensi dell’art.17, comma 1 lettera i), in un accertamento sanitario ai sensi dell’art.16 e di cui alle lettere b) e c) dello stesso articolo 17”.
Può essere posto l’esempio di un medico competente che effettua visite periodiche in una catena di montaggio con una frequenza annuale e che esegua tali visite a maggio di ogni anno: se, ad esempio a giugno un lavoratore avverte una forte “dolenzia” ad un braccio (supponiamo perché caduto in motorino), non potrà certamente aspettare il maggio dell’anno dopo per comunicare al medico competente che, a causa dei postumi del trauma, egli non riesce più stringere i bulloni, e dovrà dunque richiedere solertemente una visita medica ex art.17 comma 1i. Verificato e confermato che il sopravvenuto stato clinico del lavoratore non consente più al lavoratore di svolgere i compiti della attuale mansione, il medico competente dovrà riformulare il giudizio di idoneità certificandone la non idoneità al montaggio o la idoneità a condizione che non stringa più i bulloni (idoneità con prescrizione).
In questo caso, a seguito di richiesta di visita ex art.17 comma 1i, il medico competente avrà, quindi, espresso un giudizio di idoneità ex art.16: avrà, cioè, trasformato “una visita medica a richiesta del lavoratore ai sensi dell’art.17, lettera i), in un accertamento sanitario ai sensi dell’art.16 e di cui alle lettere b) e c) dello stesso articolo 17”. Ricevuta la comunicazione del nuovo giudizio di idoneità, il lavoratore potrà, se lo ritiene necessario, fare ricorso all’organo di vigilanza territorialmente competente. Questa situazione rappresenta un evento che si ripete migliaia di volte nelle aziende italiane tutti i giorni: la separazione concettuale tra visite ex art.16 e art.17 rappresenta, pertanto, una interpretazione in nessun modo condivisibile. Il significato dell’art.17 comma 1i voluto dal legislatore, infatti, non può che essere (semplicemente) quello di garantire al lavoratore l’opportunità di sollecitare l’intervento del medico competente ogni volta che, per sopravvenute situazioni cliniche, egli ritenga che il proprio giudizio di idoneità debba essere rivalutato: al comma 1i dell’art.17 (“fatti salvi i controlli sanitari di cui alla lettera b), effettua le visite mediche richieste dal lavoratore qualora tale richiesta sia correlata ai rischi professionali”) il legislatore ha, tra l’altro, precisato come le visite su richiesta debbano essere correlate ai rischi; questo proprio per evitare che il medico competente possa essere interpellato per motivi che nulla hanno a che fare con l’unico scopo del proprio mandato, e cioè la formulazione dei giudizi di idoneità.
Su un piano dottrinale se l’art.2087 impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità psico-fisica in base alla “particolarità dell’azienda”, le prescrizioni del medico competente, in conformità con i precetti di tale articolo, obbligano per il datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità psico-fisica in base alla “particolarità del lavoratore”. Come ampiamente consolidato in dottrina, dall’art.2087 c.c. deriva l’obbligo per il datore di lavoro di attivarsi per la tutela del lavoratore di fronte ad ogni “pericoloso conoscibile”: dunque, anche la comunicazione di un sopravvenuto stato clinico da parte del lavoratore, nota bene in qualunque modo e tempo tale comunicazione avvenga, fa scattare l’obbligo per il datore di lavoro di attivarsi per scegliere le misure di sicurezza più idonee; il cambiamento di stato clinico, infatti, potrebbe far sì che il lavoratore, mantenuto al suo posto di lavoro, possa subire un peggioramento clinico. In questo caso, trattandosi di notizie coperte da segreto medico, le sopravvenute variazioni cliniche devono essere comunicate dal lavoratore direttamente al medico competente. Il medico competente, va rimarcato, non è, quindi, una figura estranea ai precetti dell’art.2087 c.c., bensì la figura che riceve con delega di responsabilità la gestione del “rischio residuo” di malattie professionali: non potendo il datore di lavoro, per ovvie ragioni, visitare i propri dipendenti, egli è tenuto a delegare tale compito al medico competente. Limitatamente all’ambito clinico, dunque, il medico competente riceve in delega i precetti dell’art.2087 c.c. propri del datore di lavoro ed è, pertanto, tenuto ad attivarsi in presenza di ogni elemento di pericolo per i lavoratori “conoscibile”, cioè di ogni pericolo che il sanitario “non poteva non sapere” (principio di non acquiescenza). In qualunque modo ed in qualunque momento egli venga a conoscenza di elementi che potrebbero comportare rischio per la salute del lavoratore, egli è tenuto a valutare tempestivamente se tali notizie possono rendere necessaria una riformulazione del giudizio di idoneità. Il medico competente, pertanto, non solo può trasformare una visita su richiesta del lavoratore (ex art.17 comma 1i), se questa è correlata ai rischi professionali specifici per il lavoratore, in una visita mirata alla formulazione del giudizio di idoneità, ma è addirittura obbligato a fare ciò: di fronte alla comunicazione anche di una semplice “dolenzia”, il medico è tenuto ad attivarsi in vece del datore di lavoro e ad indicare prontamente a questi tutte le misure necessarie a tutelare la salute del lavoratore per mezzo delle “prescrizioni”.
