Un ruolo chiave ed insostituibile nella sicurezza sul lavoro, relativamente al rischio biologico (Titolo X del D.Lgs 81/2008), è svolto dai vaccini specifici. Il fatto che i vaccini
necessari a garantire la sicurezza sul lavoro abbiano indubbia natura di «trattamento sanitario» contemplato dall'art.32 della Costituzione comporta, però, inevitabili
problematiche giuridiche riguardo la possibilità di imporre tali vaccinazioni ai lavoratori valutati come a rischio biologico.
Pubblichiamo come articolo del mese l'intervento della Dr.ssa Anna Maria Loi al Convegno "Il ruolo del medico competente nella valutazione dei rischi", svoltosi a Pisa il 5 novembre
2010.
La tabella n. 1 è scaricabile qui. Le altre tabelle a cui si fa
riferimento sono quelle delle slides mostrate durante il Convegno stesso e che sono visibili qui.
In questa relazione sarà delineato il ruolo del medico competente nella VDR come si deduce dai compiti che gli vengono attribuiti in particolare dall'art. 25 del D.Lgs. 81/08 e successive modifiche. Soprattutto si terrà conto delle modalità di svolgimento dei suoi obblighi, in modo che possano soddisfare una possibile verifica dell'organo di vigilanza, sia dal punto di vista formale che dei contenuti. Si illustreranno anche alcune diverse forme di controllo delle attività di sorveglianza sanitaria sulla base delle più comuni modalità di intervento da parte dell'organo di vigilanza rappresentato dai servizi territoriali di prevenzione nei luoghi di lavoro.
Il medico competente, a prescindere dalla natura del suo rapporto contrattuale di dipendenza, di convenzione o altro, può ritrovarsi a operare all'interno di organizzazioni complesse, enti pubblici o privati, in cui è tenuto a rapportarsi non solo con le principali figure della prevenzione, previste dalla nota normativa, ma talvolta anche con altri uffici o settori, con impiegati, funzionari o dirigenti che svolgono funzioni aziendali cruciali e che per tale motivi possono intrattenere, sempre da un punto di vista funzionale e non gerarchico, rapporti diretti o indiretti con lo stesso professionista.
In questi contesti, focalizzare il corretto ruolo aziendale e garantire la necessaria autonomia del medico competente assume un'importanza rilevante.
Nell'ambito del dibattito in corso pubblichiamo un interessante articolo del Prof. Adriano Ossicini, Responsabile del Settore Prevenzione, Epidemiologia e Statistica della S.M.G. Inail, nonché membro del Direttivo SIMLII, che effettua alcune considerazioni critiche sulla validità dei dati rilevabili dalla compilazione da parte del Medico Componete dell'allegato 3 B, come ridisegnato dalla prossima uscita del decreto attuativo di cui all'art. 40 del D.Lgs 81/2008.
Viene segnalato, fra l'altro, che, contrariamente a quanto prospettato, dai giudizi di idoneità non potrà venire alcuna indicazione utile sullo stato di salute dei lavoratori.
Il D.Lgs. 81/08, recentemente modificato e integrato dal D.Lgs. 106/09, ha specificato in modo decisamente più chiaro rispetto al precedente D.Lgs. 626/94 l'obbligo per il medico competente
di collaborare con il datore di lavoro e il responsabile del servizio di prevenzione e protezione alle attività di valutazione dei rischi nei luoghi di lavoro (cfr. comma 1 art. 25 cit. DL
81/08). Il mancato adempimento è pesantemente sanzionato.
La norma ha così stabilito una precisa funzione, non individuando successivamente le concrete modalità e le procedure attraverso le quali il medico competente possa svolgere tale
compito e, quindi, in assenza di indicazioni su come ritenere assolto il relativo obbligo.
Tale situazione, in assenza di altre linee-guida o protocolli operativi espressi da parte di organi istituzionali o società scientifiche, ha disorientato i singoli professionisti
determinando modalità di comportamento non univoche sul territorio nazionale, dalla semplice richiesta di allegare la relazione conseguente al sopralluogo periodico, a richieste di confronto
più serrato con il datore di lavoro e l'RSPP fino alla redazione di allegati o veri e propri documenti sanitari di valutazione del rischio, in genere nelle aziende più complesse e
dotate di strumenti e risorse adeguate messi a disposizione del medico competente.
Una situazione problematica, talmente comune da potersi definire addirittura «quotidiana», che le figure della sicurezza si trovano ad affrontare, è quella del lavoratore che rifiuta di indossare le scarpe antinfortunistiche.
In questo articolo verrà illustrato quali sono gli obblighi del datore di lavoro a riguardo, analizzando come comportarsi anche nella situazione limite in cui il lavoratore dovesse esibire certificazioni mediche attestanti l'impossibilità di calzare scarpe antinfortunistiche; verrà infine analizzato il problema della ripartizione delle spese nel caso in cui un lavoratore richieda che l'azienda gli paghi un plantare necessario ad indossare le scarpe antinfortunistiche.
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