D’altronde, se fosse applicata l’ interpretazione della Corte di Cassazione, sarebbe davvero difficile capire a cosa servirebbero le visite su richiesta previste dal comma 1i dell’art.17, se si tiene presente come l’art.5 dello statuto dei lavoratori vieti visite da parte di medici privati, quale è il medico competente, non mirate all’accertamento della specifica idoneità al lavoro in relazione ai rischi professionali: una volta che il lavoratore ha comunicato in una visita “a richiesta” al medico competente la dolenzia al braccio, che senso avrebbe questa visita tenuto conto di come il medico competente rivesta il rigorosamente «limitato» scopo di formulare giudizi di idoneità e di cooperare con il datore di lavoro nella individuazione delle misure a tutela dei lavoratori?
La salute è un bene indisponibile in quanto protetto dalla Costituzione quale diritto individuale ma anche interesse della collettività (art.32).
Un giudizio di idoneità rappresenta una misura di igiene del lavoro indispensabile esattamente quanto un aspiratore o un DPI.
Tale sentenza, nelle pur sue discutibili argomentazioni, ha però avuto il merito di mettere in evidenza una imperfezione del legislatore nella formulazione degli artt.16 e 17 del D.Lgs 626/94: sarebbe pertanto auspicabile una correzione dell’art.16 comma 2 aggiungendo che il medico competente effettua, oltre ai già indicati accertamenti preventivi e periodici, anche “visite mediche richieste dal lavoratore qualora tale richiesta sia correlata ai rischi professionali”.
In conclusione, ritengo che una visita medica non debba essere negata a nessuno, a maggior ragione quando questa viene richiesta per iscritto dal lavoratore al M.C., magari a seguito del rientro in azienda dopo lungo periodo di seria malattia o dopo infortunio con postumi invalidanti o comunque in qualsiasi momento il M.C. venga a conoscenza di elementi che potrebbero comportare rischio per la salute del lavoratore; in tali casi egli è tenuto a valutare tempestivamente se tali notizie possono dar luogo a prescrizioni o ad altro, come atto teso a tutelare la salute del lavoratore.
D’altra parte come si fa a sapere, prima di aver visitato la persona, la reale patologia presente, l’entità della stessa, la sua potenziale o reale capacità a ripercuotersi sull’attività lavorativa e/o se connessa a rischi lavorativi?
A tal proposito occorre considerare che a parte i rischi normati e/o valutati riportati nel DVR, esistono rischi residui che pure sono correlati all’attività lavorativa ( abbiamo detto che il M.C. non è una figura estranea ai precetti dell’art.2087 c.c., bensì la figura che riceve con delega di responsabilità la gestione del “rischio residuo” ed è tenuto ad attivarsi in presenza di ogni elemento di pericolo “conoscibile” per i lavoratori (infatti, va rilevato che la previsione dell 'art. 2087 c.c. comporta che al lavoratore sia sufficiente provare il danno ed il nesso causale, spettando alla controparte la dimostrazione di avere fatto tutto il possibile per evitare lo stesso ).

I Decreti 277/91 e 626/94, forniscono una precisa definizione della figura del Medico Competente. La ricca descrizione delle caratteristiche di competenza per questa figura (o funzione) deriva da un’evoluzione, maturata nel tempo, del concetto di sorveglianza sanitaria nel campo della medicina sul lavoro.
Gli obblighi a carico del medico competente, oltre a quelli sanciti dalla normativa specifica, sono anche quelli comuni al medico ordinario già presenti nel vigente panorama normativo. Il medico, pertanto, a prescindere dagli obblighi prescritti dalle varie leggi, nel momento in cui individua rischi per il personale, o patologie non chiaramente definibili, ha il preciso dovere d’intervenire ed attuare, con professionalità, tutte le azioni necessarie a tutelare “l’integrità psicofisica” del personale aziendale. Naturalmente nel caso in cui, al verificarsi d’eventi lesivi, la magistratura individui “un nesso causale tra il mancato intervento del medico e l’evento stesso”, il medico sarà chiamato a risponderne davanti all’Autorità giudiziaria.
Il valore sociale della salute assume un carattere assoluto che va protetto al massimo grado possibile, quindi il riferimento per la sua tutela non può essere altro che al massimo dell’evoluzione della tecnica e della conoscenza umana, non solo sul livello progettistico-strutturale ma anche nella prevenzione medico-sanitaria, nella gestione delle risorse umane e finanziarie.
Non va sottovalutato che il controllo dello stato di salute dei lavoratori può anche essere visto come mezzo, tra gli altri enunciati dal D.Lgs. 626/94, per verificare l’efficacia delle misure di prevenzione adottate in azienda, per individuare ed anticipare ulteriori fattori di rischio e, non ultimo, per prevenire le conseguenze dannose a carico del lavoratore.
La ricerca medica sul lavoro ha permesso di individuare, in circostanze sempre più frequenti, situazioni al limite della patologia che la medicina diagnostica tradizionale non era stata in grado di denunciare. La Medicina del Lavoro riesce a meglio individuare quei primi segni premonitori, di natura clinica, che fanno da spia al passaggio, non sempre agevole da cogliere, tra salute e malattia.
Il M.C. deve proporsi all’azienda (non dimentichiamo che la stessa è tenuta, per doveri legali e morali, a finanziare attività di prevenzione) con un filone di ricerca su patologia (o potenziale tale) nuova o poco conosciuta quale, per esempio, condizioni di stress, mobbing, interrelazioni tra diverse attività, studi di flessibilità organizzativa, turno notturno, lavori usuranti, incidenza sulla qualità del lavoro e della vita, applicazione ed evoluzione di principi ergonomici, lesioni all’apparato muscolo-scheletrico, lavori ripetitivi, ecc.
La capacità, derivata da un processo primario di qualità e più specialistica in senso medico, è quella d’essere a costante conoscenza delle nuove patologie emergenti, il modo di tenerle monitorate ed i sistemi di cura e prevenzione loro collegate.
Tale processo implica una visione a “tutto campo” della prevenzione sanitaria ed il M.C. deve acquisire le capacità che gli possano consentire la ricerca della soluzione o del miglior percorso d’indagine e intervento nel proprio campo.
Il target di qualità deve essere il miglioramento continuo, previsto non solamente dai principi “ispiratori” della Qualità Totale ma anche dalle leggi (vedi lo stesso titolo del D.Lgs. 626/94 “... miglioramento della salute e sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro”) e non il mantenimento della situazione esistente.
Termino aggiungendo che nella mia esperienza professionale, dall’entrata in vigore della 626 ad oggi, non vi è stato alcun caso di contenzioso riguardo l’esecuzione di visite su richiesta del lavoratore ( in presenza o in assenza di rischi normati ) e non perché viva su di un’ isola felice ( è vero il contrario! ).
Non è stato fatto alcun passo in tal senso né da singoli lavoratori, né da agguerriti sindacati di base, né da organi ispettivi, né dalla ASL competente per territorio, che è intervenuta più volte a seguito di ricorsi contro i giudizi di non idoneità e, più spesso, d’idoneità, espressi dal M.C. e scaturiti in conseguenza di visite da loro stessi richieste ( anche in assenza di specifici rischi normati ). La stessa Magistratura , diverse volte intervenuta in procedimenti per richieste di danno biologico, o a seguito di licenziamenti per mancato rendimento o rifiuto di prestazioni ( scaturiti dopo giudizi d’idoneità del M.C. non seguiti da consoni comportamenti dei lavoratori ), pur avendo chiesto chiarimenti al M.C. sulle attività svolte dal lavoratore, sulle condizioni ambientali, sull’organizzazione del lavoro, etc., non ha mai contestato l’operato del M.C., né si è mai posta il problema dell’art.5 Legge 300/70, né dell’eventuale mancato invio presso Ente di Diritto Pubblico.
Pertanto, se domani qualcuno dovesse esplicitamente fare riferimento all’argomento da noi trattato, lamentando l’effettuazione di V.M. con giudizio d’idoneità, ai sensi dell’art.17 comma 1 lettera i, nei confronti di personale non esposto a rischio normato e/o valutato, preferisco aver eseguito tali visite e sostenere le mie tesi, stornando dal mirino il bersaglio puramente sanitario, spostandolo su quello più compiutamente industriale o giurisprudenziale, anziché non aver effettuato una visita specificatamente richiesta per motivi sanitari, che potrebbero ripercuotersi sullo stato di salute del richiedente con conseguente peggioramento delle condizioni cliniche e l’evidente rischio di rispondere di lesioni personali ( ex art. 590 c.p. ).
Cordialità.

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